Solo una settimana fa davamo conto in questo articolo degli effetti devastanti che un uso giudiziario del web e dei social network può ottenere. Un uomo, massacrato pubblicamente mentre era in attesa di giudizio davanti a un reale tribunale della Repubblica, per la vergogna e lo stress si è tolto la vita, senza che di ciò nessuno paghi la minima conseguenza. Dalla vicenda è derivata un’osservazione: il mondo virtuale e il suo popolo di minorati sta gradualmente assurgendo a istituzione. La “piazza virtuale”, quella che usualmente pretende la gogna e ottiene decapitazioni e impiccagioni, si sta trasformando da luogo dove condividere gattini, cagnolini o il bisogno individuale di esibirsi, in vera e propria sede giurisdizionale. Quando emerge un caso di cronaca, abbiamo dunque un primo grado, seguito eventualmente dall’Appello, poi dalla Cassazione, se del caso. In ogni punto di questo percorso però ormai è legittimo che si inserisca un quarto grado di giudizio, emesso dal tribunale supremo di Facebook, Instagram, Twitter o una qualunque delle note piattaforme online. Non di rado, come si è visto una settimana fa, le sue sentenze risultano sovraordinate a quelle degli altri gradi di giudizio. Pare mostruoso ma è sempre più così.
Sempre nei giorni scorsi davamo notizia, nel nostro conteggio “Sorella io NON ti credo” e nei titoli a scorrimento in homepage, dell’assoluzione con formula piena di Franco Laterza, 57enne pugliese, presentatore televisivo locale, scagionato più volte dalla falsa accusa di stalking e lesioni da parte della sua ex amante. Niente di sconvolgente, la normalità di un paese in cui la giustizia è sovvertita se si tratta di relazioni tra uomini e donne. Solo una delle almeno 260 false denunce presentate in Italia quest’anno da donne contro uomini, tutte polverizzate da un legittimo tribunale dello Stato. Eppure… eppure in questo caso la non-vittima non ci sta e fa ricorso al tribunale supremo del web e dei social, coinvolgendo nel ricorso anche una delle sue figlie. Si professa vittima, ovviamente, contro la valutazione del tribunale: dai profili suo e quello di sua figlia partono accuse e calunnie diffamanti verso Franco Laterza, come se la dichiarazione di innocenza del Tribunale di Lagonegro fosse carta straccia e i giudici che l’hanno redatta una legione di imbecilli. Non digerisce, la signora, che no, non può fare del vittimismo un elemento della propria identità pubblica, non le è consentito. Al momento solo una sua conterranea, Eleonora De Nardis, riesce a passare per vittima pur essendo stata dichiarata colpevole, ma costei ha amicizie altolocate, che non tutti hanno.
Ogni altro commento sarebbe veramente di troppo.
Ecco allora che Franco Laterza, dopo essersi dovuto difendere in tribunale da una serie di calunnie, ora deve affrontare il processo mediatico, il più difficile: essendo uomo, per i minorati e le minorate dei social è colpevole di default. Ecco che si arriva allora al paradosso: una persona dichiarata innocente con formula piena (“perché il fatto non sussiste”) è costretta a diramare un comunicato stampa di autodifesa nell’ambito del tribunale informale ma supremo del web. Riportiamo dunque qui di seguito, per dargli forza, il comunicato stampa di Franco Laterza. Lo facciamo non solo per lui, ma come contributo per riaffermare lo Stato di Diritto, proprio ora che è sotto l’attacco della follia internettiana: “Vedo che, non paga di aver reso di pubblico dominio una vicenda obbiettivamente disadorna”, scrive Laterza, “la mia controparte ha ritenuto di dover coinvolgere nella questione i propri figli, mettendo in scena un secondo processo, quello mediatico dopo quello penale. Nel tentativo evidente di ribaltare il verdetto giudiziario, che, con buona pace della mia persecutrice, è inequivoco: IL FATTO NON SUSSISTE. Cioè non ci fu né stalking né violenza privata. Ovviamente non intendo rispondere e non risponderò alla giovane che ha ceduto alla istigazione materna e si è impancata a Tribunale del Popolo, ignorando che i processi si fanno nelle Aule dei Tribunali e non sulle pagine di Facebook.
Risponderò, invece, alla sua mamma, secondo la quale non c’è differenza tra lo stalking, la violenza privata e la diffamazione a mezzo stampa. Ovviamente la signora conosce tanto bene la differenza che, nel corso degli anni, non ha perduto occasione per ‘diffamarmi’ (essa sì) come uno stalker e per reiterare anche per l’anno 2013 una ulteriore denuncia per stalking (punito con la reclusione fino a 6 anni!) e ancora una volta per violenza privata (punita fino a 4 anni). Altro che diffamazione! Va da sé che non sono affatto contento per la censura relativa alla diffamazione, ma so in cuor mio che, anche per questo presunto illecito, la Corte d’Appello saprà stigmatizzare la calunniosità della denuncia. Intanto, sarebbe onorevole e decoroso che la signora desse atto (davanti al pubblico di Facebook che ha ritenuto di dover scomodare) che, per il reato più odioso che mi si potesse contestare (nei confronti delle donne che ho sempre rispettato), un Tribunale della Repubblica ha già riconosciuto la mia innocenza. E, per l’ulteriore calunniosa denuncia che sarà discussa il 21 gennaio, è già intervenuta una decisione del Tribunale della Libertà, che ha colpito con il marchio della inattendibilità sia le dichiarazioni della signora sia quelle del testimone di Sua Maestà (un maschietto, l’unico, sempre lo stesso). Ogni altro commento sarebbe veramente di troppo”.