La Fionda

Scuola e minigonne: quando servirebbe definire fieramente la maschilità

di Giacinto Lombardi. Qualcuno ricorderà la vicenda delle gonne al Liceo Socrate di Roma. A distanza di tempo, colpisce ancora la mancanza di una reazione da parte degli insegnanti maschi di quella scuola alla famosa frase “ai prof. cade l’occhio” e a tutto quello che ne è derivato, che li ha rappresentati come eterni rattusi dediti a sbirciare sotto le gonne pensando di trovare chissà che cosa. In realtà l’abbigliamento disinvolto di certe ragazze non è per il docente una tentazione, bensì motivo di imbarazzo perché viola la decenza, è un abbigliamento non consono alla scuola, eccita il narcisismo femminile, genera rivalità tra ragazze e sfide tra ragazzi. È poi motivo di imbarazzo perché ormai è proibito dire qualunque cosa riguardo al mondo femminile, anche se ci si trova nella posizione di doverlo fare come educatori e spesso anche come padri. Non solo: è causa di imbarazzo perché è un messaggio contraddittorio dove si cela la falsa innocenza con cui una ragazza espone la sua intimità come fosse una bambina, ma bambina non è, sia nel corpo che nella mente, negli ormoni e nei desideri. È causa di imbarazzo infine perché da una parte il corpo attira lo sguardo, dall’altra lo sguardo è colpevolizzato, criminalizzato, deriso.

Si diviene così vittime di un doppio messaggio: col corpo si attira lo sguardo e con la voce lo si nega e si colpevolizza ciò che si è provocato. Da queste contraddizioni si esce prendendo posizione, facendo gli adulti e non invocando dialogo e disponibilità. È compito della scuola darsi delle regole, definire i suoi valori, indicare un percorso educativo e non invocare il dialogo quando invece è il momento di assumersi la responsabilità di dire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Gli insegnanti maschi sono stati insultati, la loro autorità calpestata: se non reagiscono spiegando perché la minigonna, il cavallo basso, il top ascellare, il filo interdentale tra i glutei non sono consoni all’ambiente scolastico, hanno fallito il loro compito educativo e minato la loro autorevolezza. Al doppio messaggio si risponde autodefinendosi. Chi non si definisce, non chiarisce le sue intenzioni, non spiega i suoi comportamenti, sarà definito dagli altri e gli sarà cucito addosso un vestito troppo stretto o troppo largo. Tanto che alla fine si guarderà allo specchio e non saprà riconoscersi.

minigonne liceo socrate

Criminalizzazione e rimozione del desiderio.

Si vive così il dramma della vita inautentica, il male oscuro di insegnati, educatori, giudici, carabinieri e tanti altri, condannati a rappresentare un ruolo negando sé stessi e le proprie convinzioni. Va in questa direzione un documento in cui sui dice: “La scuola deve essere una forza motrice nello scardinare la cultura maschilista e sessista, profondamente radicata nel nostro paese, che rende troppo spesso le donne oggetti e colpevoli”. Ma cosa c’entra il maschilismo con il compito di definire comportamenti appropriati all’ambiente scolastico? Cosa c’entra il maschilismo se ad opporsi alle minigonne sono state le stesse professoresse preoccupate delle conseguenze negative di abbigliamenti non idonei alla scuola? Non si dimentichino le sagge parole di Sartre “dallo sguardo degli altri siamo irrimediabilmente oggettivati” (L’essere e il nulla). È perciò vero che per le ragazze rifiutare di rimuovere e ributtare nell’inconscio o “ombra” – direbbe Jung – il piacere di mostrarsi, attirare l’attenzione e misurare il proprio potere, è un atto salutare per se stesse perché impedisce la rimozione e scongiura il rientro del rimosso in altre forme più pericolose. Al contrario la colpevolizzazione dello sguardo costringe alla rimozione, al conflitto e alla rabbia della parte maschile.

Da sempre, inoltre, le donne attraverso il pudore e l’autocoscienza, o comunque attraverso l’espressione del sentimento, si salvano dall’oggettivazione di sé. Al contrario il maschio produttore di oggetti ha finito per diventare il vero oggetto insignificante. Oggetto di critica, di giudizio, di oltraggio, di rifiuto o magari di ammirazione non tanto per sé stesso, quanto per gli oggetti che può procurare alla donna, alla famiglia o all’economia. Male perciò hanno fatto i ragazzi a non reagire simmetricamente con qualche cartello ironico ma identitario e liberatorio: “Chi mostra gode…chi guarda pure”, o magari “L’occhio cade dove la bellezza attira”. Oppure qualcosa di più dotto: “Amore è un desìo che vien dal core (…) e li occhi in prima genera l’amore” (Giacomo da Lentini). Lasciare invece che si criminalizzasse lo sguardo ha comportato la rimozione del desiderio che, ricacciato nell’ombra, finisce per rivivere in forme più perverse e nascoste, come la pornografia o altro. Naturalmente anche lo sguardo può essere molesto, ma non è lo sguardo che “cade”, bensì quello che fissa, sfida, indispone, mette in imbarazzo.

Liceo Socrate

La scuola ha cancellato l’identità maschile.

L’educazione è un’arma pericolosa, tende sempre a staccarsi dalla naturalità delle cose e a ributtare nell’ombra la vera essenza dell’uomo “animale razionale” (Aristotele) e non “animale e razionale”, binomio sempre sul punto di diventare dualità inconciliabile di bisogno e dovere. Compito della ragione è aiutare l’uomo a comprendere sé stesso, a dare conto di sé a sé stesso e solo su questa base a conciliare interessi opposti. In questo senso, il femminismo della quarta ondata, a cui stiamo assistendo, sempre pronto, come anche in questo caso, a sostenere ogni eccesso femminile, è un’ideologia cattiva, bugiarda, mistificatrice, divisiva. Inficia la storia con una lettura unilaterale e vittimistica dei fatti, inquina la giustizia imponendo il doppio standard di giudizio tra maschi e femmine, deturpa le leggi violando il principio di parità e uguaglianza per ottenere ingiusti privilegi. È un femminismo che va contrastato, a partire dai libri di storia dove la storia delle donne è ridotta a quella delle molestie sul lavoro e poco più. La battaglia per la parità deve essere anche paritetica: alla rappresentanza femminile è doveroso affiancare anche la rappresentanza maschile di uomini che portino il punto di vista maschile. Anche in questo caso, come sempre, la scuola si è occupata soltanto di difendere la parte femminile, quella maschile è cancellata, non esiste.



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