Anne Hidalgo, socialista, è la Sindaco (la sindaca? la sindachessa?) di Parigi. Inquantodonna, e probabilmente anche inquantosocialista, è anche femminista. Non stupisce dunque che nel 2018 abbia nominato per ruoli dirigenziali nella sua amministrazione 11 donne contro 5 uomini. Uno sbilancio che in un’ottica femminista appare del tutto normale, se non fosse che il Ministero della Funzione Pubblica del governo Macron ha osato interpretare il concetto di parità, stabilito da una legge del 2017, in modo rigoroso, e ha multato l’amministrazione parigina per 90 mila euro. La norma è il classico esempio di iniziativa a favore delle “discriminazioni positive”: stabilisce che delle posizioni apicali delle amministrazioni pubbliche almeno il 40% sia garantito a ciascuno dei due sessi. L’unica variabilità consentita è dunque nel restante 20%. Ed è lì che la Hidalgo ha ecceduto “femminilizzando troppo l’amministrazione” e beccandosi dunque la sanzione. Molti ci hanno segnalato questa notizia con una buona dose di goduria, eppure osservando i contorni della vicenda, e contestualizzandola correttamente, riteniamo ci sia ben poco da godere. Anzi, c’è molto da preoccuparsi.
Basta leggere le reazioni dell’amministrazione comunale di Parigi per far salire l’angoscia: “è paradossale rimproverarci nomine che permettono di recuperare il ritardo che avevamo nella parità uomo-donna”, ha dichiarato l’assessore alle risorse umane. Gli fa eco la la Sindaco stessa, con un concetto talmente ardito da apparire surreale: “per raggiungere un giorno la parità, dobbiamo fare in modo che nelle nomine ci siano più donne che uomini“. Parole folli che annunciano il probabile ricorso una legge dell’anno scorso, concepita apposta per permettere gli “sforamenti” dei limiti stabiliti dalla legge del 2017 senza incorrere in sanzioni. La ratio di questa norma correttiva è molto chiara: non possono esserci sanzioni per “chi riequilibra una situazione di disuguaglianza pregressa”. Tra le tante storture insite nella vicenda, e che tra poco ricapitoleremo, questa è sicuramente la più spaventosa. Essa richiama infatti nientemeno che il concetto di “patriarcato storico”, quel sistema che avrebbe sistematicamente escluso le donne e favorito gli uomini. Un sistema la cui esistenza è indimostrata, indimostrabile e a tutti gli effetti destituita di fondamento. Nonostante questo, costituisce il pilastro fondativo dell’ideologia femminista, che anche per questo può essere definita come “una teoria complottista che ce l’ha fatta”. Ad essa si richiama indirettamente la hidalgo quando reclama la parità con l’inserimento nei posti dirigenziali di un maggior numero di donne.
Si ha il pareggio quando le donne vincono 10 a 0.
Ai ruoli apicali, nel privato come nel pubblico, si accede di base per capacità e competenze superiori all’ordinario. Questione di merito insomma. Nel caso del pubblico entrano in gioco anche fattori politici, indubbiamente, il cui peso varia da paese a paese. In Italia, ad esempio, è enorme. In Francia è un po’ meno: non si accede a lavori top nella pubblica amministrazione se non si è diplomati alla esclusiva École Nationale d’Administration (ENA), un istituto super-selettivo (per merito) e durissimo. Prima di avere il protettore politico, dunque, a Parigi e dintorni devi avere avuto le palle quadrate di entrare e superare i corsi dell’École per sperare di fare il dirigente. Nota fondamentale: l’ENA non è mai stata riservata ai soli uomini, dunque la carenza di manager donne è attribuibile ad altro che non a una congiura maschile. Che quand’anche ci fosse stata, per assurdo, comunque difficilmente giustificherebbe la rivalsa o il risarcimento oggi a danno di uomini che con quelle eventuali discriminazioni non c’entrano nulla. Affermarlo significa attribuire una colpa collettiva e storica a un intero genere. Come se gli attuali uomini francesi (e di ogni altro paese) chiedessero alle donne di oggi un tributo di sangue sul campo di battaglia per compensare i milioni di uomini morti (un vero androcausto) nella difesa del proprio paese, ivi incluse le donne, nel corso della storia. Un nonsense che però, forse proprio in quanto tale, trova comoda accoglienza nell’ideologia femminista.
E non solo lì, evidentemente, se sulla base di quell’assunto si fanno leggi che scavalcano l’aspetto del merito, basano la selezione su una parità degli esiti assurda sotto svariati punti di vista (ad esempio: perché 40 e 40 per uomini e donne e nessuna percentuale per omosessuali, trans, disabili, vegani, buddisti, elenco proseguibile ad libitum…?), ottenendo di discriminare oggi i migliori (di ogni sesso) a titolo di risarcimento di una discriminazione mai esistita nel passato, il tutto a vantaggio di un solo genere. Non solo: chi è stato a Parigi lo sa, all’alba il personale del Comune, qualunque siano le condizioni meteo, scende in strada e con pompe a pressione lava le strade. Nessuno di quegli operatori è mai stato di sesso femminile, eppure per quel lavoraccio (e per tanti altri simili gestiti dalla municipalità) la legge non promuove la parità, non impone un 40% minimo di lavastrade donna. Le percentuali forzose valgono solo per i ruoli di comando, comodi e ben pagati. È la parità femminista, signori cari. Nel calcio, Juventus e Inter finiscono in pareggio se fanno 0 a 0, 1 a 1, 2 a 2, cioè quando da un lato dell’equazione c’è lo stesso numero che dall’altro. Nel manicomiale e criminale campo da gioco femminista, si ha il pareggio quando le donne vincono 10 a 0, con almeno 4 gol assegnati d’ufficio a loro favore dall’arbitro.
Si dirà: sono folies, esagerazioni dei cugini d’oltralpe, qui da noi stupidaggini del genere mica attecchiscono. Chi lo pensa ha la memoria corta o non s’informa. Soltanto a luglio scorso le Poste Italiane si vantavano sui media di aver raggiunto la parità portando come esempio gli uffici di Oristano, dove la presenza delle dipendenti di sesso femminile aveva raggiunto il 64%. Non il 50 o il 51 o, esageriamo, il 52%: proprio il 64%. Senza contare che anche in Italia esiste una legge che impone la presenza paritaria di donne e uomini nei CdA delle società quotate (poco importa se le donne nel management sono capre o geni, basta che abbiano la vagina) e che si lavora alacremente a leggi che impongano “bollini” o controlli asfissianti sulle aziende per verificare che attuino la parità, sempre nei ruoli apicali ovviamente, e non manca molto che si stabiliranno sanzioni per chi non si allinea. Altro esempio italiano preso a caso: regioni, città metropolitane e anche comuni microscopici non si fanno mancare ognuno il proprio bel “Comitato di parità“, intesa sempre come parità femminista: non a caso sono pochissimi enti inutili come quelli che abbiano qualche componente maschile, di norma sono al 100% composti di sole donne.
Perché? Be’, perché la logica è sempre la stessa, quella che ha guidato la mano di Anne Hidalgo ad attuare un’occupazione militare femminile dei posti dirigenziali al Comune di Parigi (con i risultati devastanti, per altro, che chiunque può riscontrare facendosi oggi una passeggiata nella capitale francese e paragonandola a com’era solo dieci anni fa). Le donne hanno diritto a strafare nell’acquisizione delle posizioni di potere perché hanno un credito storico. Un assunto che deve essere accettato da tutti in modo passivo e acritico, sebbene non abbia alcun fondamento. E che a tutti gli effetti è penetrato nella mentalità generale, riconosciuto come “valore supremo”, superiore anche a quello meritocratico. Così è nelle amministrazioni pubbliche, nelle società private, nella ricerca scientifica, negli organi rappresentativi: le comunità umane sono attualmente forzate a rinunciare ai e alle “migliori” per lasciare spazio a chiunque porti in sé la coppia cromosomica XX, il tutto sulla base di un “debito” inesistente o esistente solo in modo parzialissimo, e per quella porzione minima contratto da comunità lontane e diversissime dall’attuale. Non c’è dunque da gioire granché per la multa al Comune di Parigi: c’è piuttosto da preoccuparsi del degrado globale e generale di un presente e soprattutto un futuro che si assoggettano senza fiatare a un radicale livellamento verso il basso di tutto ciò che costituisce la linfa della convivenza civile. E non sarà certo una multa a fermare questa caduta libera.