di Fabio Nestola. La sottosegretaria all’Economia, Cecilia Guerra: “Il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini a livello complessivo”. Capito il trucco? La discriminazione sessista risulterebbe in tutta la sua evidenza facendo la media dei redditi di tutte le donne lavoratrici, constatando poi (ma va?) che è inferiore alla media dei redditi di tutti gli uomini lavoratori. Grazie al cazzo, come direbbe il benzinaio sotto casa mia, fan di Checco Zalone. Il gender pay gap è un’altra delle colossali bufale montate dal vittimismo ideologico. Il confronto fra redditi avrebbe una sua validità solo se effettuato a parità di variabili: qualifica, anzianità di servizio, mansioni, ore lavorative, turni festivi e notturni, straordinari, indennità di rischio, indennità di trasferta, produttività, premi produzione, gratifiche per obiettivi raggiunti. Non esiste un solo contratto di lavoro, pubblico o privato, che stabilisca 2000 se sei uomo, 1500 se sei donna.
Le eventuali disparità in busta paga possono nascere esclusivamente da benefit previsti da contratto per qualunque lavoratore o lavoratrice: quindi se lui guadagna 1 euro in più della collega è perché ha lavorato di più, non perché è un uomo. Il ragionamento più efficace per comprendere la inconsistenza di tale teoria è nell’ottica capitalista: se fosse vero che a parità di qualifica e rendimento fosse possibile pagare meno le donne, qualunque azienda assumerebbe solo donne. Il Padrone avrebbe tutto l’interesse ad avere una forza lavoro che garantisca identica efficienza e identica produttività ad un costo inferiore. Con uno schiocco di dita ecco risolto il problema dei fondi alla Polizia di Stato: solo donne, stessa qualità del servizio offerto dagli uomini ma a costo inferiore inquantodonne.
Ma ci rendiamo conto che è una bufala?
Non solo in ufficio, ma anche nel servizio d’ordine per contenere i facinorosi negli stadi, cordoni di sicurezza alle iniziative di protesta, cariche alle manifestazioni non autorizzate, pattugliamenti in zone a rischio, turni di notte, scorte ad obiettivi sensibili, ovunque solo ragazze ben addestrate ed ecco che le casse pubbliche risparmierebbero una fortuna. In organico oltre 110.000 persone in Polizia, pagando ogni agente 100 euro in meno inquantodonna rimarrebbero nelle casse statali almeno 150 milioni di euro ogni anno. Questo solo in Polizia. Stessa epurazione maschile nei Vigili del Fuoco, Forestale, Guardia di Finanza, Carabinieri, guardie carcerarie, esercito, marina ed aviazione, ed ecco che i milioni risparmiati diventano miliardi. Stima approssimata per difetto ipotizzando solo 100 euro al mese di “trattenuta sessista”, che ovviamente salirebbe con l’aumentare dei gradi e degli stipendi. UnA colonnellA ad esempio permetterebbe di risparmiare molto più di 100 euro al mese rispetto al parigrado maschio messo in naftalina.
Mica solo gente in divisa, organico esclusivamente femminile ovunque: donne sottopagate inquantodonne anche alle poste, ferrovie, sanità (quanto si risparmierebbe cacciando tutti i chirurghi ed assumendo solo chirurghesse?) ministeri, enti locali e tutto il resto. Questo per restare nel settore pubblico. Stessa strategia vincente nel privato ed ecco che risaniamo il debito pubblico in un attimo. Siamo un Paese ricco, ci siamo indebitati solo perché regaliamo soldi agli uomini quando le donne potrebbero svolgere gli identici compiti costando la metà, o il 59,5% , come dice Cecilia Guerra. L’agente in missione probabilmente avrà qualcosa in più in busta paga rispetto alla collega parigrado che resta in ufficio a verbalizzare denunce, perché rischia di prendersi un mattone in testa allo stadio, di beccarsi una pallottola facendo irruzione nel covo camorrista o di saltare in aria col magistrato che sta scortando. Ma ci rendiamo conto che è una bufala? Nessuno guadagna di più inquantouomo. Forse – qualcuno lo dica alla Guerra – la ragione della differenze rilevata tra tutti i guadagni femminili e tutti i guadagni maschili è da ricercare in motivazioni diverse dall’accanimento maschilista contro le donne.
Alcuni annunci già arrivano in redazione…
Ci sono alcuni lavori oggettivamente ben retribuiti, che però non tutti sono disposti a fare a causa dei rischi, delle fatiche e dei disagi che comportano. Guidando un tir in giro per l’Europa si può guadagnare molto, ma in Italia quante caminoniste abbiamo? Quante marò impiegate sulle navi cargo per difenderle dagli attacchi dei pirati? Quante operaie addette allo spurgo delle petroliere? Quante taglialegna? Quante gruiste ai container? Quante autiste di bulldozer nei cantieri? L’oppressore maschilista subisce incidenti, mutilazioni e morte in quei lavori che custodisce gelosamente pur di non cederli all’oppressa. La società patriarcale tiene per sé il peggio e lascia che sia la toxic masculinity a portare lo stipendio a casa, al massimo relega le donne in posti meno faticosi, degradanti e rischiosi. Però esistono degli uomini volenterosi che, pentiti del fatto di guadagnare troppo rispetto alle donne, sono disposti ad abbandonare il proprio ruolo di oppressori per lasciare il posto alle oppresse. Un veloce scambio di ruoli dovrebbe, finalmente, riequilibrare questo maledetto privilegio del maschio che viene coperto di soldi suo malgrado. Alcuni annunci già arrivano in redazione e noi doverosamente li pubblichiamo, per dare il nostro contributo all’eliminazione dell’odioso divario salariale di genere:
- scambio il mio posto all’ANAS da bitumatore (1700 euro/mese), con educatrice in asili nido (1100 euro/mese)
- cedesi impiego sulle piattaforme petrolifere (4000 euro/mese) in cambio di posto da infermiera (1300 euro/mese)
- baratto il mio posto di muratore alpinista (1600 euro/mese) con posto di lavoro da ragazza-immagine al centro congressi (1000 euro/mese)
- lascio impiego di spurgo pozzi fognari (1500 euro/mese) a chi mi cede il proprio posto da babysitter (800 euro/mese)
- cedesi lavoro di facchino traslocatore (1500 euro/mese) a lavoratrice telefonista di call-canter (600 euro/mese)
- scambio il posto da mozzo sui pescherecci d’altura (2000 euro/mese) con posto da sciampista in salone di bellezza (900 euro/mese)
- lascio impiego in miniera di carbone (2200 euro/mese) per impiego da cassiera in un bar (900 euro/mese)
- baratto impiego da operaio alla Tyssen Krupp (1400 euro/mese) con segretaria in copisteria (800 euro/mese)
- cedo lavoro da falegname carpentiere (2000 euro/mese) in cambio di contratto da maestra elementare (1300 euro/mese)
- lascio licenza da autodemolitore (4000 euro/mese) a chi mi cede il posto di commessa in un negozio di giocattoli (900 euro/mese)
Il genere davvero discriminato è quello maschile.
Scherzi a parte, non possono pensare di prendere in giro la gente aggregando i dati come fa più comodo alla narrazione vittimistica. Sarebbe come lamentare il gap maschile nella scuola, perché le donne che dalle materne alle università guadagnano a livello complessivo molto più degli uomini. Devo ancora citare il benzinaio? Educatrici, maestre e professoresse sono oltre il 90% del corpo docente, è ovvio gli uomini percepiscano a livello complessivo una frazione del reddito tra i dipendenti MIUR. Può non piacere alla Guerra e a tanta altra gente, ma una cosa va detta: la discriminazione c’è, ed è anti-maschile.
Nei tribunali per l’asimmetria valutativa in base a chi faccia cosa, pene diverse, detenzioni diverse; nella stampa per gli spazi clamorosamente sbilanciati dedicati a vittime maschili e femminili, per i titoli faziosi, per l’occultamento o la giustificazione della violenza femminile; nella politica per l’orientamento unidirezionale a favore delle iniziative “rosa” e le plurifinanziate misure antiviolenza esclusivamente “rosa”; nel mondo del lavoro per i criteri di ammissione diversi in base al sesso, nell’informazione perché l’ISTAT indaga esclusivamente le vittime femminili… l’elenco è lungo e riguarda sempre discriminazioni di genere, dove il genere davvero discriminato è quello maschile.