di Giorgio Russo. Giusto ieri, grazie al contatto con un giornalista del Gruppo GEDI, abbiamo rivelato (qui) l’esistenza di una direttiva contenente le istruzioni inviate a tutti i cronisti delle moltissime testate del gruppo stesso su come avrebbero dovuto scrivere di femminicidio. Una tabella bipartita, con le cose che non si possono dire da un lato e quelle ammesse dall’altro, con tanto di esempi per i giornalisti più tonti, più reticenti o alle prime armi. Di fatto è la prova dell’esistenza di quella censura e manipolazione dell’informazione che denunciamo da tempo. Un’iniziativa deliberata per orientare l’opinione dei lettori, per condizionarne le coscienze in una direzione ben precisa: la criminalizzazione sistematica del maschile e la vittimizzazione del femminile. Con un aspetto aggiuntivo, sebbene non esplicitato: le indicazioni fornite valgono, ma al contrario, quando si deve scrivere di una donna colpevole di qualche delitto a danno di un uomo. Questa specie di “decalogo”, insomma, è la formalizzazione del doppio standard, una violenza mai vista alla libertà di opinione e al diritto di informazione. Era e rimane la pistola fumante trovata nelle mani di un femminismo suprematista che, con la connivenza di grandi gruppi editoriali, manipola con facilità disarmante il sentire collettivo.
Vero è che indicazioni del genere alla stampa esistono anche in altri paesi, ma ciò non diminuisce la gravità del fatto. Anzi, se si vuole la aggrava, perché dimostra che il trend manipolatorio è globale. Non solo: mentre all’estero si tratta di documenti ufficiali rilasciati da organizzazioni giornalistiche, e come tali scritti in modo che la violenza censoria e manipolatrice possa essere nascosta sotto belle parole e formule eleganti, il documento che circola tra le testate del Gruppo GEDI è greve, spiccio come una disposizione dittatoriale, perentorio come una velina del Ministero della Cultura Popolare fascista, volgarmente arrogante come solo una maestra deviata potrebbe concepire per una classe di allievi asini. Tale è l’indignazione e lo stupore che in tanti ci hanno chiesto: “chi ha scritto quell’orrore?”. Non osavamo chiederlo al nostro contatto nel Gruppo GEDI, che già si è esposto a sufficienza inoltrandoci il documento. Per questo pensavamo che fosse impossibile arrivare alla “testa del serpente”, cioè a chi ha commissionato e a chi ha materialmente scritto quelle raccapriccianti istruzioni. Ebbene ci sbagliavamo.
La tabella che abbiamo messo a disposizione per il download era una conversione in PDF dell’originale, che ci è stato fatto pervenire in formato Word. Per mera curiosità siamo andati a vedere le proprietà del file (click destro, proprietà, dettagli) e quello che ci è apparso è stata una rivelazione. Ecco lo screenshot preso in quel momento esatto:
Abbiamo trovato la testa del serpente.
Ebbene sì, l’autrice delle disposizioni ai giornalisti del Gruppo GEDI su come si deve scrivere riguardo ai femminicidi è Michela Murgia. Per lo meno, questo è ciò che risulta dai dati del file. Sì, stiamo parlando di colei secondo cui nascere maschi è come nascere figli di mafiosi, che vorrebbe abolire il termine “Patria” per sostituirlo con “Matria”, quella che, come un Mullah (secondo la felice definizione di Massimiliano Parente), può lanciare una fatwa contro qualcuno e indurre torme di follower sbavanti livore a chiederne la testa. Si tratta dell’opinionista, la scrittrice, la pasionaria che in radio maltratta professori che non dicono ciò che a lei piace, quella che “speriamo che il covid duri ancora un po'” perché così viaggia più comoda. Proprio lei. Lei che ha insegnato al mondo come si riconosce un fascista ha stilato un elenco di disposizioni per forzare la mano ai giornalisti di un intero gruppo editoriale, per dire loro cosa e come devono scrivere e cosa e come non devono farlo. Come uno Starace o un Goebbels qualunque. Ma non in odio ai comunisti, ai disfattisti o agli ebrei, bensì in odio agli uomini e… in amore alle donne? No: per mero rafforzamento di un andazzo psico-sociale che probabilmente garantisce tanto lavoro, ottimi cachet, tante pubblicazioni e molto potere.
Perché a tutti gli effetti serve molto potere per permettersi di ergersi a maestra di scrittura di morte nell’infame scuola della falsificazione mediatica sui femminicidi. E ne serve ancora di più per arrivare a dettare legge nelle redazioni dei più diffusi media nazionali. L’essere umano Michela Murgia, così riflettendo, si trasforma ai nostri occhi e ci si staglia monumentale davanti, come una gigantesca e sovrastante corazzata da guerra. Pronta a tutto, capace di tutto, con un potere di fare e dire tutto ciò che vuole acquisito non si capisce come. Istintivamente, a scoperta fatta, condividiamo la nostra incredulità con il nostro contatto al Gruppo GEDI. “Sì, lo sappiamo che l’autrice è la Murgia”, ci risponde. Vogliamo capire allora se è una sua iniziativa (e non ci stupirebbe) oppure se esiste un mandante. Condividiamo i nostri dubbi con il contatto e a quel punto ci ritroviamo la testa del serpente tra le mani: “no no, non è una sua iniziativa… è Beppe Giulietti che gliel’ha richiesta”. Nella comunicazione originale vicino al nome di Giulietti c’erano anche due o tre epiteti che però non ci sentiamo di riportare. Di sicuro, se il rumor è vero, il giganteggiare della Murgia si ridimensionerebbe a una semplice comunella con un suo sodale.
Libertà e democrazia, due concetti ormai svuotati.
Per gli scarsamente informati, infatti: Beppe Giulietti è il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Tutto torna. La FNSI è quella che ha promosso il “Manifesto di Venezia”, altro documento femmi-fascio-sovietoide i cui contenuti denunciammo nel luglio scorso. Del Gruppo GEDI fa parte “La Repubblica”, quella della fake news sulle gonne e gli sguardi lubrichi dei prof a scuola. Ma ne fa parte anche “L’Espresso”, quello della vergognosa fake news sui padri che uccidono i figli. Tutto torna, sempre. Seguendo il rettile dalla coda alla testa si scopre insomma un mondo dedito alla criminalizzazione sistematica del maschio, all’odio aperto per l’uomo. Un odio alimentato da personaggi pubblici e dirigenti editoriali, gli uni mossi da vile desiderio di apparire mescolato a una feroce e incontrollata furia ideologica, gli altri non si sa bene da cosa. Supponiamo che davvero la richiesta sia partita da Giulietti, e che dunque il vocìo di redazione che ci è stato riportato sia vero. In quel caso, che sia un uomo a chiedere limitazioni alla libertà di parola dei propri giornalisti affinché falsifichino la realtà per demonizzare gli uomini, a meno che non lo faccia per aumentare le vendite, è un cortocircuito che resta incomprensibile. Nel caso, qui i cortocircuiti si sprecherebbero: Beppe Giulietti, come Michela Murgia, non a caso fa dell’antifascismo militante una cifra della propria immagine pubblica.
Svelato pressoché interamente l’arcano del diktat antimaschile ai giornalisti del Gruppo GEDI, resta ancora una cosa da capire, questa davvero oltre le nostre forze: perché di questa mostruosità non abbia parlato e non parli nessuno, né nell’opinione pubblica, né nei media, internamente o esternamente al Gruppo GEDI. È la prova, o per lo meno un significativo indizio, del fatto che nel nostro paese democrazia e libertà sono parole pressoché svuotate del loro significato dall’attività tossica di ducetti e ducette estemporanei a cui tutti abbiamo permesso di acquisire un gigantesco potere di condizionamento della collettività. È qualcosa insomma di cui sarebbe sensato parlare in modo ampio e approfondito. O no?