di Roberta Aledda. Simone (nome inventato) scrive a Territorio Maschile su un tema fondamentale e molto bistrattato: la paternità. Ha circa 30 anni, una buona posizione economica, una compagna convivente che lo ama: ci sarebbero tutti i presupposti per allargare la famiglia con un bimbo. Ma Simone ha paura, come molti uomini sa che un figlio da dono del cielo può facilmente trasformarsi in una condanna a vita in caso di separazione. L’ha vissuto sulla sua pelle: da figlio di genitori separati ha visto suo padre rovinato economicamente e psicologicamente dalla ex moglie ma, anche se non avesse avuto esperienza diretta di una simile tragedia, gli sarebbe bastato fare due chiacchiere con colleghi e amici oppure spendere qualche minuto sul web. Senza andare lontano, qualche settimana fa l’amico Fabio Mellino, ha raccontato la sua odissea di padre privato dell’amore dei suoi figli, ma si trovano tante storie simili su quei siti e quelle pagine che hanno il coraggio di andare oltre la cortina di fumo creata dalla narrazione (femminista) attuale.
Sono testimonianze di padri spezzati, di uomini distrutti, di maschi sull’orlo del precipizio, che solo una linea sottilissima separa dal baratro. C’è chi non ce l’ha fatta a sopportare l’idea di perdere tutto e ha deciso di mettere fine alla propria vita: l’alternativa ad un dolore così potente non può che essere la morte. Non siamo fatti per sopravvivere ai nostri figli, figuriamoci poi se i figli sono lì, spesso così vicini da poterli toccare, ma ciò viene impedito da una giustizia becera che impone al padre il ruolo di bancomat senza plafond e senza diritto di parola. Viviamo in una società che rimprovera al maschio l’incapacità di assumersi responsabilità di alcun genere in ambito affettivo e relazionale e che trova, come unica soluzione, quella di fargli espiare questa presunta colpa solo ed esclusivamente attraverso il denaro ed i beni materiali. Il vecchio detto “l’amore non si compra” vale solo nelle favole perché nella realtà l’amore si compra eccome, è la giustizia stessa ad insegnarcelo ed imporcelo, e insieme all’amore un uomo può/deve comprare anche il diritto di vedere i propri figli, il diritto a rifarsi una famiglia, il diritto ad avere un tetto sulla testa e un pasto caldo a fine giornata. Tutto abbastanza semplice per chi, in caso di tempesta, può attingere a buone risorse economiche e veleggiare verso lidi più soleggiati. La musica cambia però se l’orchestrale è consapevole e informato, o semplicemente, se è un uomo che ama i propri figli e vuole esercitare il ruolo per il quale è biologicamente portato, il padre.
L’affido condiviso: un’atroce presa in giro.
Decenni di false denunce ai danni di papà separati hanno dato vita a giovani figli che hanno paura di replicare lo stesso percorso dei padri. Simone ha paura di avere figli perché teme di perdere tutto quello per cui sta lottando: casa, tranquillità, benessere economico, diritti di uomo e di padre. Ha paura di diventare come tutti quegli uomini che devono lasciare la propria casa e limitarsi a mantenere ex moglie e figli senza alcun diritto sulle scelte educative, scolastiche, sanitarie, sportive, di vita della prole. La favola si trasformerebbe in un incubo e il timore è così grande da farlo rinunciare in partenza. Simone decide che il gioco non vale la candela, quando si rischia la possibilità stessa di restare in vita. Si potrebbe obiettare che il nostro lettore è eccessivamente pessimista e forse tenta di giustificare il fatto di non volere dei figli con la paura di vedersi rovinato. Insomma è un uomo affetto da infantilità acuta e sindrome di Peter Pan: meglio godersi la vita senza troppi impegni e legami. Oppure è traumatizzato dalla sua esperienza familiare e teme di avere un destino funesto segnato. Eppure i dati ISTAT parlano chiaro: quando una coppia con figli si separa è sempre l’uomo ad avere la peggio. Prendiamo in considerazione alcune variabili che entrano in gioco durante una separazione coniugale: affidamento della prole, assegnazione della casa coniugale, titolarità dell’assegno di mantenimento.
Nel 2005, in caso di separazione, il giudice assegnava la casa coniugale alla moglie nel 57,4% dei casi, percentuale che sale al 60% dieci anni dopo, nel 2015. Sempre nel 2005 nel 95,4% dei casi era il padre a farsi carico del mantenimento dei figli, percentuale praticamente invariata nel 2015 (94,1%). L’unico dato che si stravolge è l’affido esclusivo della prole alla madre che scende dall’80,7% dei casi del 2005 all’8,9% del 2015. Parrebbe una vittoria ma non ci si illuda: il giudice è tenuto a privilegiare l’affidamento condiviso rispetto all’esclusivo ma pareggia immediatamente i conti quando può decidere su tutti gli altri aspetti in maniera discrezionale. La legge trova quindi un’applicazione meramente formale che lascia l’amaro in bocca ai tanti padri separati. Il tutto suona come una presa in giro: “i figli sono affidati ad entrambi, ma tu padre vai via di casa per lasciarla a tua moglie e ai tuoi figli e paghi una media di 485 euro a minore per garantirti il loro amore”, con buona pace dell’interesse supremo del bambino.
Siate quello per cui siete nati. Siate padri.
Pare allora che i figli siano affari delle madri quando decidono se, quanti e quando averne, quali sport e scuole devono frequentare, quali strumenti devono suonare, eccetera, ma magicamente tornano ad avere un padre quando ci si rende conto che tutte queste attività hanno un costo e devono essere pagate. Come dare torto a Simone se si è già prefigurato un finale tragico del suo film? Finché continueremo ad indagare ogni aspetto della maternità e ignorare sistematicamente in toto la paternità, chiamandola in causa solo quando viene a mancare, sempre più uomini prenderanno la decisione di non fare figli. Invece la paternità è quanto di più sacro si possa sperimentare. Chi ha la fortuna di aver avuto una figura paterna sana ed equilibrata, com’è nella schiacciante maggioranza dei casi, sa che non esistono alternative altrettanto valide al ruolo del padre.
Il padre è amore, forza, equilibrio, protezione, fiducia e speranza. È l’elemento che spinge verso il futuro e l’essere adulti, è la carica vitale e l’energia del fare: insegna ad essere attraverso la propria esperienza di vita. Il padre sono le mani forti che tengono saldi e ancorati alla realtà, le stesse mani che sanno quando mollare la presa e lasciare andare i figli al mondo. Non esistono sostituti o surrogati del padre e non possiamo più ignorare che la nostra società ne ha estremo bisogno. Abbiamo necessità che l’uomo si riprenda quei ruoli che gli sono propri, il padre in primis, spogliandosi del senso di colpa di non essere abbastanza e della convinzione di dover pagare per privilegi inesistenti. A Simone e a tutti quegli uomini che hanno paura di finire con le spalle al muro dico che ci sono alternative alla rinuncia: siate quello per cui siete nati. Siate padri.
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