Facciamo un salto indietro nel tempo, anche se non di molto. Torniamo all’inizio del giugno scorso, le restrizioni legate alla diffusione del coronavirus cominciarono ad allentarsi e si iniziò a fare il resoconto della situazione relativo ai precedenti mesi di lockdown. Ricorderete quale fosse in merito la versione ufficiale rispetto alle violenze domestiche e alle violenze di genere: l’Antiviolenza Srl sostenne che tutte le donne d’Italia, vittime per definizione, erano tenute prigioniere in casa dagli uomini, tutti per definizione aguzzini. Un concetto privo di senso (in quanto tale recuperato di recente anche da Roberto Saviano) che pure è stato così tanto ripetuto da diventare appunto la versione ufficiale. Fu grazie a quell’argomentazione ridicola che esplose il battage pubblicitario per il 1522 e il Ministro Bonetti sbloccò la bellezza di 30 milioni di euro da destinare ai centri antiviolenza. L’idea di un’Italia attraversata da appartamenti-carcere, condomini-case circondariali e mariti-carcerieri, così, è passata nel campo delle verità indiscutibili, sebbene il report ferragostano della Polizia di Stato abbia poi smentito tutto, e per questo sia finito sostanzialmente nel dimenticatoio. C’era già stato prima, però, un documento molto rilevante, anch’esso rimasto nascosto, e che abbiamo recuperato nei giorni scorsi.
Si tratta della delibera del 4 giugno 2020 del Consiglio Superiore della Magistratura. Il report vuole fare il punto della situazione nelle procure e nei tribunali italiani dopo il lockdown proprio sulla materia delle violenze domestiche e di genere: trattandosi dell’organo di autogoverno dei magistrati, è indubbiamente un documento significativo e la sua lettura lo conferma. Anzitutto perché in tutta la relazione si parla solo ed esclusivamente di violenza contro le donne. I soggetti deboli sono donne e bambini. L’idea che un uomo e i suoi figli possano essere oggetto di violenze e soprusi da parte di una donna non è contemplato. Si dirà: ma capita raramente. Be’, si vadano a guardare i numeri delle violenze femminili su uomini e minori del 2020 notiziate dai media (dunque la punta dell’iceberg), poi ne riparliamo. Senza contare che la magistratura dovrebbe agire a 360 gradi, tutelando tutti indistintamente, non quelli statisticamente più bersagliati. Il fatto che si concepisca un report specificamente dedicato alla violenza sulle donne, però, già la dice lunga sull’effetto che la lobby femminista e il suo indottrinamento tra le toghe è riuscito a ottenere con il tempo. Fortuna che i dati sono dati, roba da cui non si può scappare, nemmeno dopo un lavaggio del cervello. Ed ecco allora che il CSM ci svela come sono andate veramente le cose durante il lockdown.
L’endorsement dei centri antiviolenza.
Nelle prime due pagine il report dice di aver realizzato un monitoraggio presso circa 70 procure, per capire come se la sono cavata durante il periodo di restrizione. La risposta ricevuta unanimemente è tutto sommato confortante: si sono verificati rallentamenti e disguidi di carattere burocratico, com’è ovvio che sia, ma tutti gli istituti posti a presidio rispetto alla violenza contro le donne hanno continuato a funzionare, dai 3 giorni decisi dal “Codice Rosso” per sentire la denunciante ai decreti di allontanamento, gli uffici della giustizia sono rimasti pressoché operativi e a disposizione delle donne vittime, esattamente come le forze di polizia e i loro supporti (come la app “YouPol”). Eppure, si legge a pagina 3, «è emersa una diminuzione delle notizie di reato che può valutarsi nella media pari al 50%», un valore che comprende uffici che non hanno avuto flessioni e altri che hanno visto cali anche del 70%. Di conseguenza, prosegue il report del CSM a pagina 4, c’è stata «una netta diminuzione delle richieste di misure cautelari». Chest’è, come dicono a Napoli. A quanto pare le case italiane, durante la fase acuta della pandemia, più che gattabuie e luoghi di tortura per le donne, sono risultate essere il luogo dove molti nuclei si sono ritrovati, dove sono stati messi da parte tensioni e litigi qualora ci fossero, per stringersi e proteggersi vicendevolmente da un pericolo che metteva molta paura. Niente più mere scontentezze o sporche furberie ad alimentare il grande mercato delle denunce, insomma: quelle che sono arrivate, il 50% in meno, erano davvero urgenti e attenevano probabilmente a casi di violenza vera.
Lo ammette il report stesso, a pagina 8, quando registra quasi con dispiacere che le donne si siano attivate solo «nei casi estremi e più gravi di aggressioni fisiche che ne mettevano a rischio la vita». Ma perché, sennò quando mai dovrebbero attivarsi? Quando il marito non apprezza la nuova pettinatura o la cottura della cotoletta? Quando durante a una lite risponde con male parole ad altre male parole che ha ricevuto? O quando, una volta divisi e lontani, serve piazzare una bella falsa accusa, magari con l’aiuto di un centro antiviolenza, per fare l’asso pigliatutto nella causa civile di separazione? Tutte questioni che durante il lockdown o sono passate in secondo piano, o erano impossibili da realizzarsi. Lo stesso report registra come le accuse di stalking siano crollate a causa delle restrizioni alla circolazione: e come lo denunci l’ex marito (le false denunce per stalking sono le più frequenti in fase separativa) se non è permesso nemmeno circolare? Questa sarebbe una spiegazione realistica e conscia delle dinamiche sociali e relazionali ma, come si è detto, la magistratura è ormai impregnata di femminismo e donnismo, e dunque dà alla questione un’altra spiegazione. La prova si trova da pagina 7, quando il CSM ritiene di mettere nero su bianco l’endorsement dei centri antiviolenza, soggetti giuridicamente inquadrati come mere associazioni, da parte della magistratura.
In attesa che la verità torni a essere anche la normalità.
Dopo aver sviolinato sull’importanza della collaborazione tra procure e centri antiviolenza (d’altra parte sono gli agenti che fanno girare milioni di euro in cause…), il CSM abbraccia acriticamente la versione di questi ultimi nello spiegare il calo delle denunce durante il lockdown. Dice, a pagina 8, che la tendenza alla diminuzione è «riconducibile alle difficoltà per le vittime di allontanarsi dall’abitazione». Insomma per l’organo di autogoverno della magistratura è avvenuta davvero la reclusione di cui ha blaterato per mesi l’Antiviolenza Srl. Le donne non potevano chiedere aiuto dalla finestra, né attivare la app YouPol, né chiamare il 1522: il marito era sempre lì, non ha dormito, né si è lavato, né è andato al cesso per mesi per fare la guardia alla moglie con la frusta in mano e toglierle così ogni possibile secondo per chiedere aiuto. Ribadiamo: a sposare questa visione non è Michela Murgia o l’agenzia D.I.Re, bensì il Consiglio Superiore della Magistratura. Conscio che forse la boiata è troppo grossa, allora poco dopo aggiunge un’altra possibile ragione: la mancanza di alternative di vita e le difficoltà economiche seguenti a un allontanamento sono un disincentivo per le donne che vogliono denunciare. Come se in Italia non fosse attiva una rete d’assistenza che alle donne che si autodichiarano vittime di violenza (senza prove né sentenze a comprovarlo) paga addirittura le vacanze.
E c’è di più: il CSM registra che in molti casi la donna vittima di violenza (sempre autodichiarata tale) ci ha ripensato e ha ripreso in casa il marito o convivente, pur di non lasciarlo “per strada”, «talvolta anche ritrattando le dichiarazioni precedentemente rese». Una criticità su cui i centri antiviolenza escono pazzi: è come il venditore di enciclopedie che, dopo aver agganciato il gonzo, lo vede rifiutarsi di mettere la firma sotto il contratto-truffa. Il CSM sembra indispettito quanto loro e di nuovo non riflette che la situazione critica della pandemia potrebbe aver invece contribuito in quei casi a far ravvedere la superpotenza della coppia (la donna) e a farle decidere di non massacrare il compagno magari per questioni aggiustabili con un po’ di dialogo. Più in fondo, a pagina 9, parlando dei minori il report registra un altro elemento che parrebbe negativo: «si è registrata una flessione connessa alla maggiore difficoltà di emersione delle situazioni critiche, ed è emersa una drastica riduzione delle segnalazioni ai servizi sociali». Non solo i centri antiviolenza, dunque, sono rimasti a bocca asciutta per molti mesi (salvo i ricchi trasferimenti del Ministro Bonetti…), ma anche la caccia agli innocenti da parte di quei molti servizi sociali deviati del nostro paese è stata sospesa. Insomma, a ben guardare il report del CSM, al di là delle sue letture ideologicamente orientate, il coronavirus e il lockdown hanno garantito un po’ di normalità e un taglio netto delle mistificazioni e delle ingiustizie. Ovviamente non è un buon motivo per sperare che la pandemia continui (mica siamo Michela Murgia!), ma è comunque confortante vedere come la verità si faccia sempre strada, sulla scia dei numeri reali e dei fatti. In attesa che la verità torni a essere anche la normalità.