L’orgia vittimista del 25 novembre, da un lato, e la morte di Maradona dall’altro, hanno fatto passare in secondo piano una vicenda molto interessante che ha riguardato il giornalista Mattia Feltri, Direttore dell’Huffington Post, e la parlamentare ripescata, ex “Liberi e Uguali”, Laura Boldrini. Quest’ultima ha un blog all’interno dell’Huffington Post, dove settimana scorsa propone di pubblicare una sbrodolata contro il trattamento riservato dai media alla giovane vittima di stupro nel caso di Alberto Genovese. Il suo bersaglio sono tutti coloro che hanno semplicemente registrato i fatti, ovvero che la giovane sembra facesse parte di un giro consolidato di goupies che da quei festini, tutto incluso, traevano benefit di vario genere. E in ogni caso che alla fanciulla sarebbe bastato non frequentare quel giro per evitare frangenti tutt’altro che piacevoli. A esprimere questi concetti, con la ruvida franchezza che lo contraddistingue, anche Vittorio Feltri, sul suo giornale “Libero”.
Apriti cielo. La reazione è scomposta e generalizzata, il fronte vittimista a costante sostegno della Antiviolenza S.r.l. si muove come un sol uomo (!!!). Elena Bonetti: “No, Direttore. La violenza non ha e non avrà mai ragioni”; “Feltri e Libero basta misoginia!”, tuona la Boldrini; “È una vergogna!”, rumoreggiano dall’alto del loro 2% varie pasionarie e diversi capponi di Italia Viva; “Questa è violenza di genere, è vittimizzazione secondaria, è sessismo”, ringhia l’immancabile Valeria Valente, auspicando un intervento censorio dell’Ordine dei Giornalisti. Vittorio Feltri se la ride: conosce i meccanismi del femminismo d’affari e rilancia saggiamente: “se mi attaccano, ho ragione“. Il suo a-plomb fa saltare i nervi a più di qualcuna: un oltraggio simile alle porte della giornata internazionale contro la violenza sulle donne non è tollerabile. Ed è così che a Laura Boldrini viene in mente di scrivere di suo pugno una scomunica per il direttore di Libero, da pubblicare non su Libero stesso (dove Vittorio Feltri le avrebbe di sicuro risposto per le rime), ma sul suo blog sull’Huffington Post. Problema: Mattia Feltri è figlio di Vittorio, non apprezza che si sbertucci il genitore sulle pagine che dirige. Chiama l’autrice, le chiede gentilmente di omettere il riferimento al padre, ma costei, cocciuta, non cede. Feltri allora non può che respingere al mittente l’articolessa spettinata della parlamentare ripescata Laura Boldrini. Che ovviamente se ne ha a male e, in tipico stile femminista, commette la scorrettezza di rendere pubblico il contenuto della telefonata con il direttore.
Quel “sessismo e altre fantasie”, caro Feltri, sono un elemento chiave.
Polemica chiama polemica. A guardare i media sobillati dalla “sorellanza”, Mattia Feltri avrebbe censurato una onorevolessa: orrore, vulnus alla libertà coniugato a sessismo. Mattia Feltri però spiega in due interventi, uno spiccio e uno assai più articolato, cosa siano la libertà di stampa e la democrazia. Primo: come il comandante su una nave, il direttore di un giornale è sovrano. Non censura, fa delle scelte editoriali. La censura, per definizione, è quella del potere a danno dei giornalisti, non viceversa. Secondo: chi detiene un blog sull’HuffPost deve sottostare a regole ben precise, oppure rinunciare al blog. Terzo: se il mestiere di giornalista è quello di sempre, ancor più se esercitato nel ruolo di direttore, le sanzioni evocate dall’Ordine, dietro pressioni della politica, sono un atto gravissimo contro la libertà di pensiero e di stampa (e la risposta un po’ lunare del Presidente dell’OdG alle riflessioni di Feltri non sembra sciogliere il timore). Perché a tutti gli effetti questo è: una donna di potere esige che un suo scritto sia pubblicato, anche contro la volontà del direttore della redazione che la ospita. Lo esige con l’arroganza di chi ritiene di essere nel giusto, e di essere nel giusto in quanto donna che difende altre donne, in quanto ciò che vuole dire è più importante di qualsiasi linea editoriale stabilita da qualsivoglia direttore. Ancor più se si tratta del figlio della persona che col proprio articolo si vuole attaccare. In sintesi: follia femminista, capriccio vittimista, arroganza da fascio-comunismo in tailleur.
Ed è in questo senso che vorremmo rivolgerci a Mattia Feltri, e indirettamente anche al padre Vittorio. Nella sua seconda riflessione sull’accaduto, Feltri jr. liquida in una riga una questione che invece è dirimente: “Sulle accuse di sessismo e altre fantasie non mi voglio pronunciare: sono il napalm dei nostri tempi”. È un vero peccato che non si voglia pronunciare, gentile Feltri. Comprendiamo che il suo articolo aveva altre priorità, ma è un tema cruciale che non può e non deve più passare in secondo piano. Ed è ancor più vero per lei, che è a capo di una redazione che non si è mai sottratta alla narrazione predominante finalizzata a criminalizzare gli uomini e vittimizzare le donne, anche pubblicando articoli che gridano vendetta per la loro totale infondatezza (qui un esempio recente da far rizzare i capelli). Articoli che sono una gigantesca fornitura del napalm di cui lei stesso parla, provvista forse nella certezza di non esserne mai colpiti, proprio in quanto fornitori. Invece, la vicenda lo dimostra, nessuno ne è immune, nemmeno i fiancheggiatori più convinti e zelanti. Non c’entra nulla l’essere progressisti o conservatori, di destra o di sinistra, gentile Direttore: qui si tratta di questioni pre-politiche che attengono a valori superiori quali la libertà e la democrazia. Quel “sessismo e altre fantasie”, se ne convinca, sono un elemento chiave del male che affligge tanto la libertà di espressione e stampa quanto le più elementari libertà riconosciute in capo a tutti i componenti della società civile.
Un cambiamento di direzione può partire anche da voi.
Impegnato com’è dal suo ruolo probabilmente non se n’è accorto, ma da tempo c’è chi perde il lavoro, reputazione, la serenità e talora anche la vita a causa di quel “sessismo e altre fantasie”, che cresce nel suo potere e nei suoi depositi di napalm anche perché il giornalismo mainstream, di cui HuffPost e tanti altri fanno parte, non lascia aperto nemmeno un minimo spiraglio a prese di posizione ragionevolmente alternative. Cioè abdicano a uno dei loro doveri: alimentare il pluralismo delle idee, quando queste sono espresse con i modi, gli argomenti e i contenuti dovuti. Lei e quella roccia di suo padre siete finiti oggi nel tritacarne. Essendo entrambi personaggi di rilievo non ci si è limitati alla shitstorm riservata ai comuni mortali: per voi (contro di voi) si muovono onorevoli, senatori, ordini professionali. Per ora tenete botta, ma un domani saranno troppo forti e, dopo aver sovvertito totalmente i principi di una professione nobile come quella del giornalista, semplicemente vi faranno saltare il posto, costringendovi a congedarvi con un’onta che ovviamente non avrete meritato. Allo stesso modo, in altre epoche, saltavano cattedre o posizioni direttive di persone che non si allineavano ai diktat di qualche Santo Uffizio, Gran Consiglio, Soviet o Reich. Non è diverso, solo che ora i pupari non hanno più abiti porporati, ridicoli baffetti o baffoni o zucche pelate. Ora hanno lo sguardo iniettato di rabbia e l’eloquio fuori controllo delle varie Laura Boldrini, Veronica Giannone, Valeria Valente, Valeria Fedeli, Monica Cirinnà, Maria Edera Spadoni, Mara Carfagna e altre, con tutto il loro codazzo di coyotesse e capponi affamati di denaro (pubblico) e potere.
Un’altra informazione (e un altro mondo conseguente) è possibile, caro Feltri. Si tratta di aprire degli spiragli senza avere paura del molto rumore per nulla che questo gigante dai piedi d’argilla, il femminismo organizzato (con il suo alleato queer), sa generare. Lo si è visto giusto di recente: quando i media fanno bene il loro mestiere e non si piegano a diktat privi di fondamento, raccolgono l’apprezzamento del pubblico. Che è saturo di doversi bere sempre la solita versione dei fatti. Sa in cuor suo che esistono altre facce della medaglia che non vengono mostrate. Lei, come tanti altri nella sua posizione, ha la possibilità di mostrare quelle facce, smettendo di inchinarsi al dettato convenzionale e conformista che le viene proposto e imposto dall’esterno. Fonti da cui trarre contenuti e argomenti alternativi ce ne sono. Noi siamo una di quelle, ma non siamo sicuramente gli unici. Si tratta di prendere decisioni coraggiose. Oppure continuare a starsene fino alla prossima shitstorm, alla prossima interrogazione parlamentare, alla prossima sanzione dell’Ordine dei Giornalisti. Fin tanto che il suo stesso mestiere le verrà a disgusto, per quanto avranno reso un inferno esercitarlo. O fin tanto che il ruggito di quel coniglio non le farà letteralmente saltare il posto. Ci auguriamo che lei, e altri nella sua posizione, lo stiate capendo: alimentare la bestia non evita di venirne sbranati. E questo vale per un autorevole direttore di un’autorevole testata giornalistica come per centinaia e centinaia di persone ordinarie ogni giorno. Un cambiamento di direzione può partire anche da voi. E, pur mantenendo rispettosamente eventuali diversità di opinioni, ci troverà sempre pronti e disponibili a dare una mano.