A darne notizia è Il Giornale: in Spagna, dove la tolleranza verso la prostituzione sfiora la legalità, molte donne single che si trovano in grave crisi economica a causa delle restrizioni anti-covid, trovano il modo di uscire dalle difficoltà improvvisandosi professioniste del mestiere più antico del mondo. La depressione economica in Spagna è grave un po’ come ovunque, dopo il passaggio del coronavirus. Si registra un 21% medio di disoccupazione su scala nazionale, che colpisce indistintamente donne e uomini. Le prime però, se disinvolte e attraenti, hanno un’occasione in più. “Lo confermano gli annunci di trentenni, quarantenni, ma anche cinquantenni scaricate dal mondo del lavoro e avvicinatesi al business della prostituzione”, riporta Il Giornale. “Alla classica formula «giovane-spagnola-studentessa» si sono aggiunte «trentenne-spagnola-ex segretaria» o «ex impiegata», «ex amministratrice», ma anche «ex cuoca» o «ex insegnante». Formule dialettiche molto redditizie”. In effetti si racconta di Eléna, che “chiede 300 euro per un’ora di sesso, tantissimo. Riceve in un minuscolo appartamento affittato per discrezione. Dai quasi 2mila euro di prima, ora ne porta a casa 8mila con uno o massimo due clienti al giorno, poi si dedica a shopping e cura del corpo”. Non male.
Si pesca così in un settore che presso i cugini iberici è estremamente dinamico. “In Spagna”, riporta ancora Il Giornale, “esistono oltre 3mila case di tolleranza, di cui un 30% registrate come centri estetici e bar discoteche con hotel annesso, in regola col fisco. Le lavoratrici del sesso sfiorano le 80mila unità (+22% rispetto al 2019) e operano a casa, bar discoteche, saloni di bellezza o strada. Producono un giro d’affari annuale di tre miliardi di euro (in parte tassato) che equivale allo 0,45% del Pil nazionale”. Di nuovo: non male. Tanto da indurre ad aprire una doppia riflessione: dal lato delle politiche pubbliche ha davvero senso, come si fa in Italia, tenere ferma la legge che impedisce l’apertura di “case di tolleranza”, datata nientemeno che 1958? Ha senso, come fa la normativa attuale, punire lo “sfruttamento della prostituzione”, che alla fine, oltre a risultare un’ipocrisia che non limita il fenomeno (ma perché limitarlo?), penalizza soltanto le vittime di un’orrida tratta di persone, usualmente organizzata sulla pelle delle donne immigrate, lasciando piena libertà “imprenditoriale” a escort di lusso, studentesse, casalinghe nostrane? Occorrerebbe riaprire un dibattito in questo senso, avendo ben chiaro, e qui la seconda riflessione, quello che parte della “manosfera” enfatizza spesso (non di rado in toni un po’ troppo ossessivi): il maggiore potere economico della sessualità femminile rispetto a quella maschile.
Guai oggi a dire che la donna non è una vittima, anzi ha potere.
In Spagna, come in Italia, come ovunque, la possibilità di uscire da uno stato di crisi o indigenza vendendo prestazioni sessuali è sostanzialmente monopolio femminile. Una via d’uscita analoga per gli uomini non c’è, o è limitatissima restando nell’alveo dell’eterosessualità. La musica cambia per l’uomo che si presti a servizi a carattere omosessuale che però, per chi omosessuale non è, rappresenterebbe una forzatura, una violenza alle proprie inclinazioni, che la prostituzione femminile ed eterosessuale non conosce. Questo dimostra che uno dei capisaldi di taluni gruppi appartenenti alla “manosfera” non è poi così campato in aria. Le donne detengono a tutti gli effetti un potere dirompente, essenzialmente rivolto verso gli uomini, i quali non si possono giovare di nulla del genere, a parti invertite. Si tratta di uno sbilancio molto forte, radicato nella diversa natura dei due generi, e che in qualche modo rispecchia molte dinamiche relazionali “normali”, per dire così, tra uomini e donne, laddove quest’ultima può trovarsi nelle condizioni di fare e disfare, di manovrare come una marionetta o gettare via tutti gli uomini che vuole. I quali, per ottenere ciò che essa offre, non basta che siano belli, prestanti e sessualmente attraenti: in genere devono anche saper fare e avere per accedere al corpo e alla sessualità della donna.
In Spagna queste dinamiche, causa crisi, diventano un fatto meramente commerciale, su cui difficilmente si può dare giudizi trancianti. Quelle donne fanno liberamente ciò che credono del proprio corpo e anzi bisogna guardare con rispetto e ammirazione il loro privilegio di poterlo mettere a frutto. E bene fa lo Stato spagnolo, pur se anche lui con una buona dose di ipocrisia, a tollerarlo e in parte legalizzarlo. Ma non può sfuggire come questo divario, spogliato dall’aspetto dichiaratamente commerciale, in buona misura si replichi nelle relazioni interpersonali e nella capacità di incontrarsi di uomini e donne in uno scenario socio-culturale dove l’edonismo e la ricchezza sono quasi fondamenta esistenziali. Non adeguandosi alle quali c’è il rischio concreto di essere tagliati fuori da qualunque tipo di occasione affettiva o sessuale. È nella congiunzione tra l’antico divario naturale nel possesso del potere sessuale tra uomini e donne e il contesto moderno dove occorre essere ricchi e belli per potersi permettere qualunque cosa che nascono fenomeni di sofferenza sempre più ampi e radicati, specie nelle nuove generazioni. Ad essi si danno tanti nomi diversi (hikkikkomori, incel, eccetera), tutti ugualmente criminalizzati e ostracizzati, dato che la debolezza non può essere tollerata, specie se mette il dito nella piaga della cultura dominante. Specie se rivela che sì, gli uomini detengono quasi in esclusiva il potere legato alla coercizione e all’uso della forza, ma le donne detengono in esclusiva quello sessuale. Ma guai oggi a dire che la donna non è una vittima, anzi ha potere. Eppure è questo ciò che la vicenda spagnola ci racconta a chiare lettere.