La Fionda

La scuola e lo svantaggio maschile dimenticato

Lo svantaggio scolastico è maschile, ma l’ONU, la grande organizzazione internazionale convertita al femminismo, proclama l’11 febbraio giornata internazionale per promuovere le donne e le ragazze nelle facoltà scientifiche, unico settore in cui, per scelta personale delle donne, si hanno più iscritti maschi che femmine. Una giornata per “promuovere l’uguaglianza di genere nella scienza” ma non nell’insegnamento, nelle materie giuridiche, nella sanità, nella formazione universitaria in genere dove solo in Italia si contano circa duecentomila studenti in meno delle studentesse. Se guardiamo questa pagina del MIUR, notiamo che gli studenti maschi non sono nemmeno nominati, c’è il numero totale, le donne e, per i maschi, se ti interessa, fattela tu la sottrazione: -182.604 gli iscritti e -48.306 i laureati nell’anno accademico 2017-18. Il ministero si vergogna ad evidenziare il gap maschile? Smentirebbe i grandi privilegi del nascere maschi sul suolo italiano? Oppure il genere sconfitto non merita nemmeno di essere combattuto, meglio ignorarlo?

La giornata delle donne nella scienza si configura così come l’ultimo schiaffo, l’ultimo calcio in pancia agli uomini, alla verità, alla parità, alla lotta alle discriminazioni, alla funzione perequativa delle istituzioni, allo Stato super partes, alla legge uguale per tutti, all’universalità dei diritti e dei doveri, al merito, alla libertà, alla liberazione dall’ingiusta ingerenza dello Stato nelle scelte individuali dei cittadini. I motivi dello svantaggio scolastico maschile sono tanti: diversi tempi di crescita, il predominio delle abilità linguistiche nel processo di apprendimento e trasmissione del sapere che vede le donne avvantaggiate, la posizione seduta e ferma, la capacità di concentrazione, la motivazione, lo studio come principale chance di emancipazione sociale per la donna, l’impiego e la professione come lavori più sicuri, puliti, prestigiosi e meglio coerenti alla vita privata della donna, la coscienza che la società oggi punta sulle donne, la conoscenza come scoperta di sé e del proprio potere. Al contrario, lo svantaggio maschile è legato ai bisogni cinesici degli uomini, poco compatibile col setting scolastico, a un più lento sviluppo fisico e caratteriale, minori capacità linguistiche ed espressive, la memoria di un tempo in cui non era la laurea la certezza del successo sociale, la voglia di esperienze dirette, di fare, di agire, di riparare, costruire, apprendere attraverso l’esperienza piuttosto che con lo studio e la teoria.

scuola bambine

Si fanno politiche di privilegio a senso unico.

Il successo scolastico femminile ha aperto le porte a tutte ai lavori più sicuri e meglio garantiti: l’impego pubblico e privato, le libere professioni, sanità, insegnamento, avvocatura, magistratura, spettacolo, cinema, televisione, giornalismo, pubblicistica, musica, danza e, grazie anche alla riforma elettorale “Renzi”, il Parlamento è stato invaso da schiere di parlamentari donne e femministe decise a piegare le leggi al vantaggio e al potere femminile distorcendo la verità con indagini ISTAT discutibili, l’informazione a senso unico, la demonizzazione del maschio, la svalutazione degli uomini delle loro storia e dei loro meriti. Eppure era tutto scritto. Hanna Rosin ne “La fine del maschio”: «I numeri illustrano il quadro di un sistema educativo che gioca a favore dei punti di forza delle ragazze e formano una nuova generazione di ragazze sicure e pronte ad essere all’altezza delle migliori aspettative (…) Al di là delle competenze verbali, i ragazzi tendono ad inciampare su quelle che i ricercatori chiamano “competenze non cognitive”, fra cui la capacità di focalizzare, di organizzare e stare lontano dai guai. I ragazzi di tutte le razze ed estrazioni sociali tendono ad avere più problemi disciplinari, di condotta e sospensioni da scuola… Hanno molte più probabilità di finire in un programma di educazione speciale o di ricevere una diagnosi di disabilità».

La società lo ha sempre saputo, e gli insegnanti pure, tuttavia ogni programma speciale rivolto al genere ha sempre avuto come obiettivo valorizzare le ragazze in virtù di inesistenti svantaggi storici da recuperare. Già dagli inizi degli anni ’90 la ministra dell’istruzione Rosa Russo Jervolino mandò a scuola una circolare in cui si chiedeva agli insegnanti di addestrare le ragazze al discorso assertivo. Perché solo alle ragazze? Si parla sempre di recuperare un gap ma in realtà si promuove sempre il motto: “A chi sarà dato e a chi non ha sarà tolto pure quello che ha”. Da sempre le difficoltà dei ragazzi e degli uomini sono giudicati con lo stigma della condanna morale e della colpa, i ritardi delle ragazze invece come colpa maschile da riparare e da ripianare. Le donne vanno aiutate e sostenute, gli uomini emarginati e condannati, crocifissi alla colpa e all’errore. L’unica spesa maschile che grava fortemente sul bilancio dello stato è il carcere, mentre quella assistenziale dell’istruzione, della sanità, delle pensioni sono a maggior vantaggio delle donne. Agli uomini la colpa e alle donne la cura, questo è il patriarcato femminista in cui siamo immersi. Si parla sempre di politiche di parità, in realtà si fanno politiche di privilegio a senso unico; si parla di valorizzazione delle risorse umane, ma solo per il genere femminile. Coloro che tutto vedono e tutto possono hanno puntato sulla valorizzazione delle donne e sulla sconfitta degli uomini, sull’innocenza femminile e sulla colpa maschile. Gravare gli uomini di un senso di colpa asfissiante deve servire a far loro accettare l’emarginazione, la sconfitta sociale, il furto delle risorse materiali, la negazione dei bisogni, la cancellazione della soggettività maschile e scongiurare una possibile rivolta antisistema.

pari opportunità

Rallentare il processo di decrescita maschile.

Hanno puntato tutto sulla rivoluzione di genere a costo di forzare la mano al graduale e legittimo riequilibrio comunque già in atto, hanno violato le giuste leggi del merito e dell’equità, hanno offeso la verità sulla condizione degli uomini e delle donne a costo di delegittimare cambiamenti in atto dovuti al merito e all’impegno personale. Hanno forzato la mano con le quote rosa, la legge elettorale, i vantaggi pensionistici, i ministeri delle Pari Opportunità di sole donne per le donne, gli sgravi fiscali per le assunzioni femminili, gli assegni divorzili devastanti per i mariti e padri separati. Stanno forzando la mano perché gli uomini, quando non si sentono colpevoli, si sentano indegni, incapaci, inadeguati, perché colpa e vergogna sono i mezzi più potenti per tenere il popolo sottomesso. Per paralizzare gli uomini affinché non si ribellino, teorizzano che ogni merito maschile è niente di fronte a un solo femminicidio, basta una donna uccisa da un uomo per condannare l’intero genere maschile. Ma è stato scritto anche: “Come per la colpa di un solo uomo gli altri furono costituiti peccatori, così per il sacrificio di uno solo gli altri sono resi giusti” (Paolo di Tarso – Lettera ai Romani), per il neomatriarcato invece il male di un uomo li condanna tutti, il bene basta non citarlo.

Lo stigma antimaschile è oggi la croce che siamo costretti a sopportare, ma questo non deve spaventare il giovane guerriero, la tribolazione fortifica il carattere e la difficoltà aguzza l’ingegno ma soprattutto costringe ad ammettere che anche gli uomini possono avere difficoltà e ritardi non dipendenti dalla buona volontà e perciò meritevoli di interventi appropriati da parte dello Stato e della società perché nessuno resti indietro. Ci costringe a chiederci cosa c’è che non va nei politici e negli intellettuali maschi che impedisce loro di riconoscere che esiste anche uno specifico maschile con suoi punti di forza e punti di debolezza, che merita di essere riconosciuto e affrontato. Se guardiamo il cammino fatto dalle donne in questo secolo, sembra che la leva di tutto sia stata l’autocoscienza, il concentrarsi su se stesse, sul proprio essere come genere e come individui unici e irripetibili, rivendicando diritti specifici, ottenendo vantaggi e privilegi, reclamando condizioni adatte al proprio essere, ottenendo ministeri e leggi a proprio favore. Perciò è difficile credere che gli uomini possano crescere rimanendo semplici spettatori della propria sconfitta appollaiati sulla comfort zone dell’universale e dell’oggettivo senza mai cercare la propria specificità. La conoscenza di sé e della propria condizione, volgere lo sguardo sulla propria soggettività sia di genere che individuale è oggi il passo decisivo per rallentare il processo di decrescita maschile e forse dare qualche segno di ripresa.



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