di Alessio Deluca. Sdegno bipartisan per la sentenza con cui il Tribunale di Milano ha ridotto di otto mesi, da 5 anni a 4 anni e 4 mesi, la pena a un uomo romeno, reo di aver picchiato e violentato la compagna nel giugno del 2019. Scandalo diffuso per la riduzione di pena, ma indignazione soprattutto per le motivazioni addotte dai giudici, sicuramente elaborate e complesse, ma da cui i media hanno isolato un’unica frase: “…forse esasperato dalla condotta troppo disinvolta della convivente”. Messa così, sembra che i giudici in qualche misura ritengano meno gravi le percosse e la violenza sessuale se attuate come reazione a una condotta troppo insistentemente e palesemente libertina da parte di una donna. In realtà la Corte ha tenuto conto del contesto estremamente degradato in cui i due vivevano, del fatto che l’uomo fosse notoriamente mite oltre che incensurato, dell’occasionalità del fatto (non c’erano denunce pregresse a carico di lui) e di altre cose che però non sono trapelate sulla stampa. Perché l’interesse politico-mediatico è comunque quello di concentrarsi su un presunto approccio maschilista con cui i giudici hanno formulato quella singola ipotesi nelle motivazioni della sentenza.
“Una sentenza scioccante”, tuona Roberto Calderoli della Lega. “Una deriva pericolosa”, chiosa la vice capogruppo del PD alla Camera. “Non si può che rimanere sgomenti”, rincara Annagrazia Calabria di Forza Italia. “Nessuna giustificazione, mai!”, declama Donatella Conzatti di Italia Viva. Dalla politica è un coro unanime, che rimbomba anche nelle varie commissioni e sottocommissioni parlamentari asseritamente per le “pari opportunità”. Ben spinta dall’impegno dei media mainstream e da questo diffuso sdegno da parte di tutta la politica, la notizia dilaga anche nei vari profili, pagine, blog, forum e siti femministi, secondo cui la sentenza è l’esempio lampante della sussistenza di una radicata cultura patriarcale e sciovinista nel nostro paese. Motivo per rinnovare ed esacerbare ancora di più la battaglia “delle donne” contro chi le vuole colpevolizzare dopo che sono state vittime, più tutto il ben noto ciarpame ideologico che ignora del tutto i principi dello Stato di Diritto, la forza delle leggi, e soprattutto finge di ignorare che l’uomo non è stato assolto né mandato libero. Ha solo ricevuto un piccolo sconto di pena quale riconoscimento dell’eccezionalità del suo agire, tenuto conto del contesto generale, senza con ciò mettere in discussione la sacrosanta punizione che merita.
Per la sentenza a Sara Del Mastro nessuna indignazione, nessuno sdegno.
E mentre tutto questo sdegno teneva banco sui media, nella politica e nell’attivismo femminista, capita che vengano rese pubbliche le motivazioni della sentenza che ha condannato Sara Del Mastro alla ridicola pena di 7 anni per aver lesionato gravemente Giuseppe Morgante, con cui aveva avuto un breve flirt. La vicenda è molto nota perché raccontata quasi in diretta da “Le Iene”, interpellate dal giovane per segnalare un caso di persecuzione a conti fatti sottovalutato dalle autorità, nonostante le denunce. L’inviata del programma Mediaset va da Sara Del Mastro, le fa la paternale, le fa promettere di lasciar stare Giuseppe. Il giorno dopo lei si presenta con un bicchiere di acido, che getta in faccia a Giuseppe, devastandone i lineamenti per sempre. In tribunale incredibilmente non viene accusata di tentato omicidio ma di lesioni e non le vengono riconosciute né la premeditazione (sebbene il giorno dell’aggressione avesse in macchina un bicchiere bello pronto e ricolmo di acido), né i futili motivi (sebbene i due non fossero stati fidanzati, ma avessero avuto un flirt passeggero). E laddove gli aggressori di Lucia Annibali o Gessica Notaro si sono presi rispettivamente 20 e 15 anni di carcere, Sara Del Mastro, per un atto del tutto analogo ne ha presi meno della metà (ed è perfettamente inutile citare a buon peso l’iter processuale e detentivo di Elena Perotti, colei che con l’acido ha rovinato la vita a William Pezzulo).
Ebbene, i giudici del tribunale di Busto Arsizio hanno pubblicato le ragioni per una pena così ridicola a carico di Sara Del Mastro. Ha agito nella massima lucidità, scrivono le toghe, e con il suo gesto voleva intimidire Morgante affinché impedisse la messa in onda da parte de “Le Iene” della puntata che raccontava la loro vicenda. Questo timore le ha ispirato un “impulso violento”. Così lo descrivono le motivazioni, quasi un raptus. Sebbene i raptus non si organizzino con tanto di bicchiere pieno d’acido pronto in auto. Dunque quello che poteva ottenere semplicemente non firmando la liberatoria a “Le Iene”, la Del Mastro lo ottiene devastando la vita di un uomo. Ma su questo i giudici sono comprensivi: finire sbertucciati da “Le Iene” non è il massimo, orsù bisogna comprenderla… Ed ecco dunque la sentenza, già vergognosa di suo, diventare grottesca dopo l’uscita delle motivazioni. Unica reazione pubblica registrata, in merito, quella dell’avvocato di Giuseppe Morgante, che annuncia una richiesta danni allo Stato per non aver protetto il ragazzo, nonostante le denunce. Per il resto nessuno dall’intero arco parlamentare né tanto meno da quella palude putrescente che sono i media mainstream italiani ha rilasciato un commento su questa sentenza e sulle sue motivazioni. Nessuna indignazione, nessuno sdegno. Ma alla fine tutto torna: se è violento lui, non ci possono né ci devono essere scuse né attenuanti. Se la violenta è lei, non se ne deve parlare, se non in termini empatici, comprensivi e giustificativi. Un doppio standard ormai incarnato nell’opinione pubblica, grazie a un’informazione gestita da falsari di professione, il cui settarismo è stato messo nero su bianco, e grazie al quale banchettano lobby, clientele ed esponenti della politica.