Carla Cuccu è una consigliera regionale della Sardegna, eletta nelle fila del Movimento 5 Stelle. Settimana scorsa è salita agli onori delle cronache per aver depositato una proposta di legge regionale avente ad oggetto il fenomeno dell’alienazione parentale. “Era necessario intervenire su un tema reale e grave. La tutela dei minori e della famiglia è da sempre una delle mie priorità”, commenta la Cuccu. E in effetti la consigliera non è nuova a iniziative che riguardano la tutela dei minori, la bigenitorialità e il diritto di famiglia. Sua è, ad esempio, un’interpellanza al Presidente della Regione e all’Assessore all’Igiene che, nel 2019, chiedeva chiarimenti sulle pratiche di allontanamenti e affidi. Ora propone una legge coraggiosa, che sarebbe la prima in Italia, finalizzata a riconoscere il fenomeno dell’alienazione parentale. “Si tratta di una manipolazione psicologica sui minori da parte di un genitore”, spiega la Cuccu, “che avviene durante le cause di separazione. Accade spessissimo che un genitore venga totalmente estromesso dalla vita dei figli ma soprattutto viene negato ai figli di avere l’affetto, la presenza e l’educazione di un genitore che non merita di essere allontanato”. Non è un caso che anche la Cassazione stia andando nella direzione di una sanzione di questo tipo di condotte, che da tempo vengono studiate e registrate in ambito scientifico e denunciate da un’ampia rete associativa attiva in difesa dei bambini e della genitorialità.
La Cuccu mostra di essere in ascolto rispetto a ciò che proviene dal territorio, tramite le associazioni. “Abbiamo lavorato a questa proposta da un anno assieme alla associazione FLAGe figli liberi dalla alienazione genitoriale, che ha fornito una enorme quantità di materiale e centinaia di testimonianze. Quando la stavamo ultimando è arrivata la dichiarazione del Ministro Speranza che ci ha confermato che stiamo percorrendo la strada giusta”. Il riferimento è a un’articolata riflessione che il Ministro della Salute ha reso pubblica nel giugno scorso, e che a tutti gli effetti riconosce l’esistenza del problema e della necessità di affrontarlo anche dal lato legislativo. In questa direzione va la proposta che Carla Cuccu ha depositato all’assemblea legislativa sarda e che, se approvata, riconoscerebbe ufficialmente l’alienazione parentale come un problema di cui tenere conto, specie nelle fasi di separazione coniugale. Non solo: l’obiettivo della proposta di legge è anche quello di promuovere campagne di comunicazione a favore della popolazione, l’istituzione di una giornata regionale dedicata alla consapevolezza sulla alienazione genitoriale, la creazione all’interno dei Centri regionali per la Famiglia di appositi sportelli di ascolto e, infine, di attivare buone pratiche di collaborazione con l’associazionismo attivo nella lotta contro questo fenomeno. Che, dopo la consultazione con la rete associativa che se ne occupa, deve essere apparso alla consigliera sarda nelle sue dimensioni reali, tragiche e dilaganti, se ha deciso di prendere di petto un tema importante sì, ma per certi versi anche molto controverso.
Accorrono strascico tutti i saltimbanchi dell’industria dell’antiviolenza.
Non perché sia controverso di per sé (ambito, caratteri e applicazione dell’alienazione sono cose ormai chiaramente descritte dalla letteratura scientifica), ma perché esiste un movimento minoritario e molto rumoroso che gioca a renderlo tale. E che non ha tardato a farsi sentire, in reazione alla proposta della consigliera Cuccu, utilizzando i toni che gli sono peculiari: l’insulto, il dileggio, il livore, ma soprattutto la mistificazione. Parte lancia in resta Patrizia Cadau (del personaggio ce ne occupammo già qui), consigliera comunale di Oristano, ex M5S, femminista di ferro, che sui social e sui media attacca la Cuccu senza troppi giri di parole appellandola “ancella di Pillon” e figurando uno scenario di strage indiscriminata di donne e bambini per mano maschile, cui l’alienazione parentale, condotta statisticamente rilevata come tipica soprattutto delle madri, contribuirebbe in modo decisivo. Uno scenario che, dati alla mano, ovviamente non esiste. A darle manforte accorre subito un’altra nostra vecchia conoscenza, quella Veronica Giannone pescata di recente a maledire, nientemeno, la bigenitorialità, ovvero un diritto del minore riconosciuto a livello internazionale, e a tentare (senza successo) di introdursi in un dibattimento giudiziale di separazione esibendo il tesserino da parlamentare e il proprio ruolo di segretaria della Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza.
In un post su Facebook l’appassionata parlamentare sposa in pieno la presa di posizione di Patrizia Cadau e, sprezzando il rischio di prendere un grosso granchio, va anche oltre. Si appella alla “ascientificità” dell’alienazione parentale, per poi svarionare sul tema “donne e minori sempre più vittime di una cultura maschilista e patriarcale” (???) contro cui si starebbe combattendo ad ogni livello, anche in Parlamento. In sostanza, dice ancora la Giannone, l’alienazione parentale è un pretesto per allontanare i figli dalle madri “senza motivo alcuno”. Riecheggia nelle sue parole quella battaglia di retrovia che un gruppuscolo di donne sta portando avanti da tempo con discreto successo, più mediatico che effettivo, grazie agli agganci in Senato con personaggi come la Giannone stessa o come la senatrice Valeria Valente e la sua “Commissione femminicidio”. Quella che, per intenderci, ha avocato a sé, ancora non è chiaro con quale legittimità, 572 sentenze di separazione a dire della Commissione “dubbie” proprio perché i giudici avrebbero rilevato fenomeni di alienazione (e a cui noi de “La Fionda” abbiamo contrapposto una “commissione ombra” di specialisti pronti a esaminare i casi, su base volontaria di chi ne è parte in causa, e a rilasciare le proprie valutazioni. Caso strano, da quando abbiamo annunciato la nostra “commissione”, della revisione da parte della “Commissione Femminicidio” non si sa più nulla…).
Una legge che è e rimane un fatto di civiltà.
La parte più sorprendente del messaggio della Giannone deve però venire. Per contestare l’alienazione parentale come forma di abuso sui minori, così argomenta: “e l’abuso sessuale sui minori?”. Un benaltrismo cui verrebbe da rispondere in automatico: “che c’entra?”. Ma è più facile rispondere che negli ultimi dieci anni le condanne di uomini per abusi sessuali sui minori sono pochissime, un’inezia (grazie al cielo), specie se confrontate con le denunce dilaganti e con gli innumerevoli casi di alienazione parentale. La Giannone lo sa e per questo mette le mani avanti scrivendo, indignata: “la maggior parte delle denunce di abusi o maltrattamenti o pedofilia sono archiviate senza neanche un’indagine”. Ma va, Giannone, cosa ci dice mai? E la domanda del perché accada se l’è fatta? Forse che, come ammesso da tempo da operatrici (donne) di giustizia e testimoniato da un profluvio di notizie sui media, il 90% di quelle denunce è semplicemente costituito da accuse false e strumentali? Giannone lo sa benissimo, ma sorvola, preferisce sostenere che l’Italia sia popolata di uomini-padri stupratori di mogli e abusanti di figli, che la fanno franca grazie alla “scusa” dell’alienazione parentale. Numeri e fatti alla mano quella della Giannone è una posizione improponibile e priva di senso, ma con il suo intervento l’aggressione alla consigliera regionale Cuccu fa un salto di qualità e diventa nazionale, innescando tutto il circuito mediatico-politico che ruota attorno alla ricca industria dell’antiviolenza. Contro la Cuccu si muove allora D.I.Re. e a strascico tutti i saltimbanchi convinti che il conformismo a questa maledizione anti-bambini che sono il femminismo e il business possa portare consensi. Ultimi, non per importanza, i colleghi di partito della Cuccu che, vergogna politica poco sorprendente trattandosi di grillini, si dissociano in gregge dalla proposta sull’alienazione.
Deve essere chiaro che alle radici di iniziative piene di buon senso, come quelle della consigliera Cuccu, e dei deliri volgari di chi vi si oppone non ci sono questioni di poco conto. Carla Cuccu sa bene che portando avanti questo tema rischia, nello scenario socio-culturale attuale, di bruciarsi per sempre la carriera politica, ma è giustamente convinta di fare la cosa giusta, e la fa. Dall’altro lato si ha un battaglione sparuto ma combattivo, che coniuga tematiche tossiche del femminismo, spinte clientelari legate alla Antiviolenza s.r.l. e interessi economici che si ramificano in vari rivoli. Ma si tratta in ogni caso di contrapposizioni superficiali, che alla radice hanno due filosofie contrapposte in un braccio di ferro che, a tutti gli effetti, avviene soltanto in Italia (e in parte anche in Spagna). Da un lato ci sono i “verificazionisti”, quelli che partono dal presupposto che ci sia sempre un abuso (usualmente sessuale), sempre realizzato da un uomo, e ogni elemento rilevato in una vicenda viene riportato, per ragione o per forza, a quel presupposto. Il sistema Bibbiano e quelli che l’hanno preceduto sono figli di questa filosofia priva di senso. Dall’altra parte c’è l’approccio scientifico, quello dato per scontato in ogni paese civile, secondo cui le vicende vanno valutate su basi oggettive, mai dimenticando che un abuso possa esserci, ma senza mai fare di esso il centro di ogni analisi. Quell’approccio scientifico ha prodotto, in Italia, la fondamentale “Carta di Noto”, bestia nera di tutti i verificazionisti e faro di riferimento per chi, come l’ampio mondo associativo (che ha infatti manifestato subito pieno supporto a Carla Cuccu), mette davanti a tutto la tutela dei bambini. Anche, ebbene sì, prima della violenza contro le donne, quel fulcro concettuale (per lo più infondato) di business, clientele e potere che ben conosciamo. L’industria del vittimismo è abituata a usare cinicamente la tutela dei minori, andandovi a traino per inoculare le proprie istanze settarie. L’approccio scientifico, la “Carta di Noto” o proposte come quelle sacrosante della consigliera Cuccu svellono alla radice tutto il sistema. Anche così si spiega la feroce reazione a una legge che è e rimane un fatto di civiltà per cui l’Italia non può più attendere ancora a lungo.