Guardiamo un po’ i numeri. È utile perché quelle stramaledette cifre sono implacabili e soprattutto non mentono mai. Secondo un dossier EURES del 2016 intitolato “I numeri della Sanità del Lazio“, in circa dieci anni, a causa dei tagli, il personale attivo nel sistema sanitario regionale è crollato del 16,8%, pari a circa 9 mila tra medici, infermieri e operatori non più disponibili per assistere i malati. Non solo: “Le politiche di “risanamento” hanno avuto effetti importanti anche sulle dinamiche retributive”, dice il report. Ossia gli operatori risparmiati dai tagli hanno subito una riduzione degli stipendi complessiva pari all’11,3%. Ancora: “a fronte di un forte incremento in particolare della popolazione anziana, ovvero della componente più fragile della popolazione e maggiormente bisognosa di assistenza e di cure”, dice il report dell’EURES, “si assiste ad una flessione significativa del numero dei posti letto nelle strutture ospedaliere che passano da 31.163 a 22.033 (-29,3% in valori percentuali)”. In altre parole la Regione Lazio negli ultimi anni ha sostanzialmente distrutto il proprio sistema sanitario. Il termine “distruggere”, ben intesi, non è nostro, ma è la citazione diretta di una recente valutazione della Corte dei Conti sul “modello Lazio” di gestione della sanità.
Oggi si favoleggia di vaccino contro il coronavirus. Un’isteria che incrocia interessi farmaceutici, da un lato, e un terrore diffuso nell’opinione pubblica da un’azione ben coordinata dei mass-media e dai giganti del web che alimentano le contrapposizioni tra no-vax e sì-vax. Discorsi campati in aria: è noto che il coronavirus abbia una conformazione tale da non permettere la produzione di un vaccino efficace, esattamente come accadde anni fa con l’HIV. Anche ai tempi si discusse a lungo, ma con minori psicosi (non c’erano i social network…), di vaccino. Compreso che era pressoché impossibile crearne uno, si concentrarono le risorse su due direttrici: la cultura della prevenzione e le cure. Anni dopo, cioè oggi, si è arrivati a un sostanziale contenimento della diffusione dell’HIV e all’elaborazione di protocolli di cura che garantiscono una buona speranza di vita e un’ottima qualità della vita a chi si ammala di AIDS. Seguendo la falsariga di quell’esperienza, Stato e Regioni (queste ultime responsabili per la Sanità) avrebbero dovuto, fin dall’insorgere della pandemia, convogliare ogni risorsa a rafforzare il sistema di prevenzione e cura, visto oltre tutto che, a differenza dell’HIV, dal covid si può guarire. Investimenti significativi avrebbero fatto un gran bene a quel sistema sanitario smantellato negli anni da governi a trazione neo-liberista, come tali ansiosi di deviare l’utenza sul privato creando disservizi intollerabili nella sanità pubblica. È infatti parere di molti, difficilmente non condivisibile, che buona parte dei morti di quest’ultima stagione buia, siano essi di covid-19 o con covid-19, si sarebbero potuti evitare se i vari sistemi sanitari regionali fossero stati attrezzati e pronti ad assorbire l’emergenza. La sanità italiana degli anni ’80 o ’90, senza andare troppo lontano, avrebbe saputo contenere i danni molto di più della sanità attuale.
I laziali che smettessero di respirare possono chiamare il 1522.
Alla luce di ciò, se prima abbiamo visto le cifre che rappresentano una “causa”, ora vediamo le cifre che rappresentano “gli effetti”, sempre concentrandoci sul Lazio. Secondo le rilevazioni del “Sole24Ore” si tratta della quarta regione italiana con più casi giornalieri e soprattutto la sesta per numero di decessi, con 3.156 morti ad oggi. Quanti di questi, specie anziani, avrebbero potuto essere ancora vivi in presenza di una sanità pubblica solida, ben strutturata sotto l’aspetto delle infrastrutture e del personale? Se tra i lettori c’è qualche laziale che ha perso un proprio caro si faccia con profondità questa domanda, dopo di che si chieda: quante apparecchiature medicali, quanti presidi sanitari, quanti farmaci, quanti medici, infermieri e operatori in più si sarebbero potuti garantire mettendo a disposizione 1,5 milioni di euro? Forse non avrebbero risolto il problema complessivo, ma qualche vita si sarebbe indubbiamente salvata. Poi se non vi piace la tematica sanitaria legata al covid, si può anche passare ad altri settori, ad esempio quello dell’occupazione: quanti posti di lavoro si potrebbero creare, attraverso varie misure mirate, avendo a disposizione 1,5 milioni di euro? C’è poi la formazione professionale, altra competenza regionale importante anche in ottica occupazionale: quanti corsi per il ricollocamento professionale di chi ha perso il lavoro (oggi tantissimi causa pandemia) si potevano organizzare con 1,5 milioni di euro? Tanti, in questo caso tanti. Non vi piace nemmeno questo? La Regione ha competenze anche sui trasporti: quanti miglioramenti si potevano fare sui trasporti pubblici laziali con 1,5 milioni di euro, anche nell’ottica di evitare gli assembramenti? Parecchi.
Ebbene, cari amici laziali, qualunque sia il settore di competenza regionale su cui si possano immaginare migliorie cruciali per la vita di tutti voi con lo stanziamento di 1,5 milioni di euro, la conclusione resta una sola: scordatevele. La vostra Regione, Nicola Zingaretti, il vostro Governatore nonché Segretario di un partito minoritario e purtuttavia al governo di questo paese, ritiene che 1,5 milioni di euro in questa fase vadano meglio allocati per comprar casa ai centri antiviolenza. Lo annuncia trionfante la senatrice Valeria Valente in un post su Facebook (corsivi e punti esclamativi nostri): “la Regione Lazio, con l’assessora (!!!) alle Pari Opportunità Giovanna Pugliese, ha stanziato 1,5 milioni di euro per l’acquisto di due immobili per la casa delle donne Lucha Y Siesta e per l’apertura di un centro antiviolenza a Sezze intitolato a Donatella Colasanti“. Non è bastata la marchetta parlamentare che ha ripianato il gigantesco debito dell’associazione “Casa delle donne”, morosa di quasi un milione di euro di canone d’affitto verso il Comune di Roma, ora le risorse pubbliche servono per comprar casa a soggetti che si propongono di affrontare una “emergenza” rappresentata nel Lazio (dati ISTAT – Ministero della Giustizia) da una media annuale di condanne per violenze sulle donne pari alla “bellezza” di 417 casi (autori uomini e donne sommati, il dato scorporato non è disponibile). In realtà, è evidente, sono soldi destinati alle portatrici di interesse del femminismo, che sono anche virtualmente portatrici di voti (le elezioni per il Comune di Roma si avvicinano, com’è noto) e probabilmente, nostra mera ipotesi e opinione, di un’ampia e diffusa attività di corruzione e finanziamenti illeciti alla politica. Inoltre, che fine faccia la proprietà di quegli immobili in caso di scioglimento delle associazioni antiviolenza destinatarie della regalia non si sa, così come non è pervenuta alcuna reazione dagli elettori laziali per questa destinazione di fondi. Non resta che attendere le prossime tornate elettorali per capirlo. Nel frattempo quegli stessi elettori e i loro cari, nel caso smettessero di respirare e avessero bisogno di cure, possono chiamare il 1522 o chiedere aiuto al centro antiviolenza Lucha Y Siesta presso i suoi nuovi appartamenti o a quello che si aprirà a Sezze.