Di seguito sottopongo alla vostra attenzione alcuni estratti che ho tradotto dall’articolo scritto da Tatiana Escárraga pubblicato il 06 settembre 2014 ne El Tiempo e intitolato “Il dramma degli uomini stuprati in guerra”. L’articolo parla degli abusi sessuali sugli uomini in Colombia. I concetti chiave dell’articolo sono l’invisibilità delle vittime maschili di stupro, le infauste conseguenze individuali e sociali sulle vittime, il rifiuto e la mancanza di empatia da parte delle compagne sentimentali e l’indifferenza della maggior parte delle ONG e le organizzazioni internazionali verso questa problematica.
Il dramma degli uomini stuprati in guerra. Sebbene l’Unità per le Vittime abbia registrato 650 casi dal 1985, l’argomento è tabù. (…) C’è un capitolo atroce sul quale è stato storicamente eretto un muro di omertà. Non se ne parla. Né in privato, né in pubblico. Come se non esistesse. Come se non ci fossero uomini che hanno subito degli abusi anche da parte di uomini armati. Sono stati anche stuprati. Ecco perché il loro dramma è duplice: sono invisibili. Fino ad agosto l’Unità per le Vittime, l’organismo incaricato della cura e della riparazione di coloro che hanno subito la barbarie della guerra, contava nel suo registro 650 casi di violenza sessuale contro uomini, che rappresentano il 12 per cento del totale. (…) La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dell’anno 2000 fa riferimento alla violenza sessuale nei conflitti armati come a qualcosa che riguarda solo donne e ragazze. Uno studio di Stemple conclude che le organizzazioni umanitarie internazionali hanno gravi responsabilità sul fatto che questo argomento sia diventato tabù, non hanno fatto alcun sforzo per rendere nota questa realtà. Degli oltre 4.000 ONG che hanno discusso sul problema della violenza sessuale, un timido 3% lo menzionò nella propria letteratura, ma solo come “come un appunto effimero”. (…) Alle terribili conseguenze psicologiche (un grave quadro clinico di stress post-traumatico, attacchi di rabbia, dipendenza da alcol e droghe, isolamento, pensieri suicidi) si aggiungono i dubbi sul proprio orientamento sessuale. Alcune vittime si chiedono addirittura se il fatto di aver subito un simile oltraggio renda loro omosessuali. E ci sono persino famiglie che si sono disgregate perché la compagna non sopportava la tragedia del compagno. Le conseguenze fisiche non sono meno gravi: rischio di malattie sessualmente trasmissibili e distruzione degli organi genitali, tra le tante. (…)
“Mi ci sono voluti dodici anni per raccontare cosa mi hanno fatto. Ho 27 anni, sono uno studente di psicologia e sono nato in una famiglia di contadini in Valle del Cauca. (…) Un pomeriggio di novembre di 1999 ero appena tornato da scuola e alla fattoria c’era un soldato di guardia. Era basso, scuro e con un accento costiero. Mi invitò ad accompagnarlo per un po’, ma io mi rifiutai. Immagino che questo lo abbia infastidito”. (…) “L’uomo mi disse che dovevo fare quello che lui voleva. Mi portò in una stanza e pensai che mi avrebbe ucciso. In quella stanza abusò sessualmente di me. Avevo 12 anni. La prima cosa che resta è una sensazione di sporco, di disgusto. Si resta in silenzio, con la paura che qualcuno lo scopra. Questo diventa un terribile fardello. Alla mia età fu una tortura, un trauma tremendo. Sono diventato ribelle, depresso, persi l’interesse per lo studio, mi isolai. La mia famiglia credeva che fosse dovuto ai cambiamenti di età. Continuavo a comportarmi come se non fosse successo nulla. Quando stavo per compiere i 20 anni ebbi una ragazza per la quale inventai ogni sorta di scuse per non toccarla perché avevo paura. Non è che dubitassi della mia sessualità, è solo che i ricordi mi condizionavano. Ogni giorno della mia vita pensavo a quell’episodio. Pian piano diventò più sporadico, ma il ricordo era sempre lì. Ho dovuto percorrere quella strada da solo perché non riuscivo a parlare con nessuno. C’era un grande dolore nella mia anima. Un carico che pesava tonnellate. Ho vissuto arrabbiato, cercando di rispondere all’eterna domanda: perché è successo a me? Immagino che leggere mi abbia aiutato a capire. Si inizia a indagare sulle origini del conflitto e si scoprono le storie della guerra, e ci si rende conto di non essere stato l’unico.”
Un trauma simile non si dimentica mai.
“A volte penso che sarebbe stato meglio se mi avessero ucciso. Avevo 46 anni. Era il 2 febbraio 2006, non lo dimenticherò. A scuola c’era come una piccola fattoria, e ho detto di sì , per entrare a prendere i mandarini. Sono rimasti seduti per un po’, è stato allora che ho iniziato a inquietarmi. Quando iniziò a fare buio dissi loro che dovevo andare a dormire, che se volevano potevano restare ancora un po’ e raccogliere più mandarini. Il più anziano mi chiese il perché di quella fretta, che era molto presto, i due si guardavano e ridevano. Io pregavo, imploravo Dio che loro andassero via. Ad un tratto il più anziano mi disse di entrare nella stanza. Io chiesi loro di rispettarmi, che ero un insegnante con moglie e figli, l’insegnante del villaggio. Che meritavo rispetto. Mi spaventai e iniziai a piangere. Mi dissero, ʻbambina, non piangereʼ, e il più grande mi trascinò dentro. Il ragazzo mi abbassò i pantaloni e mi puntò la pistola alla testa. Gridai ma nelle vicinanze non c’è niente e la mia voce nemmeno usciva. Quando lui finì, entrò l’altro. Dopodiché mi dissero di fare attenzione di non avvertire nessuno, di non fare commenti sull’avvenuto. Sanguinai molto, piansi tutta la notte, sdraiato a letto, da solo. Il giorno dopo feci finta di nulla e ricevetti i bambini.
Dopo otto giorni ero pieno di piaghe, non potevo sopportare il dolore, il mio ano si infiammò. Disperato, chiesi aiuto a una vicina, le dissi di accompagnarmi dal dottore, che mi ero fatto il bagno con acqua sporca. Durante la visita il medico mi chiese se mi avessero stuprato. Io risposi di no; mi vergognavo. Dissi che era stata l’acqua sporca. Sono rimasto in quella scuola per altri due anni, ma non ho più rivisto quegli uomini. (…) Un giorno lo raccontai a una delle mie figlie, mia moglie lo venne a sapere e da allora non mi guardò più allo stesso modo. Dopo un po’ ci siamo separati perché lei mi ha rifiutato. Vent’anni di matrimonio sono finiti per quello che mi è successo. Immagini che mi accusò persino di averlo provocato. Come può pensare qualcosa di simile! Anche se mi fa dubitare anche a me. Potrebbe essere che loro credessero che io fossi omosessuale? Dissi a mia moglie che se io fossi stato gay non l’avrei sposata né avrei avuto figli. Poverina, in fondo la capisco; lei non ha studi, queste cose non le capisce. Per questo motivo lei non mi ha mai sostenuto. Non so come ho fatto a non impazzire per quello che mi è successo. Passo le giornate a prendere pillole per dormire e per controllare gli episodi di ansia. A volte penso che sarebbe stato meglio se mi avessero ucciso, perché convivere con questo trauma è molto difficile. Un trauma simile non si dimentica mai.