Arrivano le prime avvisaglie della grande kermesse del 25 novembre. In particolare ad aprire le danze è la Divisione Anticrimine della Questura di Napoli, come raccontato da questo articolo. Ed ecco la solita manciata di dati su scala locale, anticipo del report nazionale che immancabilmente, proprio a ridosso del 25 novembre, viene diffuso dalla Polizia di Stato. Le criticità rimangono sempre le stesse che rileviamo ogni anno: i dati vengono utilizzati dalla premiata ditta VLC SpA (Vittimismo a Lamentela Continua) per costruire un allarme qualunque cosa accada. L’assunto della VLC sembra essere che:
- ogni donna sia vittima di violenza, anche se non ne è consapevole;
- ogni donna abbia un urgente bisogno di denunciare, anche se non ne è consapevole;
- ogni donna debba essere salvata e liberata dall’oppressione del patriarcato, anche se non ne è consapevole.
Da tale assunto deriva una preoccupazione costante: denunce in calo, preoccupazione per le donne che sicuramente vorrebbero denunciare ma non possono; denunce in crescita, preoccupazione perché la convivenza forzata per il lockdown scatena la violenza domestica; denunce stabili, preoccupazione perché ciò che viene fatto non è mai abbastanza, c’è bisogno di fare di più.
In attesa dell’abbuffata di dati su scala nazionale, l’aperitivo fornito dalla questura di Napoli parla di 1060 “segnalazioni”, specificando che dette segnalazioni possono arrivare da più fonti, la presunta vittima e non solo, anche ospedali, centri antiviolenza, servizi sociali, amici, colleghi, parenti, vicini della presunta vittima. Anzi, che la vittima sia presunta l’articolo non lo dice, acquisisce lo status di vittima per il solo fatto che dica di esserlo, o perché lo racconti un’amica con la quale si è confidata, o perché un vicino di casa dica di sentire rumori strani. È questo il principale equivoco sul quale si costruisce un allarme sovradimensionato: non solo ogni denuncia ma anche ogni semplice segnalazione si trasforma nella certezza di reato. Senza specificare che una denuncia, una querela o una segnalazione non sono affatto condanne, nella percezione del lettore 100 segnalazioni equivalgono a 100 vittime, quindi a 100 carnefici. A questo punto perché avviare l’inutile perdita di tempo di un iter giudiziario? Gettiamo alle ortiche le regole del giusto processo, la certezza del reato c’è per il solo fatto che siano arrivate segnalazioni.
Occorre aprire un sereno e approfondito confronto istituzionale sull’elaborazione dei dati.
Ovviamente non è così, ma dicendo che “nell’ambito della costante attività svolta per contrastare la violenza di genere arrivano 1060 segnalazioni”, si lascia intendere che vi siano 1060 azioni volte a sanzionare i colpevoli. Analizzando meglio le pur scarne informazioni, si vede tuttavia che a fronte di 1060 segnalazioni sono stati adottati 130 ammonimenti dall’inizio dell’anno. Quindi oltre 900 segnalazioni (il 90% circa) non sono state giudicate meritevoli nemmeno della misura cautelare più blanda, quella dell’ammonimento. Anche relativamente al mese di ottobre emergono percentuali simili: a fronte di 130 segnalazioni sono stati emessi 30 ammonimenti. Sembra quindi fuorviante propagandare le mere segnalazioni ricevute senza calcolare i casi che si sono realmente concretizzati in un procedimento giudiziario, e soprattutto con quale esito. Per avere un quadro aderente alla realtà bisognerebbe confrontare i dati complessivi delle segnalazioni con i dati complessivi degli iter giudiziari suddivisi per tipologia (archiviazione, proscioglimento in istruttoria, rinvio a giudizio, condanna o assoluzione) e delle eventuali misure cautelari applicate, dall’ammonimento al divieto di avvicinamento alla presunta vittima, dal braccialetto elettronico alla carcerazione preventiva. Solo dall’incrocio di tali informazioni può emergere il reale contorno del fenomeno “violenza domestica”, citare solo le segnalazioni darà sempre un quadro falsato.
Inoltre, dato fondamentale, bisognerebbe eliminare dalle statistiche tutte le segnalazioni , denunce e querele concluse con un nulla di fatto, dall’archiviazione all’assoluzione del presunto colpevole. Si tratta di un lavoro enorme e dilatato nel tempo; ogni denuncia può esitare in assoluzione dopo diversi anni, per cui il tizio incriminato per maltrattamenti nel 2020 può essere assolto con formula piena nel 2025. E nel 2025 nessuno andrà a stornare come infondata la denuncia di cinque anni prima, che quindi rimane nelle statistiche utilizzate per creare un allarme fittizio. Un lavoro certosino di incrocio dei dati è stato fatto da Davide Stasi nella pubblicazione Violenza sulle Donne, le Anti-Statistiche, 2019. Reperimento dati da diverse fonti istituzionali, dall’ISTAT al Ministero dell’Interno, dal quale cito un solo risultato significativo tra i tanti presenti nel libro: per tutta la gamma di reati connessi alla violenza domestica si contano all’incirca 50.000 denunce ogni anno , che però esitano in meno di 5.000 condanne. Oltre il 90% delle denunce quindi, alla verifica giudiziaria, si dimostrano infondate; e parliamo di denunce formalizzate in Procura; se aggiungiamo le semplici segnalazioni, vediamo che anche in questo caso il 90% si dimostrano penalmente irrilevanti. In merito alle false accuse archiviamo da anni una corposa documentazione con la curiosa ricorsività di false accuse maturate nell’ambito di separazioni e divorzi, anche per accuse molto più gravi dei maltrattamenti, come violenze sessuali su adulti e minori. Fenomeno rilevato anche dalle operatrici giudiziarie e dalla stessa Polizia di Stato. Sarebbe il caso che simili approfondimenti non vengano lasciati all’iniziativa di ricercatori privati, appare necessario il confronto di fonte istituzionale tra segnalazioni, denunce, querele e la effettiva rilevanza penale dei fatti narrati. Lo diciamo da anni, diventiamo abbastanza ripetitivi nel rilevare sempre le stesse storture, ma temo che lo stesso articolo dovremo replicarlo ancora diverse volte in occasione delle prossime divulgazioni