Lidia Menapace è stata una partigiana, pacifista e femminista, da sempre militante a sinistra. È scomparsa ieri, all’età di 96 anni, e la sua dipartita ha ispirato, com’è normale, numerosi messaggi di cordoglio e di ricordo un po’ ovunque, in sedi istituzionali e non. Naturalmente i più zelanti a ricordare la sua figura sono stati gli esponenti di quella che una volta si chiamava “cultura di sinistra” e basta digitare “Lidia Menapace” su Twitter o su Facebook per riscontrare il lungo rosario di onori resi a questa figura di donna che, in quanto partigiana, sicuramente ha al suo attivo esperienze importanti e contributi coraggiosi e determinanti per la nostra storia. Ma la vita delle persone non è mai fatta di sole luci, anche se al momento della scomparsa in genere prevalgono queste alle zone d’ombra, specie se il personaggio morto si presta a una miratissima retorica e propaganda politica. Ecco allora che dal web (che non perdona, vivaddio), spunta un intervento registrato in audio della stessa Lidia Menapace al terzo congresso dell’ArciGay nel 1987. L’audio originario durava circa dieci minuti, noi abbiamo tagliato la parte conclusiva, non rilevante per ciò che vogliamo segnalare.
Isoliamo alcuni dei concetti che Menapace esprime, seppelliti dalla coltre nebbiosa e finta-colta della tipica retorica di sinistra, zeppa di espressioni reiterate ed eleganti, atte a nascondere in genere qualche inghippo malevolo. Quelle che seguono sono tutte trascrizioni pressoché testuali. “Il neonato è uno straordinario soggetto e oggetto erotico, e rappresenta nel rapporto con la madre la prima vera esperienza erotica, cioè che contiene un vero e proprio piacere. Una caratteristica che viene calpestata dalle culture sessuali dominanti. […] I corpi dei figli e della madre prendono piacere uno dall’altro perché non sono in competizione di potere uno sull’altro. Sono due corpi inermi che si consegnano al reciproco piacere. […] Questo consente anche alla comunità degli adulti di poter in prospettiva avere con i bambini un rapporto intensamente erotico e amoroso. […] Quello che a me dispiace sempre nella sessualità sono i cataloghi. Noi ci diamo un gran daffare perché ogni volta una perversione di più entri nel catalogo delle cose ammesse e riconosciute. E questa cosa catalogica non la sopporto proprio, perché tra l’altro vincola le fantasie. Non voglio limiti alle fantasie erotiche e alle pratiche sessuali”.
“La pederastia, invece, è una freccia di libidine scagliata verso il feto”.
In sostanza la femminista Menapace replica i concetti di uno dei fondatori del movimento LGBT Italiano, Mario Mieli, a quattro anni dalla sua scomparsa per suicidio. Ecco le parole di Mieli, tratte dal suo libro “Elementi di critica omosessuale” del 1977: “Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una vita latente. La pederastia, invece, è una freccia di libidine scagliata verso il feto“.
Non è chiaro se evocando la statura intellettuale del coprofago Mario Mieli la Menapace volesse soltanto strappare l’applauso di una platea che verso quei concetti, incluso un concreto possibilismo verso la pedofilia, era molto incline. Di certo il suo discorso, oltre a segnare una delle tappe dell’alleanza tra femminismo e quella che poi verrà chiamata “teoria queer”, è qualcosa di semplicemente rivoltante, ammantato da un bell’eloquio. Al di là del palese sdoganamento della pedofilia, volendo dedicare a questo suo intervento un’analisi più approfondita, c’è tutta la concettualità sottesa al predominio femminile sull’infanzia, in un rapporto di potere sbilanciato (che Menapace prova a camuffare nell’idea dei “corpi ugualmente inermi” femminile e infantile) spesso alla base di quegli infanticidi e figlicidi di cui si rendono maggioritariamente colpevoli proprio le donne. Ci sarebbe da fare un’analisi approfondita, che però eviteremo, per favorire lo scivolamento verso l’oblio di idee così malsane, pericolose e settarie. Con un’unico pensiero: eppure non si gioisce per la morte altrui.