Chi tra coloro che hanno dai 40 anni in su non ha almeno una volta provato a fare i falsetti di John Travolta in una delle tante memorabili canzoni contenute nel film “Grease”? Ammettetelo, su, non c’è nulla di male. E quante donne nella stessa fascia d’età hanno provato uno dei tanti deliziosi balletti presenti nel film? Intere generazioni sono cresciute con pellicole del genere, segnalate nella lista di quelle “da non perdere assolutamente” e da inserire gelosamente nel pacchetto delle proprie conoscenze, insieme a tanti altri capisaldi come “Via col vento”, “Una poltrona per due”, “Mamma ho perso l’aereo”, per non parlare dei grandi classici. Tutti quelli che oggi finiscono sotto la falce del fondamentalismo fuori controllo della cancel culture. Ultimo in ordine di tempo, proprio il film “Grease” del 1978, con la splendida Olivia Newton John e un John Travolta con un’adorabile faccia più che mai da schiaffi. La storia la conoscono tutti, non c’è bisogno di riassumerla. Tanto meno lo scenario, quei ruggenti anni ’50 tra auto rombanti e rock ‘n’ roll così ben ricostruiti dal regista Randal Kleiser e dalla sua troupe. Eppure no, oggi non va più bene, oggi non va più trasmesso.
A emettere questa sentenza è nientemeno che un social network: Twitter. A dare l’avvio al processo è un’utente inglese, che dopo aver visto la messa in onda del film sulla BBC, scrive: “Aaahh signori. Ho appena visto Grease, uno dei miei film preferiti e così dei suoi tempi. Misogino, sessista e un po’ orientato allo stupro”. Questo è l’atto d’accusa, che viene raccolto e ripetuto con un effetto moltiplicatore da una valanga di utenti, dove ognuno mette un po’ il suo per aggravare l’accusa. Sentenza finale (state a sentire): è sessista perché la protagonista cambia per piacere a Danny, il protagonista, e nessuna donna dovrebbe cambiare per questo motivo. Incita allo stupro nella canzone “Summer nights”, quando un verso chiede al ragazzo se lei abbia “fatto resistenza”. Basta questo? Figuriamoci. “Grease” è anche omofobo, perché ad un punto l’annunciatore in una festa scolastica invita a formare coppie, specificando “non dello stesso sesso”. Fioccano poi le formulette femministe con hashtag annesso: accusa di fare #upskirting nella scena dove un ragazzo si corica in terra per guardare sotto alle gonne delle ragazze e accusa di #slutshaming quando una delle protagoniste viene biasimata per aver fatto sesso non protetto. Ciliegina: praticamente nessuno degli attori è afroamericano, dunque “Grease” è anche razzista.
Quanto è grande il male che ci troviamo davanti.
Con un pacchetto d’accuse del genere e così tante “prove” a carico, la sentenza non può che essere una: cancellare. Guai a mandarlo in onda di nuovo. Questo è il messaggio che una valanga di ebeti armati di connessione internet ha mandato alla BBC, che di certo non valuterà la mobilitazione per quella che è, cioè una manifestazione di grave psicosi espressa tramite un (scandite mentre leggete) social network. Una piattaforma costruita per gente che si nasconde dietro nickname e foto false, spesso replicate in più profili, dove spadroneggiano i “bot”, ci sono limiti all’espressione, la pornografia dilaga, il tutto concepito essenzialmente per intrattenere gli utenti e fare man bassa dei loro dati e comportamenti online. Per quello che è e rappresenta, Twitter (come tutti gli altri social network) e le sue mobilitazioni dovrebbero dare un’indicazione molto chiara al mondo reale: si continui a fare l’esatto contrario di ciò che suscita sollevazioni e proteste. Invece la BBC, ci scommettiamo, ha già cancellato da ogni palinsesto sia Grease che chissà quante altre produzioni non in linea con la cancel culture. Che a ben guardare, per la sua stessa natura, probabilmente non ammette altro che il vuoto totale, la cancellazione di tutto, perché di fatto niente al mondo può davvero rispettare i criteri di questi fondamentalisti del politicamente corretto, questi nuovi “piagnoni” che vanno in giro a cercare qualcosa da bruciare (come ha notato Rowan Atkinson, in arte “Mr. Bean”). E non sorprende che poco dopo dagli USA arrivi la notizia della cancellazione nientemeno che dell’Odissea di Omero in quanto razzista.
Anche se di tanto in tanto delle crepe belle grosse si aprono. Quando ci si muove in un contesto iper-radicalizzato popolato da soggetti che pretendono di essere puri e dettano regole di purezza agli altri, inevitabilmente si tende a essere più realisti del re. Per non sbagliare, per non incorrere in censure o shitstorm su qualche social network (sempre loro), si fa gara a chi è più estremo, cioè più stupido. Una condotta che ricorda da vicino il comportamento zelante degli arrivisti e arrampicatori dei regimi totalitari, che gareggiavano nel mostrarsi conformi alla linea, anche a costo di crudeltà e pazzie disumane. Ed ecco che, mentre su Twitter i giacobini della social justice tagliano la testa a “Grease”, spunta il video dell’apertura nel nuovo anno del Congresso americano, come da tradizione introdotta da una preghiera. A dirigerla è il pastore protestante Emanuel Cleaver, deputato del Partito Democratico USA. Terminata l’orazione si lancia in un “amen”, seguito da un politicamente correttissimo… “awomen”. Il Congresso, parte dei social network e tutto il mondo con un cervello non sa se ridere o piangere. Lo sanno anche le pietre che “amen” è aramaico e significa “così sia”, dunque il men di cui è composto non ha nulla a che fare con gli uomini. Cleaver è un pastore, non può non saperlo. Eppure, forse su ordine della presunta Vice Presidente Kamala Harris, ritiene di non dover rischiare di adontare le donne e crea un ibrido aramaricano, quel “awomen” che più di ogni altra cosa in questo 2021 dà la misura di quanto è grande il male che ci troviamo davanti, e che va schiacciato come uno dei più velenosi serpenti in circolazione. E così sia.