Parole di Antonella Boralevi su “La Stampa”:
Non posso concordare con Antonella Boralevi. Plaude al gesto del podista comasco, su una notizia che ha avuto un certo rilievo a causa della distanza percorsa: 450 km, per sbollire la rabbia conseguente ad una discussione tra moglie e marito. Al termine della lite, il tizio è uscito di casa e ha inanellato una decina di maratone consecutive, arrivando da Como a Fano dove è stato multato per aver infranto il coprifuoco anticovid. Antonella Boralevi apprezza la passeggiatina come mezzo per sbollire l’arrabbiatura, se fosse rimasto in casa le cose sarebbero andate diversamente. Come? È ovvio, con lui carnefice e lei vittima secondo lo stereotipo imperante: lui avrebbe alzato le mani, non avrebbe saputo controllare la sua rabbia, le avrebbe fatto del male. Peccato che nessuno dei numerosi articoli sull’argomento chiarisca quali siano i termini della lite, né i rispettivi ruoli.
Aggredisce lui, è colpa è di lui; aggredisce lei, la colpa è sempre di lui.
Di solito – l’esperienza insegna – quando il coniuge rabbioso è lui i giornali titolano “brutale aggressione”, quando chi aggredisce è lei parlano di “lite in famiglia”. Anche quando la moglie accoltella il marito è sempre lite in famiglia, abbiamo in archivio una corposa casistica. Inoltre dalla Boralevi non viene nemmeno presa in considerazione l’eventualità di rabbia reciproca, una generica lite superficialmente citata dai cronisti viene letta immancabilmente come il lupo cattivo sul punto di aggredire l’agnellino mite e indifeso, ma per fortuna lo risparmia e se ne va. L’inquinamento ideologico porta a non considerare ipotesi diverse: non è possibile che lui si sia allontanato per evitare le scenate di lei? Non è possibile che una moglie aggredisca un uomo spaccandogli un posacenere in testa, lanciando piatti e bicchieri, graffiando, tirando calci, strappando capelli? O anche peggio, molto peggio… La cronaca testimonia che violenza femminile può degenerare in strangolamenti, uso di armi improprie, aggressioni con l’acido e altro, con la spiccata preferenza di armi da punta e da taglio.
Ma tutto ciò non esiste, lei è una donna quindi è impossibile che abbia alzato la voce, insultato, provocato, aggredito; è impossibile che lui si sia allontanato per quieto vivere, per far sbollire la rabbia di lei. Nella storia del mondo non è mai successo che una moglie sfoghi la propria ira sul marito, è un’eventualità da non prendere nemmeno in considerazione. Quindi loda il marito per non aver corcato la moglie di botte, questo si legge neanche tanto tra le righe. Ulteriore lode è per aver riconosciuto la propria rabbia: la Boralevi ipotizza che il tipo se ne sia anche vergognato. Se invece la rabbia fosse di lei andrebbe ostentata con orgoglio? Andrebbe propagandata come segno della liberazione femminile? Chiedo, sarebbe interessante saperlo, perché di solito la violenza rosa viene non solo giustificata ma addirittura legittimata e rivestita di un alone di positività, come si vedrà chiaramente in un articolo che pubblicheremo domani. Si sa, solo gli uomini possono essere violenti; e quando violenta è una donna “chissà cosa le avrà fatto lui per spingerla a tanto”. Insomma aggredisce lui, è colpa è di lui; aggredisce lei, la colpa è sempre di lui.