La controversa e annosa questione dell’assegno divorzile registra pronunciamenti contrastanti della Corte di Cassazione: l’assegno deve garantire il precedente tenore di vita, no non deve garantirlo; deve tenere conto delle potenzialità reddituali del richiedente, no non deve tenerne conto; viene meno in caso di nuova convivenza stabile, permane anche in caso di nuova convivenza stabile. L’ordinanza 3852/2021 non aiuta a fare chiarezza, rifacendosi a principi astratti e poco aderenti alla concreta realtà. I fatti: due coniugi divorziano, il marito è titolare di una cattedra universitaria e due studi notarili mentre la moglie non ha un’occupazione. Il Tribunale nel 2016 riconosce alla signora un assegno di 2000 euro mensili, poi ridotti a 1000 dalla Corte d’Appello. La donna ricorre in Cassazione per ripristinare l’assegno di 2000 euro e gli ermellini le danno ragione poiché (corsivi nostri) «nel determinare l’entità dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie più debole economicamente si deve tenere conto anche di quanto sacrificato professionalmente dalla stessa per dedicarsi alla famiglia e alla carriera dell’ex marito e del contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare e personale anche dell’altro coniuge (…). L’assegno divorzile deve avere una funzione compensativa e perequativa, nel determinarne la misura il giudice deve procedere a una valutazione comparativa delle situazioni economiche dei coniugi, deve tenere conto del contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare da parte del coniuge che chiede l’assegno (…). La natura perequativa e compensativa, espressione del dovere di solidarietà costituzionalmente previsto, prevede che l’assegno divorzile debba essere corrisposto al coniuge richiedente in misura tale da garantirgli un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare (…)». Si noti che si dibatte esclusivamente sull’importo dell’assegno, l’ordinanza non fa menzione di altri beni trasferiti alla moglie a far data dalla sentenza di separazione: appartamenti o altre proprietà immobiliari, conti correnti, titoli, azioni, automobili o altro.
Bisogna considerare il fatto che si tratta di una famiglia benestante. Col profilo reddituale di un notaio nonché docente universitario è poco verosimile che l’unica proprietà di famiglia fosse un appartamentino di due camere e cucina nei sobborghi malfamati. Comunque l’ordinanza non cita l’elenco né il valore patrimoniale di quanto già assegnato alla ex moglie. I principi richiamati dalla Corte di Legittimità sono quindi due: 1. l’assegno divorzile deve compensare il contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare da parte del coniuge richiedente; 2. la natura compensativa è espressione del dovere di solidarietà costituzionalmente previsto. Ora… abbandoniamo la dottrina squisitamente giuridica e facciamo una digressione nel campo della satira giudiziaria intesa come “i conti della serva”. C’è da chiedersi in base a quali parametri venga valutato il contributo alla formazione del patrimonio familiare fornito da chi, pur non lavorando, vive nell’agiatezza garantita dai sostanziosi redditi del coniuge. Forse il contributo del lavoro domestico può essere un parametro per le fasce di reddito basse o medio-basse, sicuramente non lo è per le fasce di reddito più alte nelle quali palesemente rientra il caso che ci occupa. Un assegno divorzile pari a 2.000 euro non è cosa da tutti, rappresenta una cifra superiore allo stipendio di milioni di lavoratori dipendenti che con 1.600/1.800, o anche meno, mantengono famiglie di 4 persone. Inoltre, al di là della mera definizione astratta, bisogna vedere cosa si intende nel caso specifico per lavoro domestico. La signora batteva i tappeti, dava la cera ai pavimenti e lavava la biancheria, o per caso aveva una colf (pagata dal marito) che lo faceva per lei? Stirava camicie, rammendava calzini, lucidava scarpe, faceva la spesa, pelava patate e poi raschiava le pentole, o c’era il domestico filippino (pagato dal marito) che lo faceva per lei? Nell’alta società il concetto di “casalinga” assume contorni molto sfumati, ma veramente molto.
La solidarietà è spontanea.
Viene da domandarsi – sinceramente, senza nessuna affettazione – in che misura la carriera di un notaio possa essere favorita per merito della moglie e/o come un professore universitario possa incrementare i propri guadagni grazie alla moglie. Mi viene in mente un solo modo col quale milady possa aver influito sul patrimonio familiare: aiutando il marito a spenderlo. Nella bilancia fra dare ed avere, se hanno un valore le ipotetiche – molto ipotetiche – faccende domestiche, dovrebbe avere un valore anche la serie di vantaggi che milady, rispetto al ceto medio, ha potuto permettersi in costanza di matrimonio. Che so: andava in vacanza ad Ostia o a Porto Cervo? Tingeva la ricrescita in casa o poteva permettersi sedute settimanali dal coiffeur? Guidava una Matiz o una Mercedes? Si vestiva nelle boutique o sulle bancarelle? Indossava bigiotteria o gioielleria? Seguiva la dieta consigliata dalla portinaia o frequentava SPA e palestre? Questi ed altri sono fattori da considerare per sapere se il marito affermato professionista fosse il classico “braccino corto” che accumula denaro ma concede e si concede il minimo indispensabile, o con il proprio lavoro fa vivere tutta la famiglia nel benessere. Alberto Sordi nel 1974 ne ha fatto un cult-movie con “Finché c’è guerra c’è speranza”. Resta da capire un curioso principio giudiziario: come l’indubbio vantaggio di avere sposato un notaio invece di un impiegato delle Poste – vantaggio che molte donne invidiano – possa trasformarsi in contributo dato alla creazione del patrimonio familiare. Il principio andrebbe spogliato dalla veste meramente teorica che ha assunto negli anni, ed ancorato a criteri certi per stabilirne la misura. «L’assegno divorzile deve essere corrisposto al coniuge richiedente in misura tale da garantirgli un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare». Ok. Quindi, per assurdo, nel caso in cui il contributo alla realizzazione della vita familiare sia stato per anni un valore negativo (milady sottrae dai conti familiari molto più di quanto aggiunge) l’importo dell’assegno divorzile dovrebbe essere stabilito in –1.000 (meno mille). L’ex marito quindi potrebbe essere “condannato” a riscuotere un assegno dall’ex moglie. È il sogno di molti.
Il secondo punto si rifà all’articolo 2 della Costituzione, e chiama in causa il principio di solidarietà per motivare il carattere assistenziale dell’assegno divorzile. Principio da rivedere dalle fondamenta, secondo diverse fonti forensi. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale perde ogni significato nella misura in cui ne nasce un vincolo economico perenne. Il vincolo economico potrebbe avere una valenza nel periodo che intercorre tra separazione e divorzio, quando i coniugi sono ancora formalmente tali. Lo stato civile non cambia, quindi il principio di solidarietà potrebbe avere un suo perché in quanto funzionale a garantire al coniuge economicamente più debole un sostegno da parte del coniuge più abbiente. Col divorzio viene sciolto ogni vincolo di parentela quindi gli ex coniugi tornano ad essere formalmente dei perfetti estranei, ma per la Cassazione insiste il principio di solidarietà. Solidarietà nei confronti di qualsiasi estraneo, o specificamente nei confronti di “quel particolare estraneo” che quindi non è più definibile un estraneo qualsiasi? Il richiamato art. 2 della costituzione suggerisce un criterio generico: «La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Richiede dunque – non impone – l’adempimento di doveri morali quali la solidarietà politica (in assoluto il criterio più frequentemente disatteso), economica e sociale. Il termine solidarietà indica un impegno etico-sociale a favore di altri, ovvero un atteggiamento di benevolenza e comprensione che si manifesta esprimendosi spontaneamente in uno sforzo attivo e gratuito, teso a venire incontro alle esigenze di un soggetto che abbia bisogno di aiuto. La chiave interpretativa è la spontaneità: non possono essere imposte per legge varie forme di solidarietà come ospitare una famiglia terremotata, adottare un bambino abbandonato, fare volontariato alla mensa dei poveri, devolvere somme in beneficienza. Né, viceversa, costituisce reato non farlo.
Briatore mi deve almeno 5.000 euro al mese.
Se la solidarietà economica fosse un dovere concreto e non un suggerimento etico, dovrebbe essere costituzionalmente garantita a chiunque ne manifesti la necessità. Non solo la ex moglie, ma anche il cassintegrato, il clochard e l’immigrato clandestino potrebbero chiedere al notaio 2.000 euro al mese? Per lo stesso principio, perché parlare ancora di debito pubblico? Cancelliamolo, punto. I miliardi accumulati come debito pubblico non dobbiamo restituirli, ci sono dovuti per solidarietà da parte dei Paesi più ricchi perché lo prevede la nostra Costituzione. Tornando al divorzio: l’ex coniuge, dopo lo scioglimento del matrimonio, non è vincolato a chi aveva sposato diversamente da come possa essere vincolato a qualsiasi altra persona. La Costituzione chiede l’adempimento di inderogabili (?) doveri etici verso la collettività, in particolare la solidarietà economica trova spiegazione nell’art. 53 che recita «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Quindi la Costituzione non fa riferimento ad una singola persona fisica, l’art. 2 non focalizza l’adempimento verso parenti o affini. I doveri verso ascendenti e discendenti sono stabiliti dal codice civile, ma appunto si tratta di doveri verso parenti mentre gli ex coniugi non hanno alcun vincolo di parentela. Come la mettiamo? Io intanto domani scrivo a Briatore, gli mando l’IBAN e gli dico che, per il principio di solidarietà, mi deve almeno 5.000 euro al mese.