Stamattina Fabio Nestola ci ha parlato dell’esistenza di una Direttiva europea (la 2016/343/UE) che dovrebbe tutelare tutti noi dal venire condannati sui media prima che un giudice, al termine di un giusto processo, ci dichiari colpevoli di un qualsivoglia reato. La Direttiva non è ambigua e impone agli stati membri di attuare “le misure necessarie per garantire che, nel fornire le informazioni ai media, le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli, fino a quando la loro colpevolezza non sia stata legalmente provata”. Le direttive europee sono cogenti per gli stati membri, i parlamenti devono solo acquisirle e inserirne i contenuti dentro la propria legislazione. Eppure, ci ha raccontato Fabio Nestola, in Italia in questo caso si fanno molte resistenze, fino a respingere un emendamento apposito.
Dunque in Italia è possibile condannare una persona sui media. Lo vediamo continuamente e continuamente denunciamo la pericolosissima stortura su queste pagine. Stavolta però qualcosa deve cambiare davvero, in modo deciso e senza esitazioni. Per un motivo che nessuno di voi conosce, dato che i media di massa si sono guardati bene dal darne notizia. Eppure la vicenda è talmente emblematica che non può non diventare un punto di svolta. Davide Di Donna, un panettiere modenese, era accusato per la morte della moglie, Alessandra Perini, avvenuta il settembre scorso. In attesa del processo, era ai domiciliari e fin dall’inizio si era disperatamente professato innocente.
Poi è giunto il tribunale supremo del web.
L’accusa per lui era di omicidio preterintenzionale: durante una lite aveva schiaffeggiato la moglie. Due giorni dopo Alessandra cade dalle scale e muore per emorragia cerebrale. L’articolo non dice se Davide fosse presente all’accaduto, in ogni caso dal narrato sembra che i giudici volessero attribuire agli schiaffi di due giorni prima o il malessere che ha fatto svenire la donna sulle scale, o forse addirittura la stessa emorragia cerebrale che l’ha uccisa. In questo scenario, in ogni caso, è del tutto irrilevante provare a ricostruire l’accaduto. Ci stavano provando i magistrati e un giudice avrebbe dovuto sentenziare a proposito. Invece sulla vicenda avevano già deciso tutto i giornali, che avevano trattato la vicenda nel solito modo: sbatti il mostro in prima pagina. La rassegna è presto fatta isolando gli articoli che hanno trattato l’accaduto nell’arco temporale tra settembre e ottobre. Un processo già fatto, in pratica, come al solito. A rincarare la dose era giunto poi anche il tribunale supremo del web.
Intendiamoci bene: quelli qui sopra sono solo alcuni dei commenti apparsi sui social, che abbiamo trovato con grande fatica. Gran parte delle espressioni più truci pronunciate sul web è stata infatti rimossa, perché nel frattempo Davide Di Donna si è tolto la vita. Non ne sapevate nulla, ovviamente… a dare la notizia sono stati pochi media locali del modenese, dopo di che il fatto è scomparso. L’uomo aveva annunciato di volerla fare finita. A chiare lettere, oltre a professarsi innocente, dichiarava di non riuscire a reggere l’odio scatenato contro di lui dall’informazione e dal web. Lo riporta tra gli altri il Resto del Carlino, scrivendo che l’uomo si sentiva “già condannato dall’opinione pubblica. Situazione che l’aveva gettato nel più profondo sconforto”. Allontanato dalle figlie adolescenti, costretto in casa da solo, senza alcun sostegno psicologico (mica era una donna…), aveva subito in rete l’aggressione di un esercito di hater. “Non commento quanto già apparso sui social network”, dice il suo avvocato. “Si tratta di giudizi disumani e sinceramente gratuiti espressi […] nei confronti di una persona presunta innocente che ancora doveva svolgere le proprie difese nelle sedi competenti”.
Siete tutti coinvolti e responsabili.
Siamo esattamente al punto di cui parla la Direttiva europea citata all’inizio. E stavolta i feroci inquisitori dei media e di Facebook, Twitter, Instagram e compagnia bella hanno ottenuto un risultato mai registrato prima. C’è scappato il morto. Reso fragile dalla detenzione domiciliare e dalla lontananza dai figli, non c’è stata pietà per Davide Di Donna, nonostante le belle parole delle leggi e della Costituzione a tutela di chi è sottoposto a procedimento giudiziario. Davide Di Donna è finito nelle fauci di un tribunale informale ma capace, con le sue dinamiche, di condannare a morte in un paese dove la pena capitale non è prevista. Una forma di bullismo istituzionalizzato che, naturalmente, funziona solo in una direzione: quando il bersaglio è un uomo. Perché, lo sappiamo bene, a parti invertite quello stesso tribunale emette in automatico sentenze di assoluzione e non di rado acclamazioni e standing ovation. Massacrato senza pietà nella vetrina pubblica delle pagine di giornale e dei social network, Davide Di Donna si è sentito perduto. Quello “Stato nello Stato” che sono il quarto (giornali), quinto (TV) e sesto (web) potere, si è elevato al rango di magistratura preliminare e specializzata per genere. E se fino a oggi si era trattato di gogna anticipata, ora ci sono mani sporche di sangue.
Sì, il nostro è un atto d’accusa. Il dito è puntato contro gli estensori e i firmatari del Manifesto di Venezia, che vincola i media di massa a criminalizzare sistematicamente l’uomo e vittimizzare la donna. È puntato contro Michela Murgia che cerca di estremizzare tali forzature con indicazioni ancora più implacabili, di fatto tentando di guidare la mano dei giornalisti verso un giudizio di colpevolezza anticipato per tutti gli uomini, prima che intervenga un giudice legittimato a a sentenziare. È puntato infine contro tutti gli innumerevoli minorati che popolano la rete e i social network, votati ad affermare la loro in realtà inutile esistenza fingendo di essere Dio attraverso commenti senza logica, senza morale, senza intelligenza. Finora, nel decretare la colpevolezza o l’indegnità di un uomo prima della pronuncia di un magistrato, eravate soltanto degli infami, (s)fregiati di questo titolo grazie alla resistenza del vostro bersaglio del momento. Stavolta però il bersaglio era fragile, ha ceduto, e da infami vi ha promossi ad assassini. Importa meno di zero che Davide Di Donna avesse schiaffeggiato la moglie, fosse un violento o addirittura il vero colpevole della morte della moglie. Quand’anche così fosse stato, non siete voi a decretare la colpevolezza di chichessia. Le vostre mani sono sporche di sangue ora, siete voi i colpevoli di un delitto che ha mandanti, ispiratori e cattivi maestri ben identificati. Siete tutti coinvolti e responsabili del suicidio di Davide Di Donna e della desolazione di due bambine ora orfane di entrambi i genitori. In ogni vostra riga, in ogni vostro commento giacciono il cadavere dello Stato di Diritto e gli ultimi brandelli di civiltà nel nostro paese. Anche questo andrà nel conto che qualcuno prima o poi dovrà pagare.