Nei giorni scorsi è apparso sui social un banner che vorrebbe pubblicizzare le attività di un’azienda di pulizia e sanificazione, la Outsourcing SGS Multiservizi, con sede a Lizzanello in provincia di Lecce. Vi appare una bella ragazza che impugna un piumino antipolvere, vestita con la tenuta standard da “colf sexy”, con tanto di decolleté in vista. Lo slogan, scritto bello grande, è inequivocabile: «ve la diamo gratis». Più sotto e con un carattere più piccolo c’è la specifica: «per un mese, la pulizia o la sanificazione». Segue l’elenco dei locali che è possibile far pulire o sanificare e i dati della società. Ovviamente il banner non è passato inosservato ai nullafacenti delle istituzioni pubbliche locali, a partire dalla Consigliera di Parità della provincia di Lecce, Filomena D’Antini, che ha tuonato d’ira presentando subito denuncia all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria affinché sia disposta l’immediata rimozione dei manifesti dai social. La solita reazione da Regina di Cuori («tagliatele la testaaaa!!!») per la solita tempesta mediatica e social. Una delle tante che a intervalli regolari arrivano a sconvolgere internauti e spettatori, e che finiscono a indurre i rappresentanti delle istituzioni a prese di posizione tanto assurde quanto ridicole, come il Sindaco di Lizzanello che dice: «Offesa alle donne e all’intera popolazione». Addirittura. E perché non a tutta l’umanità, già che ci siamo? E che dire del post sul profilo Facebook del Comune? Roba da schiantare dal ridere se non fosse il solito tragico massacro immotivato.
Ma quel banner è davvero sessista? Chi lo sostiene denuncia gli “stereotipi di genere” sottesi a quella rappresentazione: «Sicuramente chi ha lanciato questa campagna pubblicitaria si è prestato a marcare la differenza di genere», certifica, tutta spettinata per l’indignazione, la stessa Filomena D’Antini. Tuttavia qualcosa non torna: è notorio che il lavoro di operatrice domestica venga svolto soprattutto da personale femminile (e il gender gap, eh?). La stessa azienda finita sotto accusa, che è stata costretta a scusarsi (male, molto male, non doveva scusarsi), ha mostrato la sua patente di purezza dicendo che l’80% del suo personale è femminile. Dunque dove sta lo stereotipo di genere? Non c’è. È una scusa, un pretesto, come sempre, per attaccare un altro aspetto: l’allusione sessuale contenuta nella pubblicità. Appellandosi a un “sessismo” che non c’è, le femministe di professione in realtà attuano un’opera talebanesca, inquisitoria, moralisteggiante, quasi savonaroliana contro alcuni aspetti naturali e incontrovertibili dell’umano. Primo: i doppi sensi sul sesso fanno ridere o sorridere, fin dalle commedie di Aristofane. Come tali, attirano l’attenzione, che è ciò che deve fare una réclame. Secondo: le donne detengono il potere assoluto della seduzione sessuale, da cui gli uomini sono per natura irresistibilmente attratti. Stereotipo o meno che sia, si tratta di un meccanismo assodato e incontrovertibile, al cui buon funzionamento, per altro, noi tutti dobbiamo l’esistenza.
La sessuofobia si cura: basta uno psichiatra.
Intendiamoci: il doppio senso del banner è greve, indubbiamente (e volutamente) volgare. Né più né meno di un qualunque cinepanettone, però, quelli dalla comicità “scoreggiona”, che la gente corre a vedere per sentire qualche attore dire: «ah froscio!» o «mavattelapijà nderculo». Né più né meno, anche, di quella mitica e geniale pubblicità anni ’80 delle Mental, con l’uomo dall’accento siciliano che dice a una donna: «io ce l’ho profumato…», e di fronte al disorientamento di lei precisa: «l’alito… icchi avevi capito?». Siamo lì, da quelle parti, non più lontano. Siamo alla sessualità nella sua versione più pecoreccia, quella più esorcizzante e comica, discutibile finché si vuole per i palati fini, ma niente che abbia a che fare con il sessismo inteso come rappresentazione di stereotipi di genere o di sbilanciamenti di potere tra i generi. La donna rappresentata nel banner, anche con l’accompagnamento dell’allusione sessuale, non è inferiore a un uomo. Anzi: è il ritratto del potere femminile per eccellenza, quello di far fare ciò che vuole di un uomo grazie alla sua dote naturale di essere sessualmente attrattiva per l’uomo stesso. L’individuo maschio (normale di cervello) che guarda quel banner sorride per la battuta e lo fa sorridendo bonariamente anche di se stesso e di questa sua dipendenza naturale dall’appeal sessuale femminile, talmente proverbiale da venire presa in giro in un manifesto pubblicitario. E un individuo femmina che reazione ha o dovrebbe avere?
Be’, in questo caso il ventaglio è ampio e molto dipende dall’educazione ricevuta, da quanto la donna che osserva sia risolta in se stessa o no e, in caso negativo, quanto abbia delegato la propria risoluzione a ideologie precotte esterne da sé. Se ha ricevuto un’educazione pudica e riservata, sarà al massimo infastidita dalla volgarità della trovata pubblicitaria; se è invece più disinibita e libertina, ne riderà al pari dell’uomo, come si ride di una battutaccia qualunque. Se è pienamente risolta in se stessa pure ne riderà, aggiungendovi però una punta di orgoglio femminile, con il sensatissimo pensiero: «eh sì, se vogliamo li facciamo girare come trottole». Se non è risolta e delega il proprio senso a ideologie tossiche e scervellate, come il femminismo, allora sì indignerà e riverserà la propria frustrazione di donna probabilmente non piacente ed estremamente insicura in un atteggiamento censorio e distruttivo caratterizzato da una spiccata sessuofobia e ostilità alla bellezza. Due caratteri tipizzanti la più crassa ignoranza o la peggiore malafede (o tutte e due), e chi prende posizioni del genere lo sa. Ecco perché cerca di ammantare il groviglio delle proprie psicosi e dei propri interessi con il velo universalmente accettabile del “sessismo”. Deve convincere se stessa e gli altri che non si tratta di un problema essenzialmente suo, ma di qualcosa di “etico”. Una pietosa bugia in cui, sfortunatamente, ancora cadono in molti, grazie anche alla correità dei mass-media. Chi mantiene occhi e buon senso però lo sa: sessuale e sessista sono due cose estremamente diverse. E sa anche che la sessuofobia si cura: basta uno psichiatra. Ma, se si tratta di una femminista, dev’essere bravo davvero.