Il “femminicidio” di Roveredo, avvenuto il 25 novembre scorso, ha fatto notizia più degli altri, per diversi motivi. Anzitutto il rifiuto dell’avvocato indicato dall’omicida di prestarsi alla difesa dello stesso. Rossana Rovere viene nominata da Giuseppe Forcinti, reo confesso, consegnatosi spontaneamente alla forza pubblica, e lei respinge il mandato. Può farlo, nessuno la obbliga ad accettare un incarico, se non vuole. A fare notizia è soprattutto la motivazione del suo rifiuto: “da anni mi batto in difesa delle donne”, dice. Quindi non se la sente, per coerenza, di difendere un “femminicida” reo confesso. Curioso che scrupoli del genere non sorgano mai quando c’è da difendere una madre figlicida, dalla Franzoni in poi… In ogni caso la sua decisione, del tutto legittima, notiziata il giorno dedicato al contrasto alla violenza contro le donne, genera ovviamente un boato di ovazioni. In breve l’avvocato Rovere diventa la nuova diva dell’Antiviolenza S.r.l. I media inizialmente si allineano tutti ai diktat che l’Ordine dei Giornalisti e i vari sindacati di settore impongono in questi casi: nessuno sconto al colpevole, grande enfasi sul suo gesto violento, niente dettagli “inutili” che possano “giustificare” il delitto. Che in “femministese” significa: i media non devono raccontare i fatti e rendere l’accaduto comprensibile all’opinione pubblica, ma limitarsi a disegnare un quadro di Bene per antonomasia (la donna) soppresso dal Male per antonomasia (l’uomo), senza altre sfumature o particolari che possano confliggere con quel quadro iper-semplificato buono per i gonzi.
Se non che, pochi giorni dopo, diversi organi di stampa, specie online (noi abbiamo registrato con grande sorpresa TPI e FanPage), ospitano le dichiarazioni della madre dell’omicida, la signora Giovanna Ferrante. Che parla da mamma, ovviamente: “Giuseppe è una persona meravigliosa”, dice. Dopo di che, al di là delle pulsioni materne inevitabilmente attenuanti, disegna un quadro familiare molto dettagliato. La vittima, Aurelia Laurenti, non ne esce benissimo. Distaccata, trascurata e incurante, nel corso del tempo è sempre meno attenta al rapporto con il marito, con i figli e complessivamente a una partecipazione attiva nella famiglia. Viene descritta come perennemente attaccata al cellulare. Usualmente, riflessione del tutto nostra, questo è segno di una relazione extraconiugale particolarmente entusiasmante, ma è una notazione che non emerge dalle parole della signora Ferrante. In ogni caso Aurelia esce a pezzi dal resoconto della suocera, sia come moglie che come madre. Non solo: lo scenario delle liti e dei maltrattamenti evocato da tutti i media a carico dell’omicida prende, dalle parole di questa madre, tutt’altro aspetto. Le violenze erano reciproche. E in molti casi simulate da parte della vittima: “la zia mi disse che Aurelia, anche da piccola, si procurava i lividi sbattendo la testa contro il muro finché non otteneva ciò che voleva”.
Alle redazioni: ricominciate a fare il vostro mestiere.
Sarebbe inutile ripeterlo, ma ripetiamolo lo stesso: quand’anche ogni parola della suocera sulla nuora corrispondesse a verità, niente smentisce o scarica o diminuisce la colpa dell’assassino. Tale è e tale rimane, e ci auguriamo per primi che debba scontare una pena commisurata al suo delitto. Detto questo, però, è evidente che le parole di sua madre gettano una luce nuova su quanto accaduto, rendendo possibile un paragone con la recente strage di Carignano. Lui dedito alla famiglia e lei sempre sui social (forse con un legame parallelo) al punto da trascurare casa e famiglia; lui si ammazza di lavoro e fa i doppi turni per garantire qualche entrata in più mentre lei è una vanesia. Come compare la parola “separazione”, lei sa di poter dire “io sono il banco e prendo tutto” e lui sa che oltre a dirlo può anche farlo veramente. Per Carignano a raccontare lo scenario sono stati amici e vicini della coppia, qui è la madre del colpevole. Gli uni e l’altra vanno ringraziati perché aggiungono elementi di comprensione su cui sarebbe utile aprire riflessioni e dibattiti per capire come fare (se qualcosa si può fare) per ridurre le possibilità che tragedie come questa, come quella di Carignano e altre si ripetano. Per innescare questo tipo di riflessione però serve il contributo dei media, che devono poter rendere pubbliche tali circostanze utilizzando le fonti disponibili attorno ai fatti. Il problema è che c’è una poderosa spinta da parte di chi maneggia soldi e potere tramite i dogmi femministi a che ciò non si faccia mai, in nessun caso.
In questo senso restiamo attoniti per il fatto che qualcuno abbia dato conto delle esternazioni della signora Ferrante. C’è una deliziosa aria di ribellione nei mass-media italiani, non si può fare a meno di notarlo. Già con la strage di Carignano i dettagli sono stati raccontati con dovizia e senza paura, generando la sollevazione generale dei censori in gonnella, che hanno subito strillato vibranti proteste e additato le redazioni infedeli alla linea. Ora la storia si ripete e c’è da attendersi un’altra mobilitazione generale, stavolta forse ancora più rabbiosa. C’è da attendersi che la signora Ferrante venga messa alla gogna, massacrata pubblicamente, in barba al fatto che lei stessa è donna. Il suo narrato infatti è potente, spazza via alla radice i diktat di chi vuole usare i giornalisti come marionette. Dice che il figlio le giurava di non aver mai alzato le mani sulla moglie e dichiara a proposito: “non gli ho creduto. Siccome sono una donna, ho creduto ad Aurelia”. La frase è una pugnalata al cuore dei pupari che da (troppo) tempo provano a manovrare l’informazione pubblica su questo tipo di vicende. Dunque la signora Ferrante si prepari a una shitstorm colossale. TPI, FanPage e chiunque altro ne abbia riportato le parole si attendano critiche ferocissime dagli Ordini, dai sindacati, probabilmente anche dal Parlamento. Così capita a chi fa il proprio dovere e racconta i fatti. Gli unici ad applaudire questi mass-media saremo noi persone comuni, desiderose che certi eventi non capitino più tanto quanto lo siamo di capire le circostanze in cui avvengono e come maturino. Alle redazioni dunque diciamo: un modo per affrontare la vostra crisi cronica è ricominciare a fare il vostro mestiere, come avete fatto per Carignano e per questo omicidio. Spingerete tutti noi a tornare a comprare le vostre copie e a cliccare i vostri siti. Garantito.