C’è letteralmente da cadere dalla sedia nel leggere questo articolo relativo alla brutta vicenda di Alberto Genovese, il ricco imprenditore arrestato a Milano per violenza sessuale ai danni di una diciottenne durante un festino hard a base di cocaina. Si parla di una delle testimoni a carico dell’accusato, una giovane bolognese habitué di quei party, e verso di lei le righe trasudano una riprovazione nemmeno troppo sottintesa. Si dà conto del fatto che la giovane è stata protagonista di un’altra vicenda simile, avvenuta di recente a Bologna, e si leggono frasi come: “l’inchiesta e lo scandalo di Bologna non sembrano aver influito sullo stile di vita della giovane bolognese”; oppure: “la ragazza avrebbe continuato a fare a Milano quel che faceva a Bologna, ossia frequentare feste a base di sesso e droga”. Si riportano anche le osservazioni piuttosto severe di uno degli avvocati della vicenda bolognese, che non si dice “stupita del fatto che la ragazza fosse presente in quel contesto […] Credo sia abbastanza evidente che quello è il contesto nel quale le piace vivere”. Non trapela alcun tono giustificatorio o assolutorio per la giovane viveuse e questo è davvero sorprendente, ancor più se si considera che l’articolo è di “Repubblica”, di quel Gruppo GEDI di cui abbiamo parlato di recente.
Va da sé che risulta pressoché impossibile approvare i passatempi di Alberto Genovese, specie alla luce del suo profilo umano, per lo meno per come è stato disegnato dai media (e dunque da prendere assolutamente con prudenza). Se davvero è il cocainomane e sessuomane sprezzante della dignità altrui che è stato raccontato, dedito a vizi e stravizi disumanizzanti, c’è poco da cercare attenuanti: che la sua strada si sarebbe presto o tardi incrociata con quella della giustizia era pressoché scontato, e se verrà trovato colpevole pagherà doverosamente il prezzo dei propri eccessi. Va da sé però anche che tutto il movimentismo femminista italiano, con i soliti media compiacenti al seguito, hanno preso il ricco imprenditore ora in arresto come una sorta di “modello d’uomo”, l’incarnazione vivente di quella “cultura dello stupro” insita fin dalla nascita in chiunque si porti appresso la dannazione della coppia cromosomica XY. La faccia di Genovese è finita su tutti i profili, le pagine, i blog, i social e i forum femministi, con articoli furenti che a malapena nascondevano il senso di trionfo: “eccolo, lo vedete?”, urlavano tutti in coro, “questi sono gli uomini!!!”. Insomma la vicenda era troppo brutta perché si lasciassero sfuggire l’occasione di sciacallarci un po’ sopra a proprio uso e consumo, trasformando le probabili colpe di un singolo in colpe certe di tutto un genere.
Non si tratta di servizi da discount di periferia.
Articoli come quello citato di Repubblica, però, piombano su quella massa ovina trionfante come macigni perché alludono apertamente ad alcuni dati di fatto davvero difficili da mettere in discussione, e che andrebbero esposti per come sono, al di là della cortina di pizzo che si stende sempre su eventi come questi. La vicenda del festino di Milano (ma anche quello di Bologna) svela infatti l’ovvio: esistono persone che, grazie alle proprie disponibilità economiche, procurano a se stesse occasioni di stravizio ed eccessi basati su due piaceri che di più tradizionali non se ne può pensare, ossia sesso e sostanze (alcol e/o droga). Solo chi ignora l’antica etimologia del termine “orgia” può stupirsi che accadano queste cose. Con la specifica che il primo dei due piaceri, il sesso, è peculiarmente ricercato dagli uomini, e anche di questo c’è poco da stupirsi, essendo così dalla notte dei tempi. “Born this way”, direbbe Lady Gaga e non c’è niente da fare. Non che pure alle donne non piaccia, ma si può dire senza tema di smentita che, a confronto con gli uomini, il sesso non è tra le maggiori priorità nel novero dei piaceri cui esse ambiscono. Il secondo stravizio invece è molto più trasversale, passa attraverso i generi, le età, lo status sociale ed economico. Lo “sballo” è democratico, insomma, così come la sua degenerazione, ossia la tossicodipendenza. Chiunque ne apprezzi gli effetti, lo cerca e fa in modo di ottenerlo ad ogni costo, il più spesso possibile e al minor prezzo possibile. Anche questi sono fatti.
Un terzo fatto è che attorno a chi può concretamente permettersi il lusso di attività orgiastiche svolazzano da sempre soggetti che in qualche misura traggono vantaggio dagli stravizi altrui. Che si tratti di staccare un fortunato biglietto gratis per un giro in giostra o di farsi pagare per garantire la propria presenza e i propri servizi, i ricchi crapuloni sono sempre pieni di amici e amiche, che poi scompaiono quando le tasche del “benefattore” si svuotano. Scoperta per nulla sconvolgente: esistono giovani fanciulle, usualmente molto avvenenti e disinibite, che in quel mondo e di quel mondo vivono. Hanno all’interno di esso frequentazioni sistematiche e frequenti, quasi si trattasse di un lavoro. Con buona probabilità ottengono anche una remunerazione per la loro presenza e le loro attività in quei contesti, che si tratti di alimentare una loro tossicodipendenza o la loro smania di lusso o di una semplice e corposa regalia in denaro. Incentivi che non di rado spingono costoro ad accettare un po’ tutti i desiderata di chi le ingaggia, perversioni estreme incluse. Una tacita compravendita di servizi, insomma, dove ognuno dà consapevolmente ciò che ha, ampliando le proprie disponibilità per ottenere un aumento del prezzo o del servizio. Ed è certo che non si tratta di servizi da discount di periferia: gentilezze, attenzioni e aperta disponibilità di giovani e belle ragazze che scelgono liberamente questo tipo di vita sono prodotti che in genere costano parecchio.
Anche per questo quel mondo attira giovani e giovanissime, spesso anche minorenni, di quella generazione educata all’edonismo webete martellante e imperante. Con ciò che esse considerano tutto sommato poco, ossia una parte di sé, la finzione di una partecipazione erotica genuina e il cedimento alle perversioni altrui, ottengono quello che considerano molto: sballo gratis, regalie costose (sempre gratis), denaro. La testimone dello stupro messo in atto da Genovese a danno di una diciottenne faceva (e a conti fatti ancora fa) parte di questo contesto ed è lecito ipotizzare che tramite esso avesse costruito la propria dimensione di vita. La diciottenne per il cui abuso ora Genovese (e altri) è sotto accusa era amica della testimone bolognese. Forse tanto amica da condividerne il modello di vita, chissà. Forse il suo era un primo ingresso in quel mondo di perversioni e soldi facili, spesso seduttivamente emerso dai racconti dell’amica di Bologna, e non ha saputo resistere al fascino dell’eccesso, drogandosi fino a perdere i sensi, come normalmente avviene, anzi deve avvenire in ogni orgia degna di tal nome, salvo poi trovarsi in una situazione divenuta (così ha dichiarato) insostenibile. Sono tutti aspetti che probabilmente l’inchiesta e il processo metteranno in chiaro. Quello che si può dare per assodato è che la presunta vittima sapeva che quella sera non si sarebbe recata in un gabinetto di filosofi a discettare di ragion pura e nemmeno in un gruppo di preghiera. Sapeva sicuramente con qualche precisione chi e cosa avrebbe trovato, cosa avrebbe dovuto fare e dare, e quali fossero i rischi connessi, esattamente come lo sa un poliziotto che entra in una zona malfamata, un muratore che sale su un’impalcatura instabile e pericolante, o un pazzo che va a fare una passeggiata in una favela brasiliana esibendo orologi e collanine d’oro. Le femministe chiameranno questo ragionamento victim blaming, per noi sono solo fatti che descrivono un vivere consapevole da cui discenda una doverosa assunzione di responsabilità.
La magistratura dovrà giudicare se in quell’attico di Milano siano avvenuti rapporti sessuali non consenzienti accompagnati da atti di violenza. Va da sé che se il contesto è quello che emerge dalle dichiarazioni e dal genere di persone chiamate a testimoniare, difficilmente ci si potrà appellare con ragionevolezza alla non consensualità, e si dovrà quindi imperniare il tutto su eventuali agiti violenti. In assenza dei quali solo uno strabismo e una lontananza siderale dalla realtà di determinati fenomeni sociali (nonché un aperto atteggiamento antimaschile) si potrebbe configurare una colpa per violenza sessuale. Sul piano dei commenti, la condotta delle ragazze coinvolte difficilmente può legittimare le femministe all’esultante colpevolizzazione del genere maschile nel suo complesso, ma anche di Genovese singolarmente, uomo che ha perso dignità e umanità a causa di due tra le malattie più devastanti per un essere umano: la ricchezza e la droga. Fanno tanto rumore, le femministe e i loro media al guinzaglio, in realtà per evitare che si senta la domanda che buona parte dell’opinione pubblica si fa, e che in questo caso circoscritto è assolutamente ragionevole: la giovane presunta vittima se l’è cercata? Nessuno, questo è certo, l’ha obbligata a varcare quel portone insieme all’amica bolognese, già ampiamente informata su come funzionassero le cose in quei festini. Su quel portone stava la scritta, visibile solo a chi fa quel tipo di scelte di vita: “se cerchi guai, sei nel posto giusto”. Questo soprattutto, a dispetto della probabile rabbia delle femministe, suggerisce una risposta piuttosto secca alla domanda che tutti si pongono. E che ha come corollario la riflessione per cui più che di “cultura dello stupro” si dovrebbe cominciare a parlare, a scelta, di “cultura edonistica”, “cultura della prostituzione”, “cultura dei soldi facili”.