Mi capita sotto gli occhi un articolo, autrice Marianna Garritano, intitolato “Donna: ricatti e soprusi sul posto di lavoro. Spesso e stalking“. Vale la pena analizzarlo nel dettaglio, perché siamo, al solito, davanti a un capolavoro del giornalismo contemporaneo. “Tra mobbing e stalking sul lavoro: è in questo contesto che il 10% delle lavoratrici italiane convive”, dice Garritano. Cioè? Il 10% delle lavoratrici viene mobbizzato al mattino e stalkerizzato al pomeriggio, oppure il 5% subisce il mobbing ed un altro 5% lo stalking? Per capire, visto che la fonte non c’è. ISTAT, Eures, Eurispes, ILO, Censis, altro? Marianna Garritano dimentica di citare da quale rapporto statistico avrebbe estratto i dati che sciorina, ma è una caratteristica comune tra coloro che trattano i vari aspetti del vittimismo femminile. Dice ancora l’articolo: “nel primo caso il fine del persecutore, nonché collega o datore di lavoro, è quello di emarginare la vittima”. Perché non persecutrice? Interi settori lavorativi registrano una presenza femminile straripante: il tessile, il manifatturiero, la pubblica amministrazione, la scuola, gli Enti Locali, i Servizi Sociali, dunque perché escludere che le donne possano coalizzarsi ai danni di una collega per motivi di carriera, assegnazione di compiti prestigiosi, esibizionismo con le superiori, rifiuto di fare straordinari, invidia o rancori maturati per mille altri motivi?
“Nel caso dello stalking occupazionale invece”, prosegue la Garritano, “ci si riferisce a quell’atteggiamento persecutorio che il più delle volte sfocia in veri e propri episodi di molestie sessuali”. Assolutamente no. Dice il sito di Studio Cataldi: “Per stalking occupazionale si intende la persecuzione del lavoratore da parte del datore di lavoro o di un superiore gerarchico, in cui lo stalker giunge finanche ad alterare le abitudini di vita quotidiane della vittima per motivazioni derivanti dal rapporto di lavoro (…). Si tratta di una strategia aggiuntiva al mobbing per costringere con maggior forza la vittima alle dimissioni o a dissuaderla dalla applicazione di un suo diritto (…). Lo stalking lavorativo consiste in un reiterato attacco di violenza psicologica con utilizzo di lettere di ammonimento, disciplinari, inviate anche nelle ore in cui il lavoratore non è in servizio attraverso posta elettronica, PEC, WhatsApp, di domenica, festivi, ore serali o notturne, tali da infastidire, creare timore, ansia, molestia alla tranquillità familiare della vittima, alla sua sfera di vita privata”. Quindi non c’entrano affatto le molestie sessuali, tanto meno “il più delle volte”, come sostiene l’autrice dell’articolo. È una forma di inasprimento del mobbing che non comporta alcuna implicazione erotica, morbosa, sessuale. Però insinuare la falsità delle molestie sessuali è di supporto ad una ulteriore insinuazione priva di fondamento, cioè che solo le donne siano perseguitate e solo gli uomini possano essere persecutori.
Sul mobbing, poche idee ma confuse.
Ancora la Garritano: “ma quali sono le cause scatenanti di questo fenomeno? Spesso la donna che fa carriera non è tollerata dai suoi colleghi ma ancor più spesso accade che la donna possa rifiutare le avances del suo superiore”. Spesso accade che… una formuletta per scollare l’affermazione da qualsiasi riferimento numerico, sia in valori assoluti che percentuali. Quanto spesso la donna che fa carriera non è tollerata proprio dalle sue colleghe? Questo l’autrice non lo considera affatto, come se fosse una casistica inesistente. Quanto spesso la donna cerca di circuire superiori e dirigenti o comunque uomini di potere, per ottenere dei vantaggi personali? Anche questo l’autrice sembra non considerarlo affatto, come se fosse una casistica inesistente. La donna può essere solo vittima, qualsiasi casistica contraria non deve essere presa in considerazione. Nello spettacolo registi, produttori, impresari, cantanti e attori sono assediati da ragazzine a caccia di scalpi, da attricette in cerca di una scrittura, da ragazzotte in cerca di visibilità anche se prive di particolari doti artistiche. Poi nasce il #metoo e tutto si capovolge: chi 15 anni fa ha fatto carte false per infilarsi nel letto di un VIP, oggi ricorda di avere tanto sofferto e si dichiara vittima. Teoria pesantemente contestata da un documento di donne dello spettacolo, guidate da Catherine Deneuve.
Citiamo ancora da questa candidata al Pulitzer: “(…) molte volte la donna (…) sacrifica la propria occupazione lavorativa nella speranza di porre fine al grande incubo, che non la lascia riposare nemmeno la notte”. Il licenziamento o il trasferimento ad altra sede sono proprio gli obiettivi del mobbing lavorativo. L’atteggiamento ostile delle colleghe e il demansionamento ad opera della dirigente tendono ad isolare la lavoratrice sino ad escluderla, è la dinamica stessa del mobbing che tende a tale fine. Per chiarirci: osservato inizialmente in etologia da Conrad Lorenz, il mobbing descrive il comportamento nel mondo animale finalizzato all’esclusione di un individuo dal branco, dalla tana, dal nido. Non per farlo sentire a disagio, per escluderlo. Anche etologi successivi a Lorenz hanno osservato come il comportamento fosse strettamente legato alla procreazione, sviluppandosi infatti in presenza di cuccioli o uova fecondate. Per cui alla coppia di cuculi non serve che la loro vittima consideri scomodo il nido, serve che lo lasci, solo così potranno occuparlo nel periodo della cova.
Una brillante carriera si schiude di fronte a Garritano Marianna.
Insiste la Garritano: “(…)l’atto persecutorio però non si arresta. Se da un lato i colleghi che volevano le dimissioni della vittima vincono la loro battaglia, dall’altro c’è ancora qualcuno inferocito dal rifiuto di quelle richieste di carattere sessuale, che gli garantivano il possesso sulla donna in carriera”. Ecco lo spettro del maniaco sessuale! Tra i mobbers (mai le mobbers, notare, chi attiva il mobbing può essere sempre e solo un uomo) si annida il mostro inferocito, anche se non ha le idee troppo chiare: è inferocito per il rifiuto poiché non ha mai potuto avere la donna che brama, tuttavia le richieste – anche se sistematicamente insoddisfatte – gli garantivano il possesso sulla donna in carriera. Come, di grazia? Un mostro che non riesce a conquistare l’agognata preda… ma se era convinto di avere il possesso di una persona che non se l’è mai filato, forse potrebbe conquistare un TSO. “Esiste allora una via d’uscita positiva per la vittima: bisogna affidarsi alla giustizia, in quanto lo stato italiano ha attuato leggi che condannano lo stalking. Tuttavia la maggior parte delle vittime di stalking sul lavoro presenta profondi traumi psicologici, guaribili efficacemente con la psicoterapia”. Happy end ma non troppo: la giustizia ti tutela, ma la maggior parte (statistiche? Solita dimenticanza, da dove salta fuori il 51%?) possono guarire con la psicoterapia.
Una tale lettura unidirezionale del mobbing e dello stalking non fa rabbia, fa sorridere. Esplorando il sito che ha pubblicato questo capolavoro, salta fuori che la nostra autrice frequenta un corso di redazione giornalistica, col focus personale sul femminicidio. Ah, allora… Ecco spiegato il taglio woman oriented di tutto l’articolo, ove la donna è vittima di default e l’uomo non può essere altro che carnefice per tara genetica, mentre la casistica inversa non esiste. Comunque, visti i tempi, una brillante carriera si schiude di fronte a Garritano Marianna: un sacco di testate sono piene di giornalisti che citano dati senza preoccuparsi di dimostrarli e sanno guardare le criticità del mondo solo indossando occhiali rosa. Auguri