di Giorgio Russo. Tutti ricorderanno la terribile vicenda dell’omicidio di Eleonora Manta e Daniele De Santis, avvenuto a Lecce il 21 settembre per mano di Antonio De Marco, reo confesso. Quest’ultimo per due mesi aveva condiviso con la coppia l’appartamento, da cui poi si era allontanato. Il giorno del delitto, pianificato dall’assassino fin nei minimi dettagli, De Marco è entrato in casa con un duplicato delle chiavi e lì ha compiuto il suo massacro. La sua intenzione, a quanto pare, era di torturare le due vittime prima di ucciderle, per poi ripulire tutto con la candeggina che si era preventivamente procurato. È l’unica parte del duplice omicidio che non è riuscito a realizzare: entrato nell’appartamento, è passato subito all’azione, con una modalità cruentissima, per poi fuggire. Dopo una settimana di indagini, gli inquirenti sono arrivati a lui, e da lì l’epilogo.
È interessante ripercorrere il modo con cui il caso è stato trattato dai media nazionali e dai vari opinionisti, specie sul web. Nell’escludere unanimemente il “delitto passionale”, tutti hanno definito De Marco come un ragazzo “introverso, chiuso, con poche amicizie”. In diversi hanno scavato nella sua vita e la primissima versione è stata che l’impulso omicida fosse scattato a seguito di un alcuni rifiuti ricevuti da parte di alcune ragazze. Su De Marco ha cominciato così ad aleggiare subito l’aura negativa dell’incel, il celibe involontario, quella razza reietta di uomini, giovani e giovanissimi, cui la mancanza di chance sentimentali detterebbe spesso, secondo la nomea che gli è stata costruita addosso, atti sanguinosi ed estremi. Involontariamente lo stesso De Marco ha poi alimentato questa idea quando in fase di interrogatorio ha dichiarato di aver commesso l’omicidio dei due giovani “perché erano troppo felici”. La sua, secondo le interpretazioni che si sono subito diffuse, sarebbe stata quindi una “vendetta” simbolica contro quel mondo femminile che rendeva felici altri e non lui.
Siamo davanti a un tipico “delitto passionale”.
Insomma, in un modo o nell’altro l’omicidio per mano di De Marco è diventato per tutti una manifestazione di maschilità tossica. Innumerevoli sono stati i siti, blog e le pagine (si vedano alcuni miserabili esempi nell’immagine sotto, ingrandibile con un click) che, per voce di opinionisti/e più o meno famosi/e, tutti/e ascrivibili al più arrembante femminismo nazionale, hanno dato della vicenda questa lettura, che poi si è cristallizzata nell’opinione pubblica, tramite i media, fino a diventare definitiva. Per essa, De Marco ha compiuto il suo massacro in quanto maschio frustrato, un incel invidioso del rapporto affettivo tra le sue due vittime.
Sorpresa, ma nemmeno troppo: è falso. Abbiamo ricevuto da fonte certa e affidabile l’informazione che Antonio De Marco è omosessuale: sarebbe stato invaghito di Daniele De Santis e avrebbe agito per gelosia. A riprova, dettagli che non sono trapelati sulla stampa mainstream, c’è il fatto che abbia infierito con il coltello sul viso del ragazzo (quasi a cancellarne la bellezza che tanto lo attirava) ma soprattutto sul ventre e le parti intime di Eleonora Manta, che ha colpito fino a eviscerarla, come sfregio massimo verso la sessualità che gli aveva strappato l’uomo di cui era invaghito.
Sorpresa nella sorpresa (ma nemmeno troppo): tutti sanno che è così, dagli inquirenti ai giornalisti mainstream. Ma nessuno, tranne qualche piccola redazione (e con moltissima prudenza), l’ha detto o scritto. Perché? Chi ci ha informati non ha dubbi: non è gradito, oggi, ascrivere un omicidio così efferato e feroce a una persona omosessuale. Autodisciplina giornalistica, si dice. Ossia siamo alla censura “murgista”, quel misto di cancel culture, femminismo, cultura queer e politicamente corretto che ci ammorba la vita, interiorizzata fino a diventare regola deontologica. E così tocca al sito d’informazione alternativa, ossia a noi de “La fionda”, dire apertamente le cose come stanno. La mascolinità tossica non c’entra nulla, con buona pace delle trombone femministe subito pronte a puntare il dito contro gli incel, condizione nella quasi totalità dei casi in cui si trovano persone eterosessuali. Anzi siamo di fronte al contraltare della maschilità, essendo l’omicida un omosessuale. Non solo: siamo davanti a un tipico “delitto passionale”, e come tale deve essere chiamato, recuperando l’espressione dall’oblio in cui è stato confinato proprio dalle femministe. Ebbene sì, piaccia o no, l’amore, omosessuale o eterosessuale che sia, può prendere deviazioni verso strade oscure e tragiche. Capita di rado, per fortuna, ma capita, e le cose vanno chiamate col loro nome.
Un condizionamento delle coscienze che ha un’origine politica e propagandistica.
Ma c’è qualche altra riflessione da fare in più. La prima è: quante altre verità ci vengono nascoste dal sistema mediatico? È una domanda già sorta quando abbiamo svelato il “protocollo Murgia”: molti si sono chiesti quante direttive simili siano in vigore nelle redazioni anche su altri temi (pandemia e immigrazione in primis). Non c’è una risposta alla domanda, ma solo un’ipotesi: molte. E nel caso di Lecce, oltre che nascoste, le verità sono state manipolate per far ricadere la responsabilità virtuale di un delitto su una categoria (gli uomini eterosessuali e gli incel in particolare) in realtà del tutto incolpevole. Ma soprattutto: quanto ha pesato il clima oppressivo e mistificatorio in cui sta avvenendo la discussione sul DDL Zan sulla decisione tacita e condivisa dei media di nascondere l’omosessualità di De Marco e la natura passionale del suo omicidio? Già pullulano le notizie di false aggressioni omofobe, anch’esse a nostro avviso tutt’altro che casuali, non sorprenderebbe dunque scoprire che anche questa ennesima omissione, questo condizionamento calcolato delle coscienze collettive, abbia avuto un’origine politica e propagandistica.
Esageriamo? Noi siamo certi di no. Basti pensare che un articolo come questo, rivelatore della verità dei fatti su una questione di omosessualità, a DDL Zan vigente verrebbe definito omofobo, condannando il suo autore e il gestore del sito al carcere.