di Francesco Toesca. Le Commissioni parlamentari sono organi istituzionali di indagine su determinati fenomeni, istituite con funzioni di “consulenza” ed approfondimento. Come si può leggere in questo interessante articolo, hanno un enorme potere non solo consultivo ma anche legislativo. A grandi linee compiono un lavoro di ricerca ed approfondimento utile alla attività politica che difficilmente sarebbe fattibile da parte di singoli legislatori e parlamentari. È un organo incaricato di approfondire un determinato tema e riportare le conclusioni all’aula, la quale poi “prende per buone” tali conclusioni e le inserisce nella attività normativa.
Un po’ come un giudice minorile, ad esempio, che si avvale di psicologi e psicoterapeuti per capire cose che esulano dalle sue competenze, e su tali pareri basa le proprie decisioni, o in caso di un disastro aereo, dove i giudici non sono “tecnici” della materia e si avvalgono di periti. Nel caso delle Commissioni parlamentari il divario tra competenza e genericità della preparazione è ancora più accentuato, poiché se un giudice minorile si occupa sempre e solo di minorenni, il Parlamento ha una tale vastità di materie da trattare che sarebbe impossibile richiedere conoscenze specifiche ai suoi componenti. Essi si affidano ciecamente ai pareri degli “esperti”. Possiamo affermare che la Commissione è quindi ritenuta competente ed attendibile su quel tema, disponendo di luoghi, soldi, poteri (ad esempio accesso a tutti i dati sulla materia) ed avvalendosi anche di esperti esterni. Ciò che conclude è dunque “oro colato” per l’attività politica conseguente al responso.
Si ricerca la verità e non la dimostrazione delle nostre convinzioni.
Vediamo quindi che è un organo di enorme responsabilità, che deve procedere secondo metodi scientifici, apartitici, ma soprattutto senza ascoltare le varie sirene delle ideologie e delle convinzioni a priori che vogliono a tutti i costi dimostrare la propria validità indipendentemente dai dati reali. Essendo infatti formata in base a composizioni politiche “specchio” del Parlamento, è importante che ciò resti solo un indice di rappresentanza e non sia motivo di orientamento partigiano, secondo convinzioni preconfezionate prima della ricerca della verità. Cosa dice il rigore scientifico in questi casi? Che si prenda un fatto (ad esempio una strage) e si indaghi sui mandanti, i responsabili, gli esecutori, partendo da un evento e indagandone le cause, liberi da conclusioni che non hanno ancora ottenuto riscontro. E questo è il punto fondamentale.
Sebbene le cause di un certo evento possano essere ipotesi già circolanti, esse vanno prese per quello che sono e non scambiare il punto di partenza come conclusione. In sostanza, non si costituisce una Commissione “sulla strage terroristica nera di Piazza Fontana ad opera di tal dei tali”; ma sulla “Strage di piazza Fontana”. Chi è stato sono le conclusioni a cui deve arrivare, non l’assunto di partenza. Chiunque abbia dimestichezza con ricerche e materie scientifiche sa benissimo che esse non si compiono partendo con un preconcetto e cercando in tutti i modi di dimostrarlo; si parte da un problema da capire e si ricerca di risolverlo accettandone le conclusioni, quali che esse siano, poiché si ricerca la verità e non la dimostrazione delle nostre convinzioni “prima” di saperne di più. Basarsi su di esse sarebbe un errore grossolano che coprirebbe di ridicolo il metodo scientifico.
La commissione antiscientifica.
Edison non lavorava alla lampadina al tungsteno. Dopo più di 100 tentativi con materiali vari, ha scoperto che il tungsteno era quello giusto. Immaginiamoci dunque quanto potrebbe essere attendibile ed equilibrata una commissione sul “MIG Libico che ha abbattuto l’aereo di Ustica”. Vi sembra un modo scientifico per appurare le cause di una tragedia? Seppure una delle ipotesi più accreditate sia appunto quella, una Commissione non può procedere dando per scontato un assunto ascientifico, propagandistico e non confermato e basare tutto il suo lavoro su di esso. Indagando sulle cause del disastro, deve prendere in considerazione qualsiasi ipotesi, gradatamente secondo i dati che possono confermarla o smentirla, e basarsi su un approccio induttivo/deduttivo che può trovare conferme o smentite. Ma non può assolutamente studiare le conclusioni prima che esse siano verificate.
Ecco, questo è esattamente quanto succede con la “Commissione sul Femminicidio”. Dato che il femminicidio è considerato un movente, ossia il motivo per il quale è accaduto un certo evento (che come illustro qui ritengo arbitrariamente stabilito dall’opinione pubblica, dai media e dal “sentire” emotivo ma non da riscontri oggettivi che certifichino l’intento di uccidere in base al genere della vittima), è totalmente antiscientifico ed arbitrario costituire una commissione (a partire dal nome e poi di fatto nell’impostazione di tutta la sua attività) su una conclusione anziché su un accadimento tutto da verificare.
Non dovrebbe chiamarsi “Commissione sul femminicidio”.
Dunque, se da una parte il femminicidio è innegabilmente un argomento alla ribalta, una Commissione degna di tale nome dovrebbe indagare sul se il femminicidio esista in quanto tale o se non sia un’invenzione arbitraria. Insomma non dovrebbe chiamarsi “Commissione sul femminicidio” (tipo “commissione sul MIG libico”). Saremmo tutti ben felici se una volta per tutte si indagasse sui motivi veri dell’uccisione di una categoria di esseri umani (a nostro giudizio da riportare semplicemente nel novero dei crimini umani perpetrati spesso verso chiunque). Siamo invece profondamente contrari ad una Commissione che, per propria ragione di essere, si trovi nelle condizioni di dover per forza dimostrare che un determinato fenomeno ha le cause che a priori qualcuno vuole attribuirle. Che senso avrebbe difatti una Commissione sul MIG libico se scoprisse che la tragedia di Ustica non è stata causata da esso?