Il femminismo nazionale e internazionale fa scintille negli ultimi tempi. Capitano vicende che sono come mettere i morsetti della batteria dell’auto invertendo i poli. Ultimamente guardare al campo femmminista è come stare a Napoli la notte di Capodanno. Basta davvero poco perché dentro la “sorellanza” si dia improvvisamente fuoco alle polveri e si creino cortocircuiti. Basta ad esempio mettere a contatto una femminista militante e una bella donna. Quand’anche quest’ultima sia dichiaratamente femminista e abbia un curriculum di militanza di tutto rispetto, è certo che se ne vedranno delle belle. L’ha dimostrato Dietlinde detta “Lilli” Gruber, quella che se c’è da dire qualcosa con più arroganza del solito, la dice usando il femminismo come veicolo, quella del libro “Basta! Il potere delle donne”, quella che se governassero le donne… insomma, quella Lilli Gruber, avete capito.
Ebbene, mettete davanti alla Gruber una Maria Elena Boschi, ex Ministro delle Pari Opportunità, ruolo in cui obbedì fedelmente a tutti i dettami femministi più repellenti, e avrete la deflagrazione. Si può dire quello che si vuole della Boschi: antipatica con quel suo atteggiamento da scolaretta secchiona, con quel suo modo un po’ bamboleggiante di parlare, per non menzionare il suo posizionamento politico e le sue amicizie bancarie e politiche, ma una cosa, accidenti, ce l’ha. È bella. Ma proprio bella bella. Ora che ha l’amore, poi, lo è ancora di più. E non c’è insulto peggiore per una ex bella come Lilli Gruber, ora maschera grottesca di ciò che fu. Così l’intervista, da politica che doveva essere, si trasforma in un pistolotto moraleggiante dove la giornalista cerca in ogni modo di umiliare quella che dovrebbe essere una “consorella”. Uno spettacolo penoso in generale e svilente in particolare per la professione giornalistica. Tanto che alcune femministe DOC sono arrivate a criticare la Gruber per il suo atteggiamento, ma così è quando la bellezza (anche solo esteriore) incontra la marcia bruttezza del femminismo. Una regola rispettata poi anche qualche giorno dopo, con la battutaccia della Litizzetto sulla foto di Wanda Nara a cavallo. Una battuta che (lo confessiamo) a noi è piaciuta, l’abbiamo trovata geniale e ci ha fatto ridere parecchio. La “jolanda prensile” è un concetto meraviglioso a commento di quella foto, non si può negare. Ma ancora più bella la shitstorm che ha travolto “Lucianina” subito dopo, proprio lei che si è sempre spesa in spot e fraseggi iperfemministi. Imparerà a sue spese (la Nara intende querelarla) che in quel campo così settario ed estremista si finisce sempre per trovare il più puro che ti epura. E a salvarsi non serve il pistolotto femminista-moraleggiante, come quello che “la Liti” ha pronunciato qualche giorno dopo. Ci vuole ben altro per togliersi di dosso l’etichetta di “sessista”, cara Lucianina.
Il padre, pover’uomo, scrive ai quotidiani, accusando un po’ tutti di codardia.
Ma queste sono quisquilie, pinzillacchere, come direbbe Totò. Gli ultimi giorni ci hanno riservato ben di peggio. Come il caso della tragica morte di Ylenia Bonavera, a Napoli. I media hanno approcciato la vicenda con una forma strana di stop-and-go, derivazione diretta dei tentennamenti del fronte femminista (che detta gli articoli ogni volta che una donna muore di morte violenta). Noi stessi ci abbiamo messo del tempo per raccapezzarci. Subito infatti si è gridato al “femminicidio”, tanto che il prontissimo portale “femminicidioitalia.info” aveva immediatamente inserito il nome di Ylenia nell’elenco dei casi di quest’anno. In quel momento non si sapeva ancora chi fosse l’autore, quindi il sito si limitava a riportare una vecchia storia in cui Ylenia era stata aggredita dal fidanzato. Poi esce la verità: a uccidere la giovane con una coltellata è stata “una amica”. Niente “femminicidio” insomma: una donna che uccide un’altra donna esclude la fattispecie. Eppure il nome di Ylenia resta negli elenchi. Strano. Infine la scoperta: la “amica” omicida in realtà è un trans. Cioè biologicamente (e in realtà) è un uomo. Dunque è “femminicidio” o no? Ecco che scoccano scintille che pare di stare in acciaieria, con le femministe tradizionali che vorrebbero dire di sì: l’omicida è un trans, un uomo a tutti gli effetti ma… ma non si può dire, niente ennesimo “femminicidio”, che disdetta! È che dall’altro lato ci sono le femministe intersezionali e tutto il movimento “queer” pronti a sparare a palle incatenate contro il primo che metta in dubbio che l’omicida sia una “amica” e non un “amico”. Alla fine tutto viene un po’ insabbiato, i media mainstream si tengono lontani dalla notizia, che resta confinata su testate minori. E intanto il nome di Ylenia resta negli elenchi di “femminicidioitalia.info”. Ci mancherebbe…
Un simile parossismo caratterizza il caso di Mila, una sedicenne francese che sui social si era dichiarata lesbica, naturalmente tuonando fuoco e fiamme contro il patriarcato, gli uomini violenti e bla bla bla… Per quei suoi post aveva ricevuto moltissimi attacchi feroci, gran parte dei quali scritti da giovani musulmani. In risposta lei aveva fatto qualcosa per cui serve coraggio, in generale e in particolare in Francia: criticare l’Islam. “Nel Corano c’è solo odio. La vostra religione è solo merda, il vostro Dio? Gli metto un dito nel culo”, ha postato, con rara delicatezza. Questo è bastato per trasformare gli insulti per il suo orientamento sessuale in vere e proprie minacce di morte, stupro, tortura e tante altre terribili cose. In questo modo Mila è diventata come Salman Rushdie: ha iniziato a vivere nascosta, ha dovuto ritirarsi da scuola e nessun altro istituto si è mostrato disponibile ad accoglierla. Troppi gli studenti musulmani nelle scuole francesi, e nessuno vuole una ragazza morta in un’aula o correre il rischio di attentati alla “Charlie Hebdo”. Su interessamento del padre, allora, Mila ha trovato rifugio nell’unica scuola teoricamente sicura per lei: il liceo militare francese. Più protetta di così… Se non che le polemiche hanno indotto il Ministro della Difesa francese, a buttarla fuori anche da lì, lasciandola in balia degli eventi. Il padre, pover’uomo, scrive ai quotidiani, accusando un po’ tutti di codardia, incluso lo Stato francese che latita in modo imbarazzante, mentre una parte dell’opinione pubblica si mobilita con un originalissimo e inutilissimo “Je suis Mila”.
Sperando che i matti finiscano per sbranarsi l’un l’altro.
Dunque cosa abbiamo? Misuriamo la potenza del cortocircuito, che qui è gigantesco. Abbiamo l’ennesima “queer” che tuona contro gli uomini e che finisce per avere a che fare contemporaneamente con due “patriarcati”. Quello islamico, ovviamente, è il più rigoroso, perché sottende che se lei, come donna, non vuol dar nulla alla società con la sua esibita e orgogliosa “renitenza alla procreazione”, allora non ha nulla da pretendere in cambio, tanto meno il diritto di insultare i fedeli dell’Islam. Quell’altro, il supposto patriarcato europeo-occidentale, che inizialmente lei aveva insultato e vilipeso, ora dovrebbe difenderla, inquantodonna, dal primo. Mila si arrabbia però nello scoprire che quest’ultimo non ci pensa minimamente a proteggerla. Non perché lei non dia nulla in cambio alla società (infatti l’arcigno patriarcato europeo addirittura esalta il suo orientamento sessuale e la sua militanza anti-uomo), bensì perché il concorrente patriarcale da punire, l’Islam, rappresenta una “minoranza” maggiormente meritevole di rispetto e protezione. Forse perché fa paura o forse perché s’è prefisso di distruggere la cultura e la civiltà occidentale, dunque è un nemico gradito per il neoliberismo, questo non è chiaro. Di fatto l’Islam risulta gradito perfino più delle femmi-genderiste.
Come se non bastasse, la fanciulla scopre di essere stata lasciata sola anche dalle “sorelle” femministe: le sue compagne anti-uomo si manifestano infatti voluttuosamente e ancillarmente accucciate ai piedi dei patriarchi islamici. Quelli europei, ormai castrati, li considerano solo degli eunuchi preposti a reprimere qualche eccesso degli altri, come quando, per esempio, le molestano per strada. Per il resto il femminismo che naviga tra tradizionalismo e intersezionalismo rimane ondivago nella scelta della specificità per cui spendersi: il femminile omosessuale di Mila o l’immigrazionismo filo-islamico? Le scintille del cortocircuito esplodono ovunque, uno spettacolo pirotecnico visibile da ogni parte d’Europa. A rendere tutto parossistico ci si mette poi la stampa di destra che dimostra, al solito, di non aver capito un accidente, ed elegge Mila a simbolo di supremazia identitaria. Proprio lei che in quanto “queer” farebbe volentieri a brandelli tutta intera l’identità occidentale.
Non è tutto quanto straordinariamente folle? Dalla Gruber l’invidiosa al parapiglia francese, non pare di stare in uno sfrenato manicomio? Sì, in effetti. E il segreto per uscirne è riunirci tutti quanti, noi normali o che vorremmo un ritorno alla normalità, per guardare, quando accadono, questi spettacolosi cortocircuiti, sperando che i matti che li creano finiscano per sbranarsi l’un l’altro. Si libererebbe così il campo non tanto dalla loro presenza fisica, quanto piuttosto dal marciume che, sia esso il gender o il femminismo, gli circola dentro il cranio e gli fuoriesce come un conato dalla bocca, inzaccherando e rendendo invivibile e irrespirabile tutto lo spazio sociale.