Partendo da un articolo pubblicato su corrieresalentino.it, abbiamo cercato i dettagli necessari a comprendere meglio i contorni della vicenda giudiziaria. L’articolo in questione riferiva dell’assoluzione di un 47enne salentino dalle denunce di maltrattamenti in famiglia, lesioni, ripetute umiliazioni fisiche e psichiche ai danni della moglie. Per conoscere gli approfondimenti del caso e le dinamiche attraverso le quali si è arrivati all’assoluzione abbiamo contattato, come facciamo solitamente, il legale che è riuscito a dimostrare l’infondatezza delle accuse a carico del proprio assistito. Abbiamo potuto contare sulla collaborazione dell’avvocato Massimo Bellini, scoprendo una miniera di informazioni su altre vicende patrocinate dal suo studio. Oltre al caso sul quale chiedevamo chiarimenti ne ha menzionati altri offrendo una gamma esaustiva del filone “false accuse”: assoluzione dalle accuse di maltrattamenti, assoluzione dallo stalking, assoluzione dalla violenza sessuale. Ma andiamo per gradi.
Il primo caso è quello del genitore denunciato per maltrattamenti, lesioni ed altro. L’obiettivo dichiarato dall’accusatrice era quello di essere protetta dalle incessanti violenze del marito-orco. Il legale invece è riuscito a dimostrare l’obiettivo occulto, vale a dire l’esclusione del padre dal percorso di crescita della figlia affinché la madre potesse gestire la bambina in via esclusiva. Il marito-orco quindi non esisteva, sono state necessarie accurate indagini difensive per dimostrare la costruzione strumentale delle accuse. Ad esempio un’unica volta nella vita l’accusato è stato multato in quanto positivo all’alcol test poiché guidava l’auto al ritorno da una cerimonia, ma questo singolo episodio è stato utilizzato per sostenere che sovente tornasse a casa ubriaco e picchiasse la moglie. L’avv. Bellini riferisce una escalation di denunce, ben cinque, all’inizio estremamente generiche e prive di rilevanza giuridica, basate sul fatto che il marito era “arrogante”.
Otto mesi di carcere, pur con un alibi di ferro.
Poi, secondo copione, sale l’asticella delle accuse e si passa alle denunce di percosse con allarme crescente, anche chiamando i Carabinieri. I militari però non riscontrano comportamenti violenti dell’accusato e verbalizzano di aver trovato la signora emotivamente agitata. Il marito voleva portare la figlia dalla madre mentre lei si opponeva a che la bambina frequentasse la suocera. Tentata anche la carta dell’ospedale, ma la signora non è stata in grado di depositare referti ospedalieri per ecchimosi, contusioni, lacerazioni, fratture o altri esiti da percosse. “Rialzo pressorio” è la diagnosi che – in linea con quanto riscontrato dai Carabinieri – descrive una donna che facilmente si agita e si innervosisce, cosa diversa dal mostrare segni di percosse. Sempre nel contesto delle indagini difensive sono stati depositati anche dei filmati per dimostrare la violenza di colei che si dichiarava vittima di violenza: insultava il presunto carnefice e lo bersagliava con lancio di oggetti dal balcone. In sostanza una elevata conflittualità con attriti e insulti reciproci, humus fin troppo comune in una coppia separata. Tuttavia la signora ha provato a negare la reciprocità per descriversi come vittima delle violenze unidirezionali del marito. In dibattimento è stato dimostrato il contrario. Assolto.
Il secondo caso è più drammatico, poiché l’accusato ha dovuto scontare 8 mesi agli arresti domiciliari prima di vedere riconosciuta la propria innocenza. Siamo nel 2019 e il reato contestato è lo stalking. Anche qui accuse generiche su comportamenti asseritamente persecutori, che culminano nella denuncia per un episodio di pedinamento e minacce accaduto – sostiene l’accusatrice – una domenica sera. L’avvocato Bellini esibisce la prova regina che scagiona incontestabilmente il proprio assistito, ma gli viene impedito di depositarla. Quella domenica l’imputato era allo stadio per assistere ad una partita serale del Lecce, ci sono diverse foto pubblicate sui social che lo ritraggono sugli spalti insieme ad altri tifosi. Un alibi di ferro, era impossibile che l’accusato fosse sul luogo del presunto stalking all’orario citato dalla presunta vittima e confermato da due fantasiosi testimoni.
Nessuna violenza, solo il pudore di lei: assolto.
La prova incredibilmente non viene ammessa nell’udienza del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne. Data emblematica che fa nascere alcuni sospetti, non nell’avvocato ma in chi scrive: sentenza già decisa? Accanimento antimaschile? Dimostrazione di empatia per le vittime femminili? Arriva infatti la condanna a 9 mesi di reclusione, anche sulla scia dell’escussione dei due testi o presunti tali. In appello la sentenza viene ribaltata, grazie all’esame delle prove che avrebbero potuto e dovuto essere ammesse già in primo grado. Assoluzione, ma intanto il tizio ingiustamente accusato ha trascorso 8 mesi agli arresti domiciliari da innocente, quasi l’intera pena stabilita in 9 mesi. L’avv. Bellini sottolinea un ulteriore dettaglio: l’assoluzione arriva per il secondo comma dell’art. 530, che impedisce al proprio assistito di denunciare per calunnia la propria accusatrice ed i due testimoni. Si limiterà a chiedere il risarcimento per l’ingiusta detenzione patita. Il terzo caso riguarda due soggetti minorenni. Presunto stupro in pieno centro a Lecce, ai danni di una 14enne da parte di un amico 16enne. I due ragazzi prendono parte alla movida insieme a un gruppo di amici presso un locale pubblico, si appartano in un vicolo in cerca di riservatezza e consumano un rapporto sessuale completo.
Rapporto consenziente secondo il ragazzo, uno stupro secondo la denuncia presentata dalla 14enne accompagnata dalla madre. Le telecamere di sorveglianza del locale registrano l’allontanamento dei ragazzi mano nella mano ed il ritorno, dopo un intervallo di 7 minuti, sempre tenendosi per mano. Successivamente alla denuncia vengono sentiti in qualità di testimoni altri giovani della comitiva, e sulla base degli elementi probatori acquisiti la PM chiede l’archiviazione: le telecamere non registrano ciò che accade nel buio del vicolo ma, se rapporto c’è stato, il consenso della ragazza risulta evidente dall’atteggiamento sia precedente che successivo ai sette minuti di buco. Inoltre nei minuti successivi si vede la ragazza scambiare effusioni con un altro giovane del gruppo di amici. La famiglia della ragazza si oppone all’archiviazione, è comprensibile che due genitori accettino malvolentieri che la propria figlia non sia troppo attenta alle raccomandazioni di mamma e papà. Allo stesso tempo è comprensibile che la ragazza abbia tentato di nascondere ai genitori il proprio comportamento forse licenzioso, ma lecito e consenziente, fingendo di essere stata violentata. Il rapporto sessuale tra una 14enne ed un 16enne non è sanzionato dal nostro codice penale, in questo caso l’unico elemento che potrebbe configurare un reato è la violenza. Che infatti non c’è stata e a luglio 2020 arriva l’assoluzione.
Ecco come viene inculcato nella coscienza collettiva un allarme sproporzionato.
In conclusione con l’avv. Bellini affrontiamo anche il discorso generale sul proliferare di false accuse, scambiamo opinioni sul cosiddetto Codice Rosso, sulle dichiarazioni della presunta vittima come unica prova del reato, sulla necessità di maggiore cautela nei casi di costituzione di parte civile, sulla necessità di verificare l’attendibilità di eventuali testimoni, sul ruolo che possono avere i Centri Antiviolenza. Il rischio di strumentalizzazione è alto, come anche il rischio di errori giudiziari che possano penalizzare persone innocenti. Manifesto le mie perplessità sul fiume di denaro pubblico che alimenta i centri antiviolenza e sulla mancata trasparenza dei dati in merito alle presunte vittime assistite, agli iter giudiziari avviati, agli esiti. L’avvocato aggiunge altre perplessità sui patrocini a spese dello Stato per tutte le persone che si dichiarano vittime di violenza, a prescindere dal reddito. Tanti, ma veramente tanti fondi in gioco, offuscati da una cortina di poca chiarezza. Ricordiamo entrambi una citazione di Giulio Andreotti: a pensar male forse si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Ultima considerazione: la stimolante intervista con l’avvocato Bellini è la conferma empirica di quanto andiamo sostenendo da anni: le accuse che si rivelano infondate sono molte di più della pur corposa mole che riusciamo ad inserire nei nostri archivi.
Ogni tanto di qualche assoluzione se ne ha notizia sui media – sempre testate locali online, mai nei tg o sulla stampa nazionale – ma la maggior parte rimarranno sconosciute: 1000 denunce, 900 conclusioni con un nulla di fatto tra archiviazioni, proscioglimenti ed assoluzioni. La media è questa ma solo una minima parte viene resa nota. Ne risulta che le denunce vengono censite e propagandate come se ogni singola denuncia certificasse un reato, però non viene spiegato che non è affatto così. Alla popolazione viene detto che decine di migliaia di denunce vengono presentate, ma non viene detto che la maggior parte si rivelano infondate. L’esempio concreto: i tre casi citati nell’articolo nascono complessivamente da 8 denunce, che entrano tutte nel database del Ministero dell’Interno. Tuttavia le 8 denunce si rivelano infondate poiché esitano in tre assoluzioni, una sola delle quali viene resa nota da corrieresalentino.it mentre le altre due non hanno alcuno spazio nemmeno sui media locali. Con la divulgazione dei rapporti annuali da parte della Polizia di Stato tutta la popolazione conosce il totale delle denunce presentate nel quale sono comprese le 8 di cui sopra, ma solo i lettori di corrieresalentino vengono a sapere dell’assoluzione e nemmeno quelli vengono a sapere delle altre due assoluzioni, note solo ai diretti interessati. Ergo: 60.000.000 di italiane e italiani sanno che anche quelle 8 denunce sono state presentate, 4 persone sanno che erano infondate. Ecco come viene inculcato nella coscienza collettiva un allarme sproporzionato rispetto ai reali contorni del fenomeno “violenza di genere”.