La Fionda

Regione Marche. Centri antiviolenza allo scoperto: piatto ricco…

Da diverso tempo analizziamo i dati allarmistici forniti dai centri antiviolenza e dalla rete nazionale 1522, che devono parlare costantemente di preoccupazione in aumento. Una frase che non significa nulla in quanto la preoccupazione aumenta sempre, a prescindere dalla curva dei contatti al numero verde antiviolenza, antistalking, antiuomo. C’è preoccupazione se le chiamate sono in calo (dato oggettivo) perché vuol dire (licenza interpretativa) che le donne sono controllate a vista h 24 dai propri aguzzini e non riescono nemmeno a fare una telefonata. Ma c’è preoccupazione anche se i numeri sono in aumento (veloce correzione del dato oggettivo) perché vuol dire (licenza interpretativa) che le donne sono riuscite a chiamare il 1522 seguendo gli astuti stratagemmi suggeriti dalla martellante campagna istituzionale: chiamate quando andate a gettare i rifiuti, quando uscite col cane, quando andate in farmacia. Poi c’è preoccupazione anche se le chiamate sono stabili perché vuol dire (immancabile licenza interpretativa, quello sui finanziamenti è un vero tormentone) che quanto viene fatto non è abbastanza e bisogna fare di più. Cioè stanziare più fondi, alla fine della fiera l’Antiviolenza srl punta sempre ai finanziamenti pubblici. Abbiamo già approfondito l’argomento più volte (qui e qui).

Ai vertici del 1522 ogni tanto capita persino di scivolare sulla buccia di banana, commettendo  l’errore di rendere noti i particolari delle chiamate ricevute: nel computo dei contatti la parte del leone la fanno gli scherzi telefonici e le richieste generiche di informazioni, come riportiamo nelle tabelle in questo articolo. Le richieste di aiuto sono circa il 20% delle chiamate ricevute, ma la percentuale si assottiglia ulteriormente se si considerano le persone che, dopo aver dichiarato di essere vittima di violenza, effettivamente attivano un iter giudiziario; la percentuale scende al 4%, 341 casi su oltre 9.000 contatti nel trimestre precedente al lockdown (dicembre 2019, gennaio e febbraio 2020). Sarebbe interessante avere i dettagli da ogni singolo centro antiviolenza o perlomeno da ogni singola Regione, su scala annuale e non trimestrale. Lo hanno fatto le Marche col Presidente dell’Assemblea legislativa, Dino Latini, che nella seduta aperta del Consiglio Regionale di fine anno ha presentato il Rapporto annuale 2019 sul fenomeno “donne vittime di violenza”.

Dino Latini
Dino Latini

I fenomeni non comprovati di fatto non esistono.

Il rapporto viene redatto in base alle segnalazioni dei  5 centri antiviolenza (Ancona, Ascoli, Pesaro, Fermo, Macerata) attivi nelle Marche insieme a 8 strutture residenziali, le case di fuga o case rifugio. In totale 471 contatti ricevuti da 5 centri, in calo (- 11,8%) rispetto al 2018, ma si tratta appunto di contatti. La voce generica “contatti” accorpa sia le telefonate che gli ingressi agli sportelli? Telefonare al 1522 o contattare lo sportello di un centro antiviolenza è solo il primo passo, avviare un iter giudiziario è un’altra cosa, un’altra ancora è ottenere in tribunale il riconoscimento di fondatezza delle accuse e quindi la condanna del reo. Secondo il rapporto marchigiano 6 donne ogni 10.000 abitanti hanno contattato un centro antiviolenza, dato in macroscopica controtendenza con i risultati catastrofici delle stime ISTAT: 6 donne ogni 10.000 abitanti significa, su scala nazionale, un totale di 36.000 vittime o presunte tali su 60 milioni di abitanti. L’ISTAT invece sostiene che le donne vittime di violenza maschile sarebbero circa 7.000.000 e non 36.000, il divario è abissale. Inoltre quelli marchigiani sono dati documentati e verificabili, mentre l’ISTAT diffonde stime basate su sondaggi telefonici anonimi. A chi credere? Quali cifre sono più attendibili?

Anche considerando una variabile fisiologica, il fatto cioè che 6 su 10.000 non sia la media nazionale ma in Sicilia siano 8 su 10.000, nel Lazio 10, in Toscana 12, in Piemonte 14, in Emilia 16 ed in Lombardia 18 arrivando quindi a triplicare la percentuale marchigiana, la soglia dei 7.000.000 propagandata dall’ISTAT sembra oggettivamente irraggiungibile. A chi legge il compito di formarsi un’opinione. Ma la motivazione di scorta è ampiamente rodata, la conosciamo: il sommerso. I dati ISTAT sono Vangelo, milioni e milioni di donne avrebbero urgente bisogno di chiamare i CAV ma non lo fanno solo perché temono le reazioni violente di mariti e conviventi. Il che spiega tutto senza spiegare niente. I fenomeni non comprovati di fatto non esistono, a meno di non accettare anche l’esistenza dei fantasmi (ci sono ma non si manifestano per ragioni loro…).

statistiche
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Eccolo là, il sommerso!

Il sito della Regione Marche pubblica inoltre un elenco dettagliato di centri antiviolenza e succursali varie, da cui risulta che i centri antiviolenza centrali di Ancona, Ascoli, Fermo, Macerata e Pesaro hanno attivato anche 8 sportelli a Castelraimondo, Civitanova, San Ginesio, Porto Recanati, Pedaso, S. Elpidio a Mare, Porto Sant’Elpidio, Comunanza, Pagliare del Tronto, S. Benedetto del Tronto. È utile aumentare la capillarità sul territorio. Continuando però nell’analisi dei dati diffusi dal Consiglio Regionale, vediamo che un tale spiegamento di forze sembra essere sproporzionato rispetto alla mole di richieste; 471 contatti in un anno distribuiti su 5 centri più 10 sportelli significano 31 contatti per ogni sede centrale o periferica, nemmeno 3 al mese. In pratica una telefonata a settimana, la quarta silenzio. Ovviamente è una media, quindi alcuni sportelli riceveranno 10/15 contatti al mese ed altri resteranno inattivi. Forse la  Regione Marche rappresenta un’isola felice mentre tutt’intorno le regioni italiane grondano sangue, lividi e fratture. Sembra una chiave di lettura difficilmente conciliabile con quanto propagandato dall’ISTAT.

Poi il rapporto parla delle 108 donne adulte ed 11 minori ospitati nelle case di fuga ad indirizzo segreto, le strutture che consentono l’immediato allontanamento dall’orco alle donne che denunciano di aver subito violenza e decidono di iniziare un iter giudiziario: 108 si allontanano dal mostro, meno di un quarto dei 471 contatti, mentre 363 persone non danno seguito ai colloqui avuti col CAV. Il rapporto annuale, tuttavia, non chiarisce quanti fondi pubblici siano stati stanziati per coprire il mantenimento dei 5 CAV, dei 10 sportelli periferici e delle 8 case protette: operatrici volontarie e professioniste, affitti, utenze, assicurazione, arredamento, computer, stampanti, fotocopiatrici, materiale di consumo e tutto ciò che è necessario alla gestione di ogni pur piccolo ufficio. Senza questo dato fondamentale non è chiaro il rapporto costi-benefici, quanto cioè sia costato alla collettività rispondere a 471 telefonate ed ospitare 108 vittime. Qualunque sia la cifra non basta, bisogna spendere di più: la Presidente della commissione Sanità, Elena Leonardi, illustrando i dati del dossier, ha ribadito quanto sia importante tenere alta l’attenzione su “un fenomeno preoccupante, ancora molto diffuso, e caratterizzato da un grandissimo sommerso” (come volevasi dimostrare eccolo là, il sommerso, cioè i fantasmi!).

Simona Lupini
Simona Lupini

Creando un problema creo anche il diritto di potermene occupare.

Se chiamano meno di 500 persone non vuol dire niente, in realtà sono milioni quelle che avrebbero bisogno di chiamare e non lo fanno. Rastrellamento a tappeto, prima o poi qualcuno sosterrà che bisogna andarle a stanare casa per casa. Simona Lupini, Vicepresidente della commissione Sanità della Regione Marche ha parlato di “strumento di analisi prezioso che consente di prefigurare possibili interventi per migliorare gli strumenti già messi in campo”. Qualcosa è stato fatto ma non basta, non basta mai, bisogna fare di più. La consigliera regionale Manuela Bora, referente del Comitato per il controllo e la valutazione delle politiche, ha evidenziato come siano “ancora troppe le domande che non ricevono risposte”. Qualcosa è stato fatto ma non basta, bisogna fare di più L’assessore alla Sanità, Filippo Saltamartini, ha auspicato “nuove misure repressive” e ha annunciato interventi ad hoc da inserire nel nuovo Piano socio sanitario. Qualcosa è stato fatto ma non basta, bisogna fare di più

Comunque lode alle Marche per aver dettagliatamente descritto la mole di lavoro affrontata dai centri antiviolenza nel 2019, non lo fanno tutti. Sarebbe interessante avere dati analoghi resi pubblici da tutte le regioni italiane; interessante ai fini di studio ma anche fondamentale per verificare la fondatezza delle stime ISTAT targate Linda Laura Sabbadini, basate su indagini telefoniche. Rimane però il dubbio sulla effettiva necessità della moltiplicazione di sedi e relativi costi. È lecito chiedersi che tipo di assistenzialismo sia quello che ossessivamente chiede soldi, più soldi, ancora soldi. Leggiamo continuamente di fondi erogati ai centri antiviolenza da fonti ministeriali, regionali, comunali ed europee ma un dato glasnost manca su scala nazionale: come vengono spesi? Ogni 1.000 euro erogati, qual è la somma effettivamente destinata alla protezione e al sostegno delle vittime, e quale necessaria al mantenimento dell’intera  baracca? Sarebbe il caso di fare chiarezza per evitare che nella popolazione cresca il dubbio “piatto ricco, mi ci ficco”.  I numeri gonfiati devono avere uno scopo, i sette milioni di vittime ISTAT non nascono a caso. Creando un problema creo anche il diritto di potermene occupare. Sono ingenuo, non posso credere che sia questo.



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