Ha comprensibilmente suscitato sorpresa e riprovazione il nostro articolo di lunedì sulla vicenda di Alberto Genovese e del suo presunto stupro a danno di una diciottenne durante un festino a base di sesso e droga. Complice il titolo provocatorio, ha attirato vampate di insulti un po’ dappertutto da parte di persone che in genere si erano guardate bene dal leggere il pezzo nella sua interezza, inclusa una buffa mitomane che ha cercato di spacciarsi nientemeno che per la vittima della vicenda. Una sola utente, chiamiamola Silvia per comodità, su uno dei nostri canali social, mostra di essersi impegnata nella lettura, dopo la quale ritiene di porci alcune domande molto interessanti. Lo fa con garbo, senza improperi o minacce e anche per questo le sue parole meritano di essere riportate nella loro interezza. “Ho letto il vostro post riguardo a Genovese”, esordisce, “e sono curiosa di chiedervi il parere su una questione. Una ragazza ha commentato chiedendo se fosse giusto che una persona non abbia la libertà di andare in un qualsiasi posto senza dover affrontare il rischio della violenza e dello stupro, e voi avete sottolineato il fatto che è così dall’inizio dei tempi. Ovviamente rispetto la vostra opinione, ma mi chiedevo, dicendo “se l’è cercata”, non si considera in un certo senso “normale” l’atteggiamento di Genovese?”.
Specifica poi: “Anche io sono una ragazza e sono molto giovane. Per la persona che sono ed i miei valori non mi sarei mai trovata in quel contesto ed anzi sarei stata la prima a vederlo come sospetto, ma non è forse questo il problema? Quello che intendo è: è giusto dire ‘è sempre successo, quindi è normale e la soluzione è non trovarsi in quelle situazioni’, e accettare passivamente che la situazione sia questa?”. Prosegue la nostra lettrice: “Sono consapevole del fatto che sia un esempio diverso (in quanto non ci piove sul fatto che quella situazione fosse abbastanza disdicevole), ma anche se, purtroppo, mi trovassi a tornare a casa da sola da lavoro in una grande città e venissi aggredita, potrei essermela cercata solo per aver accettato il rischio che succedesse? Perché in fondo anche se la situazione è decisamente diversa il ragionamento non mi sembra così distante. È un po’ come dire ‘se il rischio c’è, tu lo accetti e ti succede qualcosa, in fondo sapevi bene a cosa andavi incontro, è naturale che queste cose succedano’. Il punto è che non si dovrebbe forse partire di più dal cercare di impedire che queste cose, in qualsiasi posto sia e nei confronti di qualsiasi genere siano, non succedano in generale (a partire dalla mentalità)?”.
Quella patina di vittima assoluta e senza responsabilità.
Le riflessioni di Silvia pongono una serie di questioni, che vanno affrontate una ad una. All’inizio si riferisce a un’altra commentatrice che, recuperando un luogo comune molto femminista, sosteneva che si debba essere liberi di andare tutti dove ci pare senza rischiare violenze o stupri. A lei abbiamo risposto che sarebbe molto bello se si potesse fare, ma dacché esiste il mondo, rischi e pericoli sono nascosti ovunque, in ogni angolo del mondo e dell’esistenza, ed è utopistico pensare di rimuoverli tutti. Si tratta soltanto di assumere l’approccio più prudente possibile alla vita: con qualche accorgimento rischi e pericoli si possono, se non evitare, quanto meno minimizzare. È un punto di vista che ci convince un po’ perché incontrovertibile, un po’ perché trasversale ai generi, un po’ ancora perché verificabile in tutta la storia umana. Il primitivo che andava a caccia e sapeva che da quella parte circolavano branchi di lupi aggressivi, sicuramente si dirigeva dalla parte opposta. Oppure andava dalla parte dei lupi, ma sapendo bene che rischiava di finire sbranato. Con ciò si può dire “normale” che i lupi sbranino la gente? In senso assoluto e ideale no, è orribile, triste e pauroso. In senso relativo sì, è normale: seguono la loro natura, non ci si può fare molto. Il paragone con il lupo non è casuale: Genovese, a causa della sua ricchezza e delle sue dipendenze, di fatto era un lupo. Quello che ha fatto è in assoluto tutt’altro che normale, è un crimine, come tale giustamente sanzionato dal consesso civile tramite le leggi. Relativamente al mondo a cui apparteneva, di contro, è del tutto normale.
In altre parole, per il “lupo Genovese”, ricco cocainomane e sessuomane (come viene descritto), sì, quella condotta è da considerarsi normale, non nel senso di “buono e accettabile”, ma in quello di conforme alla sua natura e alle circostanze. Alla luce di ciò ci siamo guardati bene dal sostenere che la giovane vittima “se la sia cercata”. Quello che abbiamo provato a mettere in luce è che c’è, deve esserci una quota di responsabilità nel decidere di andare là dove staziona un branco di lupi aggressivi. Silvia stessa ci dice che, per il suo modo di essere, non si sarebbe mai prestata a partecipare a consessi del genere. È la prova che, se debitamente informati o anche semplicemente svegli, rischi e pericoli si possono minimizzare e non di rado pure evitare. La vittima di Genovese è improbabile che non sapesse che quell’attico era una specie di dépendance di Sodoma e Gomorra, l’amica che l’accompagnava era un’abitudinaria del ramo, dunque o ha peccato di ingenuità, o di eccessiva sicurezza, in ogni caso ha deciso, contro ogni logica misura di autotutela, di accettare l’invito. Perché l’ha fatto? Questa è la domanda del nostro articolo. Perché andare nel territorio dei lupi? La risposta che ci siamo dati è che doveva esserci un forte incentivo a suscitare la sua temerarietà e abbiamo registrato collateralmente un dato di fatto: sono numerosissime le ragazze, giovani e giovanissime, che così si garantiscono agio, capi firmati e un alto tenore di vita. Dai siti “Onlyfans” o “Ragazze in vendita” fino alla partecipazione in persona a incontri del genere, si tratta di una realtà che esiste. Che non toglie una virgola di responsabilità a Genovese, ben intesi, ma indubbiamente toglie dalla giovane diciottenne quella patina di vittima assoluta priva di ogni responsabilità che a nostro avviso non merita.
Noi uomini rifiutiamo di finire in un calderone a cui non apparteniamo.
Nella parte finale del suo messaggio, la giovanissima Silvia lascia splendere in tutta la sua bellezza l’utopismo tipico della sua età. Dice, in sostanza, che ci si dovrebbe impegnare a evitare che certe cose accadano. Vero, è quell’impegno per un mondo migliore verso cui tutte le persone per bene sono protese. Il fatto è che, dopo secoli di umanità, ciò che si poteva fare lo si è già fatto: esistono leggi, forze di polizia, condanne e pene da scontare, c’è la riprovazione sociale e, in termini preventivi, ci sono l’educazione e l’istruzione. Cosa si può fare di più, chiediamo alla gentile lettrice? Sicuramente lei ha paura a camminare di notte da sola in città, non diversamente dalla paura che può avere un uomo. Paura di essere uccisi, derubati, massacrati di botte, e il fatto che lo stupro faccia vittime soprattutto femminili non lo rende un crimine “più speciale” degli altri. Sarà in ogni caso cura di chiunque con sale in zucca di percorrere strade illuminate, dove ci sia gente, tenendo il telefono o lo spray al peperoncino pronto in mano, e tutti gli altri accorgimenti possibili per evitare il Male che, in ogni forma e in ogni tempo, può capitare ad ogni persona, senza distinzioni d’età, genere, razza, religione o altro. Magari confidando sulla buona fede della comunità istituzionalizzata, ovvero dello Stato, che sappia riconoscere chi è più incline a incarnare il Male e dunque faccia tutto ciò che può per limitarne l’espansione. D’altra parte, cara Silvia, la vita è disseminata di scelte che portano con sé rischi e opportunità, anche le più semplici e banali. Libertà è decidere di affrontare con consapevolezza quelle ad alto rischio, pronti ad assumerci le responsabilità delle conseguenze. Pretendere di ficcarsi in situazioni pericolose senza assumersi alcuna responsabilità significa esigere una licenza, che è il privilegio estratto a forza dalla libertà, come tale non esigibile legittimamente da nessuno. Se un uomo spinge l’auto alla massima velocità, si schianta e resta su una sedia a rotelle, tutti si sentono legittimati a dire “se l’è cercata”; non si spiega perché la stessa logica non debba valere a sessi invertiti. Rimuovere dalle spalle della diciottenne la responsabilità di essere entrata in quell’attico è come dire: “aveva il diritto di andare, magari venire pagata, magari avere gratis tutta la cocaina e l’alcol che voleva, senza dare nulla in cambio”. Indubbiamente saremmo nel mondo dell’impossibile.
Dunque qual è la soluzione? Le femministe la fanno facile: sterminare tutti i lupi. Anche quelli miti e docili, perché tanto sempre lupi sono. Per uno che morde e sbrana, tutti sono colpevoli. È questo, cara Silvia, che sottintende la tua parentesi finale “a partire dalla mentalità”. Alludi, non so quanto coscientemente, al mito della “cultura dello stupro”, sapientemente affermata e diffusa dal femminismo e, come ogni cosa femminista, destituita di ogni fondamento. Esiste la cultura del degrado derivato dall’eccessiva ricchezza, esiste la cultura del vendere se stessi in cambio di denaro, ma la cultura dello stupro non esiste. Genovese ha commesso il suo crimine perché fuori di sé per la droga e per il senso di onnipotenza che ad alcune persone dà alla testa. E per un uomo che stupra ce ne sono centomila che non saprebbero nemmeno concepire di forzare una donna a un rapporto sessuale. Più centomila altri, e chi scrive qui si mette tra i primi, disponibili a intervenire e a rischiare la propria pelle per salvare una donna aggredita, abusata o che sta per essere stuprata. C’è un intero esercito davanti a te, cara Silvia, di uomini che, proprio nella Giornata Internazionale dell’Uomo, a una voce ti dicono no: noi non solo non abbiamo, ma rigettiamo la cultura dello stupro, qualunque sciocchezza sia questa partorita dalla mente malata delle femministe. Noi siamo gli uomini, Silvia, è la nostra la mentalità dominante, quella del rispetto e, per alcuni, della protezione per le donne. Chiedi in giro a chi sa che fine facciano gli stupratori in carcere, che trattamento gli riservino altri uomini, messi dentro per altri crimini. Se esistesse la cultura dello stupro, verrebbe portato in trionfo lungo i corridoi, cosa che non accade affatto. Con tutto questo, noi uomini rifiutiamo di finire in un calderone a cui non apparteniamo ed esigiamo che ad ogni diritto corrisponda un dovere, che ogni azione comporti una serena assunzione di responsabilità.