di Rosa Bortolotti. Siderale: è la distanza che separa una femminista da una pulchra puella. Un divorzio cominciato da quando il movimento ha abbandonato le donne (su dati ISTAT in Italia le donne in età feconda sono poco meno di 12.000.0000 mentre la popolazione femminile è di circa 32 milioni) puntando tutto sui diritti Lgbt+ (come riporta ilsole24ore, gli studi Ocse riferiscono che in media circa il 2,7% della popolazione si definisce omosessuale). La differenza di vedute è oramai incolmabile: la prima ritiene un suo diritto prendere parte a una SlutWalk per protestare contro il fatto di essere giudicata dal proprio abbigliamento, però è pronta ad accusare come islamofobo chiunque critichi il niqab.
Sulla questione la pulchra puella, invece, la pensa proprio come l’agente Michael Sanguinetti diventato famoso per aver suggerito alle donne (durante un convegno sulla criminalità, in qualità di esperto) di evitare di vestirsi come passeggiatrici per non cadere vittime di violenze. Semplice buon senso. Una femminista ritiene doveroso denunciare a “Odiare ti costa” il pasticciere che si rifiuta di cucinare una torta per un matrimonio gay, ma condanna il passaggio del Gaypride nei quartieri dove i residenti sono prevalentemente musulmani “perché offende quella religione”. Tifa per le “Femen” che imbrattano le chiese (cattoliche), ma stanno alla larga da altri templi e tace, omertosamente, sulla misoginia e l’omofobia che serpeggia in altre culture.
Non la liberazione, ma la distruzione delle donne.
La lista è lunga e non si vuole tediare il lettore, ma il messaggio delle femministe è deviato: si passa da più libere insieme col maschio a senza e contro di lui verso l postmodernismo, aprendo così un baratro. Non a caso, come riporta la giornalista anglosassone Helen Pluckrose, solo il 7% delle donne inglesi vuole identificarsi come femminista a meno che non ci si guadagni. Come ha fatto recentemente Pauline Harmange autrice del suo breve saggio sardonico Moi les hommes, je les déteste, (Io gli uomini li odio). Non è che l’ultimo volume (di una lunga lista) che va ad alimentare la guerra civile tra maschi e femmine, dove denigrare un uomo (che potrebbe essere mio figlio, mio fratello, mio padre) non solo è consentito ma “necessario”. Così come alimentare ostilità verso l’altro sesso è obbligatorio, rinnegare la propria natura femminile imperativo, promuovere il sesso ad cazzum imprescindibile, votarsi a un’esistenza individualista svuotata di principi e di impegno fondamentale.
Spiega Helen Pluckrose: “il Postmodernismo sostiene che la realtà oggettiva non esiste, che tutti gli individui possono non solo avere la propria verità morale ma anche le proprie verità epistemologiche e che nulla può essere oggettivamente vero (non importa quante siano le prove)”. Alla luce di queste considerazioni le signore femministe hanno deciso che i valori occidentali, eterosessuali (non più veritieri) e i reali problemi delle donne devono essere messi da parte così come la nostra civiltà che si fonda sulla polarità dei due sessi. Sostiene la francese Bérénice Levet in Liberons-nous du feninisme: “La polarità è un pungolo prezioso per una civiltà. L’interscambiabilità invece è un principio di indebolimento”. Il femminismo non smette mai di inventarsi nuove nozioni o di capovolgere il senso di quelle vecchie, al fine di creare nuovi reati. È una scuola di istupidimento perché rende le donne succubi di un’ideologia (non doveva liberale dall’oppressore?). Largo allora alla nascita dei movimenti femminili anti–femministi. “Care Maghemagò”, scrivono le nipotine delle suffragette, “facciamo a meno di voi perché non ci sentiamo né vittime, né discriminate, e quello che voi volete non è la liberazione della donna ma la sua distruzione, hasta luego”.
L’empowerment della donna, madre e moglie.
Odiare il matrimonio, distruggere la tua famiglia, rovinare i figli per accusare il maschio del proprio fallimento: dopo anni di sofferenze il giochino è stato smontato e ora c’è una generazione di donne che ha compreso che maschile e femminile sono necessari al progresso della società e il femminismo le ha scoraggiate dal diventare protagoniste (“Prendete la vosta vita e fatene un capolavoro”). indottrinandole verso un velenoso antagonismo. Oggi le femministe 4.0 sono per la vita (Pro life) e hanno messo la donna al centro di una rete di aiuti e di nuove visioni rigenerate (vedi abbyjohnson oppure feministsforlife) costruita intorno a bisogni veri, il primo dei quali, è quello di eliminare le cause profonde che le guidano verso l’aborto o a sacrificare figli e famiglia per diventare “Capo centralinista di una multinazionale”.
Niente corsi su come utilizzare sextoy o come scoprire di essere lesbica, ma soluzioni per lavorare senza rinunciare ai figli, alla famiglia, rivalutando la figura della donna casalinga e madre sulla quale per troppo tempo la società ha posto uno stigma. Occorre mostrare come la maternità dia valore alla propria esistenza di donna e non dover più arrivare al punto di sentirsi in colpa per aver scelto di mettere al mondo dei figli e di impegnarsi per costruire un matrimonio solido. Il vero femminismo sostiene l’empowerment della donna, madre e moglie, non il suo fallimento. Come dice da anni Camille Paglia, femminista atea e lesbica, duramente impegnata sul versante della contestazione al politicamente corretto e al pensiero dominante: “Il femminismo ha toppato da quando si è concentrato sulla retorica antimaschile anziché sul significato della vita”.