Di Rosa Bortolotti. Sarà un caso ma il sostantivo “cattiveria” è declinato al femminile. Quella pratica finalizzata a far del male agli altri sembrerebbe avere una tinta tutta rosa. Perciò qualcuno avvisi Angelina Jolie che di carogne in giro ce ne sono già abbastanza. La bella attrice americana avrebbe dichiarato “il mondo ha bisogno di più donne cattive che si rifiutino di seguire le regole e i codici in cui non credono”. Un invito, elargito in qualità di Ambasciatrice di Buona Volontà per conto di UNHCR, per spronarle ad essere se stesse. Il messaggio non è positivo e le parole fanno a pugni fra di loro; forse un misunderstanding causato, con buona probabilità, dalla sistematica manipolazione che avviene nelle redazioni dei tabloid femminili dove i concetti espressi dagli intervistati vengono frullati in un papocchio ad uso e consumo dell’ideologia? L’uso, l’abuso, l’esercizio della cattiveria come metodo per guadagnare diritti va sempre condannato, anche quando questo sembra essere raccomandato, senza contare che finire per assomigliare a materia fecale di forma cilindrica non aumenta la felicità.
Se si fa un sondaggio, dal più semplice realizzato sul pianerottolo di casa fino alle inchieste della polizia scientifica, tutti sanno, per esperienza diretta, che le femmine in quanto a cattiveria battono i maschietti 10 a 0. Le meschinerie delle bambine fatte di battute, prese in giro, sguardi a piramide, feriscono dieci volte più di quelle maschili. Proprio per via della malizia, dell’astuzia, della capacità di ferire delle bambine, le quali, anche a pochi anni di età, sanno come colpire chi sta loro di fronte. Perfide fin a da piccole, esprimono la loro tendenza più in modo psicologico che fisico, invisibilmente, per questo la loro malvagità non viene placata da chi educa, (mamme, maestre, insegnati, allenatori, educatori). Un bambino che picchia viene subito punito, così come un uomo che picchia la moglie. Il comportamento di una bambina cattiva o di una moglie che distrugge psicologicamente il marito, invece, non viene stigmatizzato e nemmeno punito adeguatamente.
Quante bulle in circolazione.
Molti tendono a pensare che il bullismo sia un fenomeno della fase adolescenziale maschile. Non é affatto così. Le bambine danno calci, pugni, sberle, spintoni come i loro colleghi e si ingegnano (più dei maschi) nel distruggere l’immagine esteriore e interiore di una persona con prese in giro sul modo di vestire, sulla famiglia, attraverso canzoncine in rima, calunnie, notizie non vere che portano all’esclusione, all’isolamento, vere e proprie azioni di stalkeraggio che possono portare la vittima al suicidio. Piccole criminali, su cui non si deve tacere. Se ne deve anzi parlare in casa, con i docenti e gli insegnanti di scuola, facendosi nel frattempo furbe e stando vicino a un adulto o a un compagno protettivo.
Si tratta di un’invidia, un odio e un ostracismo che si ritrova anche in ambito lavorativo fra colleghe, dove le strategie per colpire una vittima si sprecano. Una ricerca pubblicata sulla rivista “Development and Learning in Organizations” rileva che il 70% delle donne che ricopre importanti posizioni si sente come se fosse stata vittima di bullismo da altre donne sul posto di lavoro e che questi episodi hanno ostacolato la crescita professionale. Lo studio della consulente londinese Cecilia Harvey, fondatrice e presidente della piattaforma globale “Tech Women Today”, etichetta il bullismo come “Queen Bee Syndrome”, la sindrome delle api regine, che si verifica quando le donne trattano le loro altre colleghe in modo demoralizzante minando la loro credibilità o status, o manipolando gli altri a pensare male di loro.
Le brave ragazze sono meglio.
Quando la naturale inclinazione alla malizia, alla bizza, viene intercettata nella fanciullezza, la mamma ha il dovere di correggere questa tendenza guidando la piccola peste ad incanalare quell’energia verso il bene, per evitare che da grande si trasformi nella perfida collega o in certe iene che tutti, nella vita, abbiamo avuto la sfortuna di incontrare. Se essere “bad girl” è socialmente accettato anzi incentivato, ma così non deve essere per un genitore: una figlia perfida è sempre un fallimento che rovina una famiglia intera.
La donna che cede alla cattiveria, poi, commette un doppio delitto. Oltre a compiere una crudeltà, tradisce il proprio compito ontologico: dare ascolto, dare amore, dare la vita, sviluppare empatia e attenzione, accogliere ed educare. È una grande responsabilità quella della donna/madre chiamata a crescere creature mature e capaci in grado di fare fronte alle frustrazioni e non capricciose egoiste, insensibili, scontente e prepotenti. Ma è una responsabilità che va colta ed esercitata con passione, perché, è ovvio in famiglia come nella società, e a dispetto dei miti ideologici: essere ragazze brave è molto meglio che essere cattive e vigliacche.