La Fionda

Il calendario Codacons e i tanti perché senza risposta

La nota associazione in difesa dei consumatori Codacons quest’anno propone un calendario che, nelle intenzioni, vorrebbe simboleggiare ad un tempo la bellezza del nostro paese e la spinta, anche tramite quella bellezza, a riprendere in mano la nostra vita dopo la mazzata del coronavirus. Per le immagini si è dunque affidato a una famosa fotografa di Roma, Tiziana Luxardo, che ha realizzato dodici scatti molto belli raffiguranti undici ragazze, più una donna matura. Tranne quest’ultima, le modelle sono tutte svestite, o meglio sono “vestite” soltanto di una mascherina con i colori della bandiera italiana. Ogni foto è accompagnata dalla riproduzione di una cartolina con l’immagine di qualche scorcio di città o borgo del Bel Paese. L’idea può piacere o meno, si può essere esperti di fotografia o no, il dato di fatto è che le foto non sono minimamente volgari (posto che la percezione della volgarità è in gran parte soggettiva), le modelle hanno visi e corpi stupendi, che le fotografie esaltano in modo particolare. Un bel lavoro, insomma, se il messaggio che si voleva mandare era relativo alla bellezza.

La Luxardo, per altro, non è nuova all’utilizzo del nudo. Un’altra sua recente idea originale è stata fotografare la disabilità, anche in quel caso con modelli senza vestiti. Insomma, il suo linguaggio artistico trova una dimensione peculiare nell’utilizzo del nudo e occorre avere occhi, mente e cuore parecchio sporchi per vedere volgarità nei suoi scatti. L’iniziativa del Codacons poi ha preso una via ulteriore, indipendente dalla volontà della fotografa: è stata indetta una sorta di concorso per eleggere la modella più bella del calendario. Niente di sconvolgente, i concorsi di bellezza esistono, sono molto popolari e l’associazione di consumatori è facile che abbia voluto così raccogliere un po’ di partecipazione e attenzione. Insomma, tutto normale e accettabile in un mondo normale. Ma, è noto, ne abbiamo parlato stamattina, la presenza dilagante del femminismo ha reso tutto molto simile a un manicomio. Ed ecco allora che scoppia la polemica. A dare l’innesco è uno di tanti che sperano di pescare consenso politico facendo i servili con le madame del femminismo: Carlo Calenda, che con un tweet stronca in un colpo solo il calendario, il Condacons e il suo presidente. Da lì alla shitstorm il passo è brevissimo.

calendario codacons
Alcuni scatti del calendario Codacons.

Una gran quantità di minorati del web si riversa allora all’attacco dell’associazione, guidati da tweet e post ben mirati pubblicati delle capo-bastone femministe, che rinfocolano l’indignazione. I media servili vanno a traino e a leggere ciò che si scrive in merito, dopo aver visto il calendario, sorge una lunga serie di “perché?”. Scrive Repubblica: “Perché associare, con la più facile e sessista delle metafore, la bellezza al corpo nudo di una donna?”. E perché no? Perché quella metafora sarebbe “sessista”? Cosa c’è di sessista nell’immagine di un bel corpo femminile nudo? “Le foto riprendono il corpo delle donne, denudato e in pose a chiaro sfondo sessuale”, strilla una minorata sui social. Perché a sfondo sessuale? E anche fosse, qual è il problema? Replica un cicisbeo: “Calendario roba da medioevo”. Ma perché? Un’altra minorata: “Vergognoso usare il corpo delle donne”. Ancora: ma perché? Rispetto all’uso del nudo, Repubblica rincara ancora: “Oggi la società va altrove. Per fortuna. Il ‘sentiment’ è altrove”. Sì, è in vacca, verrebbe da rispondere, ma Repubblica ci toglie il fiato: “un calendario di corpi di donne risulta sgradevole, quasi offensivo”. Ma perché, perché? Degnissima di nota la sacerdotessa dello spaccio scolastico di femminismo tossico, Lorella Zanardo, che twitta in piena e allegra contraddizione (corsivi nostri): “Calendario miserabile del Codacons NON è scandaloso xchè ci sono ‘le donne nude’. Il corpo nudo può essere rivoluzionario! Qui vediamo corpi banali spogliati dove la donna è resa oggetto, decorazione e non agisce la libertà del suo corpo (N.d.R.: ?????). Di una banalità e noia sconcertante“. PERCHÉ??? La ciliegina però la mette il coordinamento antiviolenza D.I.Re.: “il calendario ripropone una versione stereotipata della donna. E non basta una mascherina per sdoganare corpi nudi, bianchi, belli e perfetti, che ripropongono la donna come oggetto del desiderio maschile, come se fosse l’unico desiderio legittimo”. Dobbiamo ripetere? Ripetiamo: ma perché?

Tutte domande che non hanno risposta a meno di non cambiare ottica. È piuttosto evidente, infatti, che già così siamo a un livello di manicomio pari, anzi forse più infimo, di quello dei talebani che distruggono le opere d’arte delle altre religioni. C’è una lucida follia nelle argomentazioni portate contro il calendario, con conclusioni prive di senso pronunciate in totale libertà, il tutto davanti a 11 ragazze nude più una donna vestita. C’è inoltre una dose formidabile di invidia e di sessuofobia dietro tutto questo delirio, è fuor di dubbio. C’è anche l’incapacità di cogliere la bellezza per l’accecamento provocato dal furore ideologico. Ma soprattutto, come si diceva questa mattina, c’è il cortocircuito. Sì perché, cercando di difendere il proprio lavoro, la fotografa Luxardo non manca di esporre le proprie credenziali, di dimostrare di essere di razza pura: “sono sempre stata femminista”, dichiara in un post, come se fosse una nota di merito. Ma sono autocertificazioni che non bastano quando “La Bestia in rosa” decide di sbranarti. Allora spuntano sempre quelle più pure che ti epurano, le savonarola in gonnella del nuovo oscurantismo contemporaneo, con il loro codazzo di “piagnoni” che popolano il web e bruciano a comando sul rogo tutto ciò che è bello (o più bello di loro, e ci vuole davvero poco) e la gente che lo crea e lo ammira, comprese le “sorelle” che loro decidono arbitrariamente siano uscite dalla linea. Su tutto questo scoppiettante ed ennesimo cortocircuito sovrasta poi l’immancabile doppio standard: calendari di uomini nudi ne esistono a bizzeffe, ma nessuno si sogna di gridare al sessismo. Tanto meno le femministe, a dispetto dei loro dichiarati afflati per la “parità” e contro il sessismo o gli stereotipi. Che si denunciano quando li si può sfruttare facendo un po’ le vittime, e si dimenticano in tutti gli altri casi.



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