Lui, chiamiamolo Roberto, è un ventenne, studente modello di uno dei più prestigiosi atenei d’Italia, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Frequenta l’università insieme alla fidanzata, chiamiamola Gloria. Come accade tra molte coppie, la relazione si incrina, i due litigano ripetutamente, anche in modo molto accalorato, in ogni caso fuori dai locali dell’ateneo. Per qualche motivo le liti angosciano Gloria al punto tale da indurla a segnalare Roberto, a quel punto diventato ex, alle forze dell’ordine, che rubricano la questione a un caso di atti persecutori, articolo 612 bis del Codice Penale, noto come “stalking”. Non sembrano esserci i termini per una denuncia vera e propria, dunque si opta per un “ammonimento”, quel documento con cui il Questore competente redarguisce una persona affinché interrompa subito le condotte segnalate e si tenga a distanza dalla persona che ne è presunta vittima, a meno che non voglia passare guai giudiziari come accusato per “stalking” appunto. L’ammonimento è un atto amministrativo, la sua natura giuridica è pari a quella di una multa, dunque non finisce sul certificato penale, ed è un atto che il Questore irroga direttamente all’interessato, informandone anche la persona che ha fatto la segnalazione.
Tutto potrebbe finire lì: presumibilmente Roberto ha capito l’antifona e si tiene alla larga da Gloria, pur sapendo che non si è trattato di persecuzione. Potrebbe fare ricorso contro l’ammonimento, ma dovrebbe rivolgersi al TAR o al Presidente della Repubblica, una causa costosissima e lunghissima, quindi lascia perdere, non ne vale la pena. Il problema sorge quando, come riporta “Il Tirreno”, del decreto di ammonimento viene a conoscenza la Scuola Superiore e il suo Senato Accademico. Questi si appella all’articolo 3 del regolamento interno, che vieta genericamente i comportamenti lesivi e molesti verso terzi, ed espelle con effetto immediato il ragazzo, con firma in calce della Rettrice Sabina Nuti. Domanda: come ha fatto il Senato Accademico a sapere di un atto amministrativo di cui Roberto è stato personalmente destinatario? Un’ipotesi potrebbe essere che Gloria, l’unica a sapere del provvedimento oltre alle forze dell’ordine e all’interessato, abbia fatto trapelare l’informazione ai vertici della Scuola. Per rivalsa, dispetto, vendetta, a scelta, in ogni caso con l’obiettivo di togliere di mezzo l’ex e di rovinargli la carriera accademica, dunque il futuro. Una carognata, ma niente di sconvolgente, niente che non accada regolarmente durante le separazioni coniugali conflittuali. La vera gravità sta nel fatto che le forze dell’ordine prima e il Senato Accademico poi hanno dato seguito alla segnalazione, portandola alle estreme conseguenze.
Un provvedimento “pari a una multa”.
«Ci sono stati dei problemi con la fidanzata», spiega ora Daniele Granara, il legale del giovane. «Una lite tra giovani poi magari anche degenerata, ma resta sempre un litigio. Una questione privata in cui, tra l’altro, esiste ed è stata presa per buona solo la versione della ragazza senza ascoltare il mio cliente. C’è solo la dichiarazione di lei». Già, perché così funziona l’ammonimento previsto dalla vergognosa legge anti-stalking: non puoi replicare, discolparti, difenderti, te lo prendi e taci. L’avvocato Granara è ricorso al TAR contro l’espulsione di Roberto, e il TAR ha respinto l’istanza sostenendo che «i provvedimenti impugnati appaiono adottati in coerenza dei comportamenti reiterati del ricorrente […] che nel loro complesso non potevano che essere ritenuti gravi e comunque in violazione dell’art. 3 del regolamento della scuola». Granara ha annunciato il ricorso al Consiglio di Stato, segno che ritiene errata la decisione del TAR. Non gli si può dare torto, ma il problema è che il TAR ratifica semplicemente uno stato di fatto che è tutto sbagliato, fin dal principio. Che i comportamenti di Roberto siano stati gravi e in violazione del regolamento della Scuola infatti è tutt’altro che certo, per due motivi molto semplici: anzitutto sono avvenuti fuori dalla scuola, dove si presume che il regolamento, che comunque non ha forza di legge, non abbia alcun valore, ma soprattutto nessun giudice è intervenuto con nessuna sentenza a certificare che Roberto abbia commesso qualche atto illecito. È e rimane innocente fino a sentenza: il Senato Accademico e la Rettrice Sabina Nuti dovrebbero saperlo molto bene, vista la posizione che ricoprono.
Siamo di fronte, in altre parole, a una delle innumerevoli storture innescate dall’orrida legge contro gli atti persecutori. Se n’è parlato spesso su queste pagine: l’istituto dell’ammonimento viene spacciato come “mero atto amministrativo”, ma ha un valore che, con palese incostituzionalità, tracima oltre i suoi confini di legge, diventando uno strumento di valutazione di valore penale, una sorta di marchio d’infamia che una persona si deve portare appresso per sempre. Da adesso in poi Roberto deve stare molto attento a ciò che fa. Se si trovasse in una situazione tesa con la prossima fidanzata e questa decidesse di denunciarlo per atti persecutori, magari falsamente com’è di prassi, la polizia andrebbe a vedere i suoi pregressi, troverebbe l’ammonimento sul suo database e a quel punto Roberto verrebbe considerato “recidivo”. Come tale non si prenderebbe un altro ammonimento, ma verrebbe mandato a processo d’ufficio, ex articolo 612 bis del Codice Penale. Un provvedimento “pari a una multa”, dunque, determina la recidiva e la procedibilità, con il rischio di finire in detenzione per più di sei anni, per una persona, se questa è tanto sciocca da confidare a terzi di aver avuto un ammonimento.
La decisione è pura discriminazione antimaschile.
Ma c’è qualcosa di più che si aggiunge a queste storture puramente giuridiche, ed è lo stigma sociale. Essere ammonito dal Questore di fatto non è una certificazione di colpevolezza. Eppure un intero Senato Accademico, capeggiato da una Rettrice a quanto pare molto zelante, hanno desunto dall’atto irrogato dal Questore la sussistenza dell’indegnità di Roberto a frequentare la loro scuola. Non si può fare a meno di chiedersi cosa sarebbe accaduto a parti invertite, se Roberto fosse stato abbastanza scaltro da segnalare per primo Gloria, avendo la fortuna di trovare un agente di polizia disponibile ad acquisire la sua segnalazione. È certo che nulla sarebbe capitato, sia perché Roberto non avrebbe spifferato nulla ai vertici della scuola, un tipo di delazione iper-distruttiva che non è nelle corde maschili, sia perché trattandosi di una donna sotto accusa, sarebbero fioccati gli alibi e le giustificazioni (“si è difesa”, “una reazione legittima”, “era stressata”, eccetera). Il problema dunque resta quello di cui abbiamo parlato due giorni fa: Roberto è un “giudeo” dei tempi moderni. Lui è lo Shylock shakespeariano o, se si vuole, l’Aronne Piperno de “Il marchese del Grillo”, trasportati in quest’era di totalitarismo femminocentrico.
Per lui dunque c’è l’espulsione dalla prestigiosa scuola, che corrisponde all’espulsione dal suo futuro in costruzione, sostanzialmente un’espulsione dalla sua stessa vita. Da adesso in poi dovrà riprogrammare la propria esistenza su binari molto meno promettenti. Il tutto per un atto amministrativo e a prescindere dalle sue capacità personali e dal suo rendimento. Poteva essere un grande economista, un grande chirurgo o chissà cos’altro: ora le sue opportunità sono ridottissime per lo zelo persecutorio verso il maschile che pervade questi tempi e a cui i vertici della scuola si sono proattivamente allineati. A questo punto, e proprio a loro ci rivolgiamo, al Senato Accademico e soprattutto alla Rettrice Sabina Nuti, ci attendiamo che vengano espulsi tutti gli allievi multati per eccesso di velocità (comportamento che viola altrettanto l’art.3 del regolamento della Scuola). In alternativa riteniamo che il caso di Roberto vada riconsiderato e ponderato con estrema attenzione, con piena consapevolezza di come funzioni il sistema giudiziario, dei suoi pilastri e della reale natura di un ammonimento. Roberto è stato vittima di una decisione assunta sulla base di pregiudizi e di un condizionamento ideologico profondamente ingiusto e sbagliato, un vero e proprio sopruso che non ci stupirebbe se avesse a che fare con la militanza femminista più volte manifestata dalla Rettrice Sabina Nuti, non a caso esaltata dagli organi d’informazione femministi. La decisione è, in quest’ottica, pura discriminazione antimaschile, esercitando la quale, oltre a devastare i piani esistenziali di una persona, si contribuisce a un inaccettabile inquinamento del vissuto sociale. È solo tassello in più aggiunto alla feroce campagna discriminatoria verso il “giudeo” degli anni 2000: l’uomo. Per questo e per l’onorabilità presente e futura della Scuola Superiore Sant’Anna chiediamo che la decisione venga rivista, e che Roberto venga riammesso ai corsi. Magari pure con tante scuse.