Il vertiginoso sviluppo del movimento femminista e suffragista negli Stati Uniti durante la seconda metà dell’Ottocento deve molto alla guerra di Secessione americana. Le conseguenze della guerra furono la molla che permise la trasformazione delle relazioni tra i sessi e l’introduzione del diritto di voto per le donne. Le ragioni che li motivarono però furono tutt’altro che nobili. La guerra di Secessione produsse negli Stati Uniti una decrescita demografica maschile molto importante, soprattutto nel sud. Esclusi i civili, tradizionalmente si stima che tra il 1861 e il 1865 vi furono tra i 620.000 e i 750.000 soldati caduti, e altrettanti feriti e mutilati. Sulla base di un censimento del 1860, oltre l’8% di tutti i maschi bianchi di età compresa tra 13 e i 43 anni perirono nella guerra, di cui il 6% al Nord e il 18% al Sud. Questo significa che tra gli uomini in età lavorativa nel sud oltre 1 su 4 circa era morto o rimasto ferito o mutilato dopo il conflitto.
Nel 1870 venne approvato il XV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che concedeva il voto agli uomini adulti di colore. La popolazione del sud non ci stava, si ribellò al fatto che i voti dei neri potessero andare al partito repubblicano di Abraham Lincoln. Per controbilanciare questi voti – e successivamente quelli degli immigranti italiani, polacchi, russi… – si promosse sempre con più forza la proposta di far votare le donne bianche, che rappresentavano tra l’altro, nel dopoguerra, il gruppo demografico con maggior peso. Nacquero così club di donne lungo tutto il territorio nazionale. Tutti i gruppi suprematisti bianchi accolsero positivamente questa proposta e promossero il voto della donna bianca. Per questo motivo il suffragismo ebbe molta più forza al Sud degli Stati Uniti che al Nord. La supremazia della razza bianca sarebbe stata preservata grazie al voto delle dame bianche del sud.
“La virtù, la ricchezza e l’istruzione delle donne del paese”.
L’identikit delle dame del sud era quindi quello di suffragista, femminista, aristocratica, puritana, suprematista, razzista, proibizionista (leghe antialcool e prostituzione) e sostenitrice del linciaggio, come pratica per proteggere le donne bianche dalla violenza sessuale degli uomini neri. Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), nota per le sue idee razziste e classiste e la sua convinzione della superiorità delle donne, rientra pienamente in questo identikit. La Stanton è una figura guida del primo movimento femminista. Tra i suoi meriti, la redazione della Dichiarazione dei Sentimenti (Declaration of Sentiment), presentata alla Convenzione di Seneca Falls del 1848, la prima negli Stati Uniti organizzata da donne. Quel documento è ritenuto come l’atto fondativo del primo movimento suffragista e di emancipazione femminile degli Stati Uniti. Nel 1869, contraria al voto prioritario dei neri sulle donne, fondò assieme a Susan B. Anthony, la National Woman Suffrage Association (NWSA), scissione dell’American Equal Rights Association. Tra il 1895 e il 1898, assieme a un comitato di altre 26 donne scrisse La Bibbia della donna. Fu anche sostenitrice del Movimento per la temperanza, contro l’abuso delle bevande alcoliche.
Nei suoi discorsi la Stanton faceva dei riferimenti spregiativi sui “negri”, che definiva in modo sprezzante “sambos”, e contestava il diritto di voto ad “africani, cinesi e a tutti quegli stranieri ignoranti appena arrivati sulle nostre spiagge”. In una lettera alla redazione del New York Standard, datata 26 dicembre 1865, scrive a proposito della concessione del voto ai neri: “…diventa una questione seria capire se non sarebbe stato meglio per noi rimanere da parte aspettando prima di veder entrare “Sambo” nel regno. La protezione della specie è la prima legge della natura. […] è meglio essere schiavo di un uomo bianco colto che di un nero ignorante e degradato.” Al primo meeting annuale della Equal Rights Association, nel maggio 1867, sostiene: “…con l’uomo nero non otterremmo nuovi apporti della capacità di governo. Ma con l’educazione e l’elevazione delle donne abbiamo il potere di sviluppare la razza sassone in una forma più alta e nobile”. La posizione della Stanton è esplicitata di nuovo in una lettera di risposta a George Downing: “Se tutti gli uomini devono votare – neri e bianchi, colti e ignoranti, puliti e sporchi, allora la sicurezza della nazione oltre che gli interessi delle donne richiedono di bilanciare questa imminente ondata di ignoranza, povertà e vizio, con la virtù, la ricchezza e l’istruzione delle donne del paese”.
“Le donne, i loro diritti, e niente di meno”.
In un’altra occasione asserì: “degradato e oppresso, il maschio nero sarebbe più dispotico, se avesse il potere, di quanto non siano i nostri dominatori sassoni. Se le donne devono essere ancora rappresentate dagli uomini, allora lasciamo che solo i più alti esemplari di mascolinità stiano ai vertici dello stato”. Infine, per quanto riguarda la superiorità femminile, il suo pensiero è ben illustrato in questa lettera raccolta nel suo diario personale in data 27 Dicembre 1890: “Tu dici, ‘Perchè siamo nate donne?’ Ti sto inviando assieme a questo messaggio un foglio contenente un mio articolo nel quale mostro la superiorità della donna come un fattore della civilizzazione. […] Noi siamo, come sesso, infinitamente superiori agli uomini, e se fossimo libere e sviluppate, sane nel corpo e nella mente, come dovremmo essere in condizioni naturali, la nostra maternità sarebbe la nostra gloria. Questa funzione da alle donne una tale saggezza e un tale potere che nessun maschio potrà mai possedere. Quando le donne potranno sostenersi da sole, avere accesso a tutte le professioni e i commerci, con una casa propria sopra la testa e un conto in banca, allora possederanno il proprio corpo e saranno dittatrici nella vita sociale”. Nessun accenno ai concetti di parità, pari opportunità o uguaglianza, latitanti, al contrario di altri come “superiorità della donna” e simili. Più che un’apologeta della parità, la Stanton si dimostra una consumata veggente: le femministe diventeranno “dittatrici nella vita sociale”.
Durante la campagna del 1867 nel Kansas, con il sostegno economico di George Francis Train, membro razzista del Partito democratico, che sosteneva “la donna per prima e il negro per ultimo”, Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony fondarono un giornale, chiamato Revolution. La testata aveva un motto proposto dallo stesso Train: “Gli uomini, i loro diritti, e niente di più. Le donne, i loro diritti, e niente di meno”. Susan B. Anthony (1820-1906) e le sue colleghe elogiarono pubblicamente anche il parlamentare James Brooks, un membro del Congresso ed ex editore di un giornale filoschiavista, che si definiva suprematista bianco. Infatti, Anthony dichiarava: “mi taglierò il braccio destro prima di battermi o di chiedere il voto per il negro e non per la donna”.
“Sebbene io sia contro la guerra in sé…”.
Sin dagli inizi dell’attività, Susan B. Anthony aveva sostenuto che il sessismo in quanto tale era molto più oppressivo del razzismo e della disuguaglianza di classe. Dal punto di vista di Anthony “la più odiosa oligarchia mai affermata sulla faccia della terra” era la dominazione degli uomini sulle donne: “Un’oligarchia della ricchezza, dove i ricchi governano i poveri; o un’oligarchia del sapere, dove gli istruiti governano gli ignoranti; o anche un’oligarchia della razza, dove i sassoni governano gli africani, potrebbe ancora essere tollerabile. Ma questa oligarchia sessuale che rende padri, fratelli, mariti e figli oligarchi delle mogli, madri, sorelle e figlie di ogni famiglia, che fa di tutti gli uomini dei sovrani e di tutte le donne dei sudditi, porta discordia e ribellione in ogni casa della nazione”. Della stessa opinione, senza dubbio, era Elizabeth Cady Stanton, che proclamava: “La storia dell’umanità è una storia di ripetute offese e usurpazioni degli uomini nei confronti delle donne, allo scopo di istituire su di esse una tirannia assoluta”.
Dall’altra parte il suo pensiero è cristallino nell’opera History of Woman Suffrage, della quale lei è co-autrice assieme a Susan B. Anthony, Matilda Joslyn Gage e Ida Husted Harper, nel secondo volume: “L’elemento maschile rappresenta una forza distruttiva, decisa, egoista, eccessiva, amante della guerra, della violenza, della conquista e dell’avidità, che genera discordia, disordine, malattia e morte sia nel mondo materiale che in quello spirituale. […] un nuovo vangelo delle donne, che esalti la purezza, la virtù, la moralità e la vera religione per innalzare l’uomo a sfere più elevate di pensiero e di azione”. Parole scritte prima della guerra ispano-americana combattuta nel 1898. La Stanton sostenne con convinzione la guerra ispano-americana, e questo è quello che scriveva a proposito: “Sebbene io sia contro la guerra in sé, sono lieta che si sia giunti a questo punto: mi piacerebbe vedere la Spagna… spazzata via dalla faccia della terra“. Sinceramente, non saprei dire a quale sesso stava pensando quando scrisse queste parole, nel ruolo di soldato esecutore che “spazza via dalla faccia della terra” gli spagnoli, se gli “egoisti”, “distruttivi” e “avidi” maschi o le “pure” e “virtuose” femmine.
In attesa che i dollari vengano dipinti di rosa.
Oggi Elizabeth Cady Stanton fa parte della National Women’s Hall of Fame, è commemorata il giorno 20 luglio nel calendario dei santi della Chiesa Episcopale degli Stati Uniti d’America, ci sono diverse statue lungo il territorio nazionale a ricordarla, e nel 2016 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti annunciò che un’immagine di Cady Stanton sarebbe apparsa sul retro di una nuova banconota da 10 dollari. I valori femministi sulle banconote dei dollari, non c’è miglior modo di festeggiare il matrimonio tra femminismo e capitalismo. Un matrimonio di lunga data, clandestino ma molto conveniente, negato e aborrito sulle piazze pubbliche da oltre un secolo, desiderato e professato in privato. Dai club elitisti e aristocratici dell’Ottocento da dove il movimento femminista è nato, in attesa che i dollari vengano dipinti di rosa, Elizabeth Cady Stanton, requiescat in pace.