Giovanni Gozzini è un docente di storia all’Università di Siena. Un uomo con un curriculum grande quanto un’enciclopedia, tuttavia il sapere non gli ha impedito di far andare la lingua a vanvera. In una diretta online si è infatti esibito in una lunga lista di insulti feroci nei confronti di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Il video è trapelato e il professore è finito nella tempesta. «Insulti sessisti» titolano tutti i media, e la stessa Meloni non si nega un po’ di piagnisteo vittimista femminile, sebbene in realtà negli insulti di Gozzini non ci sia proprio nulla di tipicamente sessista. Dalle sue parole trasuda un disprezzo profondo per Giorgia Meloni non in quanto donna, ma in quanto persona di destra, un posizionamento evidentemente opposto a quello di Gozzini. Ed è forse lì il punto di partenza più corretto: a guidare la linguaccia del professore è stata anzitutto la protervia tipica di chi, essendo di sinistra, si ritiene detentore della Verità, del Bene, del Giusto, della Cultura. Come tale, pensa anche di essere detentore del diritto di insultare ferocemente chiunque abbia un’idea diversa. La radice di tutto non è il sessismo, insomma, ma l’arroganza degli e delle intellettuali/e di sinistra, gente da sempre inconsapevole di essere definita da un ossimoro.
Ma c’è anche un altro aspetto, molto legato alla temperie culturale attuale, quella per cui l’atto X applicato a un uomo ha una gravità Y, mentre applicato a una donna ha una gravità pari a Yn. Non è chiaro il motivo per cui le cose funzionino così. La questione dovrebbe attenere a un mero fatto di educazione e cultura: se sento di dover criticare qualcuno, in linea teorica prendo a riferimento le sue dichiarazioni, le sue condotte o ciò che lascia scritto, punto. Quand’anche odiassi quel qualcuno, se parlo in pubblico è mio dovere contenere il livore e mostrare a chi ascolta perché giudico quel tale soggetto criticabile, pessimo o esecrabile. L’eventuale svacco con insulti e volgarità ci può stare, ben intesi, ma in un aperitivo privato tra amici e conoscenti che magari la pensino come me, non certo di fronte a una platea e tanto meno su uno strumento che può registrare ciò che si dice. Sono regole di carattere generale che dovrebbero valere sempre e che dovrebbero prescindere dal sesso del bersaglio. Eppure dare del porco a Berlusconi risulta meno grave (anzi risulta quasi simpatico) che dare della scrofa alla Meloni. Le due bestialità dovrebbero essere gravi uguale, trattandosi di insulti idioti a delle persone, invece trapela nella comunicazione pubblica una sorta di aggravante se il ricevente è donna. E così l’assenza di reale sessismo nelle parole di Gozzini (con la presenza di tanta tanta stupidità e ignoranza) viene sopperita da una lettura degli eventi pesantemente sessista da parte dei media.
Prima di salire su un pulpito sarebbe saggio confessarsi.
C’è però un lato positivo nella vicenda, se proprio vogliamo andarlo a cercare. Come sempre, quando si rimesta un pentolone di acqua lercia, la sporcizia viene a galla. Ed ecco allora che in difesa della Meloni si levano solo alcuni, con moltissimi assenti ingiustificati, specie nel mondo politico e dei media, ma soprattutto sul fronte femminista (pur se con qualche eccezione). La sinistra che fagocita tutto ciò che in qualche modo è “popolare” non vuole cedere uno dei suoi temi, il femminismo appunto, alla destra. Dunque in molti casi passa il messaggio che le donne vanno difese, sì, ma solo se appartengono alla parte politica “giusta”, altrimenti in qualche misura le mazzate se le sono meritate. Le donne di destra sono un po’ meno donne di quelle di sinistra. C’è chi tace per questa ragione, che è un’altra faccia dell’arroganza che ha fatto parlare Gozzini, ma c’è anche un livello molto più infimo, perfettamente incarnato da Selvaggia Lucarelli. La pubblicista infatti si rifiuta di esprimere solidarietà alla Meloni perché, dice, è lei la prima a fomentare l’odio. Una sciocchezza colossale: Giorgia Meloni, esattamente come ogni altro politico, esprime le proprie idee. Possono piacere o no, ma non incitano all’odio, a meno che per la Lucarelli non sia incitamento all’odio qualunque opinione diversa dalla sua. Tipo quando dà del trans a una miss salvo poi essere costretta a pagarle i danni. Ed è sicuramente un po’ così, ma soprattutto si nota sotto la sua presa di posizione qualcosa di molto più vuoto e maligno: la voglia di far discutere di sé con una presa di posizione forzosamente anticonformista. C’è quasi solo questo dietro il muro alzato della Lucarelli, un grido, disperato e atroce: «ehi, ci sono anch’io… io esisto!».
La visione della sporcizia che sale dal pentolone non è il massimo, ce ne rendiamo conto, però è molto didattica. Insegna, a chi sa guardare, a riconoscere il vero dal falso, il posticcio dal genuino. Ed è così che Roberta Bruzzone si unisce al coro unanime che chiede la testa di Gozzini con parole pregne di indignazione: «sessismo becero», «disgustose offese sessiste», «intollerabili offese». A parte la tiritera sul sessismo, che non sta in piedi, alla fine la criminologa ha ragione da vendere, anche se forse un severo richiamo sarebbe più opportuno che una rimozione. Ma si sa, le regine di cuori, tutte, amano tagliare le teste. E amano farlo nonostante spesso non diano affatto il buon esempio. Proprio la Bruzzone, infatti, si distingue per un eloquio particolarmente sanguigno quando deve attaccare qualcuno o qualcuna con cui per qualche motivo dissente. In quei casi non le manda a dire, recuperando termini dialettali apertamente sessisti, facendo riferimenti a vibratori (questo sì è sessista!) o non stigmatizzando commenti altrui che rasentano l’omofobia. S’è detto: ciò deriverà probabilmente da un carattere infuocato e appassionato della criminologa più famosa della televisione italiana, ma in ogni caso varrebbe per lei la stessa prudenza che avrebbe dovuto ispirare Gozzini. Per lo meno, prima di salire su un pulpito sarebbe saggio confessarsi. O per lo meno ripulire la propria timeline social.