La Fionda

Il “Revenge porn” e il femminismo schizofrenico (ignorato da tutte)

Si dice “revenge porn” e subito viene in mente l’uomo che, per vendicarsi di essere stato lasciato, sparge le foto e i video sexy della ex per tutto il web. Se questa associazione mentale non scattasse, ci pensano l’informazione di massa, compreso un gran numero di influencer e politici, a rafforzare l’automatismo. Il predicozzo femministoide e lunare pre-25 novembre di Chiara Ferragni è un esempio tra i tanti. Eppure a spulciare le notizie pubblicate dai media, pare che il revenge porn sia attività più volentieri esercitata dalle femminucce contro gli uomini che non viceversa. E non è difficile capirne il motivo: l’uomo nudo, a meno che non possa vantare un fisico statuario e una dotazione alla Rocco (e forse nemmeno in quel caso), non è seduttivo. Per sua natura, quella dell’uomo in pose sessuali non risulta come un’immagine consueta, viene in genere percepita come poco conforme alla sfera maschile. Per questo motivo l’uomo vittima di revenge porn non ha quasi mai scampo dal sentirsi ridicolizzato e umiliato: non a caso sono soprattutto di sesso maschile le vittime di estorsioni legate alle immagini private. La percezione generale, e femminile in particolare, dell’immagine del corpo di una donna invece è tendenzialmente molto diversa, con conseguenze di non poco momento.

Lo dimostra questa vicenda emblematica accaduta di recente a Vicenza. Una giovane vuole conquistare un ragazzo. Il metodo più rapido che le viene in mente è scattarsi delle foto osé, da far avere al suo bersaglio. Manda gli scatti a un’amica pregandola di farsi da tramite e di mostrare le immagini al giovane direttamente sul suo cellulare, senza inviargliele. Per motivi ignoti, però, l’amica spedisce il tutto al ragazzo tramite la solita messaggistica e, non paga, fa lo stesso anche con altri contatti comuni. A tutti gli effetti il revenge porn di donne contro donne è frequentissimo, più di quello maschile contro la donna, ma a ben vedere il caso di Vicenza non rientra comunque nella categoria. L’amica, ora in grossi guai, sembra aver agito più per superficialità o stupidità che per vendetta. Quasi fosse del tutto normale conservare sul proprio cellulare le foto hot di un’amica e girarle a tutti i contatti comuni. E in qualche misura, in una società che vive di scambio di informazioni tramite strumenti telematici, normale potrebbe esserlo, in particolare se si tratta di immagini femminili.

revenge porn

Un vantaggio non da poco, che viene utilizzato da tutte.

Sono questi aspetti a rendere difficile un inquadramento compiuto della questione “revenge porn”, materia alla cui complessità si ovvia con una semplificazione consueta e scontata: è uno dei tanti possibili atti violenti tipicamente maschili, punto e stop. Non è affatto così, lo si è detto, ma la questione da sottolineare, anche alla luce della vicenda rivelatrice di Vicenza, è un’altra. La giovane ha ritenuto che il mezzo più efficace per rubare il cuore del ragazzo desiderato non fosse invitarlo a un cineforum, a un gruppo di discussione letteraria o a un cenacolo filosofico dove potergli mostrare tutta la sua cultura e la sua brillantezza intellettuale. Nemmeno ha pensato di invitarlo per una passeggiata dove esibire tutta la sua scintillante personalità e la sua irresistibile simpatia. No, ha ritenuto che il metodo migliore fosse mostrare al giovane la mercanzia, allettarlo con la carne a disposizione. In una parola, più nobile e più vera, ha cercato di sedurlo con la sessualità. In particolare con quella visiva, la più efficace per colpire e attivare il sesso maschile. Ha fatto male, si è comportata da zoccola? Nient’affatto. Solo  avendo pregiudizi sessuofobici lo si potrebbe affermare. In realtà ha fatto ciò che le donne, e gli uomini a modo loro, fanno da millenni: cercarsi vicendevolmente mettendo in campo quello che di sé può essere più attrattivo per l’altro. Si tratta di un impulso atavico, irresistibile per entrambe le parti in causa.

Prima dell’avvento di internet questi meccanismi venivano sollecitati in luoghi specifici: le discoteche o le balere, le cene tra conoscenti, nei luoghi d’incontro e aggregazione più disparati, o in generale ovunque l’uno avesse l’occasione di mostrare un po’ di se stesso alla persona desiderata. “Tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai… In spiaggia ho fatto il pagliaccio per mettermi in mostra agli occhi di lei”, cantava Celentano nel lontano 1967, mentre 500 anni prima fior di cavalieri si massacravano nei tornei per avere il favore della “bella”. Dal canto loro le donne hanno sempre avuto e hanno sempre esercitato i loro efficacissimi mezzi di seduzione imperniati sulla bellezza e sulla sensualità. Oggi è ancora così ma, ci piaccia o no (non tanto, in verità), ai luoghi tradizionali si è aggiunta la “piazza virtuale”, dove tutto è più rapido e impersonale. Tre click o un paio di colpi di dita e la foto o la clip video vengono inghiottite in una dimensione dove la condivisione è tutto, permettendo al destinatario di ricevere il materiale in tempo reale. Un vantaggio non da poco, che viene giustamente utilizzato da tutti. Anzi, per la precisione: per lo più da tutte. In proporzioni talmente ampie da essere difficilmente quantificabili.

Girolamo Savonarola

Scampanellano, scampanellano, scampanellano…

Questa è la realtà dei fatti oggi. Un esercito di ragazzine, ragazze e donne che fanno ciò che l’umano femmina ha sempre fatto (e sempre farà), ovvero sedurre con la bellezza e il proprio potere sessuale l’umano maschio. Riflessione che porta con sé una domanda ben precisa: la predicazione femminista in tutto questo dove si colloca? Tutto l’armamentario volto a emancipare le donne dalla “oggettificazione”, puntando tutto su altre qualità e altri valori, che fine fa? Semplice: viene tutto ampiamente ignorato e disatteso. Nella realtà risulta solo un fastidioso e petulante ronzio di fondo che disturba appena il normale flusso degli istinti umani, femminili e maschili. Il femminismo predica, scomunica, lancia anatemi, ma la sua audience continua a fare ciò che ha sempre fatto. Le uniche a non farlo sono le femministe, che infatti in genere non battono chiodo. La ragione di tanto scollamento tra la predicazione e la realtà fattuale è dovuta a diversi fattori. Il primo è che il femminismo si ostina da sempre ad andare cocciutamente contro natura. Cerca di negarla o di correggerla, presumendo, nella sua psicosi ideologica, che sia sbagliata, col risultato di schiantarcisi sempre contro. Qui parliamo di impulsi alla seduzione, ma si può allargare il discorso all’aborto e al divorzio, due istituti vissuti dal femminismo come strumenti per raggiungere uno dei suoi scopi principali: distruggere la famiglia (là dove la donna è resa “schiava”). Dopo diversi decenni di applicazione delle relative leggi, alle femministe resta un pugno di mosche: con grande frustrazione riscontrano che ancora la maggioranza delle donne sogna di sposarsi, contrae matrimonio e lo porta avanti con gioia fino alla fine. Quella stessa maggioranza di donne continua a volere figli e magari ne ha pure tanti, con piena soddisfazione. Accade perché il richiamo della natura travolge con la sua potenza un’ideologia malsana che pretende di “correggerla” e di emancipare un genere impoverendolo dal lato umano e fisiologico.

Ma c’è anche un altro aspetto non irrilevante, ovvero la contradditorietà schizofrenica del messaggio femminista. Da un lato lega l’emancipazione femminile a una totale liberazione sessuale, da realizzarsi tramite il vestiario, il comportamento trasgressivo, la libertà più incondizionata. Lo testimoniano bene molti slogan: nelle dimostrazioni femministe si leggono spesso cartelli capaci di far arrossire anche il più aperto di mentalità, perché la sessualità spinta e magari anche sboccata è spacciata come sinonimo di liberazione ed emancipazione. Dall’altro lato, però, quello stesso femminismo reagisce alle esibizioni del potere sessuale femminile (ovvero quanto c’è di più naturale) con la violenza di un Sant’Uffizio spagnolo del XV secolo. Il balletto sexy di “Detto fatto“, il “twerking” di Elettra Lamborghini, il cartellone pubblicitario, l’opera d’arte, la foto, il romanzo, la poesia, il tweet, il post, la parola, il pensiero… tutto finisce troncato sotto la falce di una censura ossessionata che ha raggiunto ormai livelli parossistici e comici. Il femminismo appare così come il pretonzolo di “Nuovo Cinema Paradiso”, che previsionava tutti i film in programmazione e scampanellava furioso per dire all’operatore quali fossero le scene “indecenti” da tagliare, di solito semplici baci appassionati. Quel curato per lo meno perseguiva una linea coerente con la sua predicazione, mentre il femminismo e i suoi cicisbei sono in un costante cortocircuito: vogliono le donne libere di esercitare appieno e anche irresponsabilmente il proprio potere seduttivo, e nel contempo scampanellano, scampanellano, scampanellano come forsennati, togliendo ossigeno e libertà all’intera società, costringendola a una regressione di decenni, talvolta di secoli. Mentre nel frattempo ragazzine, ragazze e donne spediscono imperterrite le proprie immagini sexy per ogni dove, arrivando pure all’estremo di farsi revenge porn tra di loro.



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