di Santiago Gascó Altaba. Se dovessi stabilire un podio delle figure illustri del movimento ideologico femminista, sul primo gradino siederei Simone de Beauvoir, da molte definita madre del femminismo, autrice della “Bibbia” del femminismo, “Il secondo sesso”. Subito sul secondo gradino siederei Betty Friedan. In questo e nella prossimo intervento voglio parlare proprio di lei. Nel 1963 pubblicò “Mistica della femminilità”, un libro che divenne un best-seller e aprì le porte al femminismo della terza ondata in America. “Colei che chiamano la madre superiore del movimento di liberazione femminile” (come la definì Oriana Fallaci) fondò l’Organizzazione nazionale delle donne la cui sigla NOW significa “Subito”, “Ora”. Scrisse anche l’inno: “Liberazione ora, liberazione ora / Rompiamo la gabbia della nostra rabbia….”. Come potete constatare dall’inno, il pensiero di Betty Friedan rispecchia il dogma fondamentale del femminismo, quello che sostiene l’oppressione storica e attuale delle donne per mano degli uomini attraverso un sistema denominato “Patriarcato”. Le donne devono dunque essere “liberate”. Lo slogan di NOW divenne “Liberazione”. Betty Friedan “sostiene che la donna americana in realtà è sempre stata schiava della dittatura maschile”. “L’accusa di una dittatura del maschio sulle masse femminili la lanciò per prima in America Betty Friedan” (Il femminismo di Betty Friedan – 1972, Rai Storia). Durante un’intervista, lei stessa afferma: “le donne sono state oppresse troppo a lungo”, ergo gli uomini sono stati troppo a lungo oppressori.
A fine intervista il giornalista pone la domanda più interessante: “Perché secondo lei non c’è stata una Friedan nei secoli passati? Perché le donne hanno aspettato tanto prima di arrivare a proclamare la propria rivoluzione?”. Risponde la Friedan: “La rivoluzione d’oggi, questa rivoluzione femminile di massa, non credo che avrebbe potuto svilupparsi prima. In un certo senso quello che sta accadendo in campo femminile oggi si può vedere e capire bene solo nei paesi tecnologicamente più avanzati, come negli Stati Uniti o l’Europa occidentale, perché rappresentano in un certo senso l’ultima frontiera, i paesi dove le donne possono ribellarsi a un certo sistema economico. La rivoluzione femminile non può nascere che da un periodo di ricchezza, in cui gli uomini non sono più soggetti alla necessità totale di sopravvivere, con il problema assillante del cibo, e la donna di conseguenza non è più soggetta alla necessità, ugualmente brutale, del destino ancestrale di portare in grembo i figli”. Perché trionfa il femminismo oggi? E perché trionfa nel mondo occidentale e non nei paesi del Terzo Mondo? Risposta: il femminismo attecchisce nei paesi ricchi, là dove esiste il Welfare State e la donna non ha più bisogno di un uomo per poter sopravvivere. Più benestante è la societa (e la donna), più è probabile che diventi femminista. In parole povere, nell’antichità le donne non si ribellavano perché non riuscivano nemmeno a sopravvivere. O, detto in altro modo, le donne riuscivano a sopravvivere grazie al contributo dei loro uomini.
In verità le donne non sono state “oppresse”, ma “beneficiarie”.
Come ho scritto ne (La grande menzogna del femminismo, p. 1113): “…le donne che effettivamente vissero nel mondo prima della Rivoluzione Industriale riconoscevano esplicitamente di non poter sopravvivere senza l’aiuto, il contributo e la protezione dell’uomo, che cercavano disperatamente senza ritenerlo oppressore, ma necessario sostegno. Finché si tratta di ammettere che ci fu uno scambio di sesso-alimenti, la narrazione femminista non si discosta da quello che era il pensiero fino allora maggiormente condiviso. Il distacco avviene quando il femminismo ipotizza che le donne sarebbero state costrette a farlo perché gli uomini avrebbero impedito loro di sopravvivere da sole, cosa che avrebbero potuto fare benissimo senza necessità di ‘vendersi’. Secondo questa nuova visione, le donne si sarebbero augurate di poter correre dietro i Mammut e affrontare i predatori, di poter navigare in mari sconosciuti e sfidare le tempeste, di poter bagnarsi nel sangue dei combattimenti e subire le avversità delle intemperie, i geloni e le ustioni, le lesioni e le mutilazioni. ‘La debolezza muscolare delle donne sarebbe stato il risultato di secoli e secoli di prigionia’, disse la femminista spagnola Victoria Sau. Come le Amazzoni, volevano liberarsi della costrizione del sesso, e non è stata la loro natura a impedirlo, sono stati gli uomini”.
Ora, le affermazioni di Betty Friedan cadono in una flagrante contraddizione. Da un lato, lei (e la dottrina femminista) sostiene che lungo tutta la storia le donne sono state oppresse e schiave. Dall’altro sostiene che la donna fosse soggetta al vincolo brutale della sopravvivenza, essendo l’oppressione l’ultima delle sue preoccupazioni. La sopravvivenza avrebbe centrifugato ogni suo sforzo, in ogni caso insufficiente per colpa della “necessità brutale del destino”. Senza ammetterlo esplicitamente, lascia intendere che la sopravvivenza femminile si sarebbe verificata grazie al contributo maschile. Chi è dipendente per la propria sopravvivenza non può essere oppresso, perché l’alternativa che le si offre, la libertà da questa oppressione, è molto peggiore: la morte, per incapacità a sopravvivere. Soltanto chi riesce ad essere autonomo, cioè chi può sopravvivere senza dipendere da un altro, può essere oppresso. Per questo motivo storicamente si parla di maltrattamenti sui minori, non “dell’oppressione dei bambini”. Storicamente bambini, donne, disabili, persone incapaci e molto anziane potevano essere forse soggetti a maltrattamenti, vessazioni, ma non potevano essere oppressi, privi come erano dai mezzi per sopravvivere da soli in un mondo ostile. Chi riceve mezzi altrui per poter sopravvivere non è oppresso, è beneficiario. Per secoli le donne lo sono state, motivo che spiega perché cercavano disperatamente uomini, fornitori di risorse, perché oggi scarseggiano le testimonianze e i lamenti “femministi” di allora, e perché le masse di donne che, per sfuggire a una presunta oppressione, andavano via, in cerca di “libertà” in un mondo poco abitato di paesi sconfinati e spazi naturali di porte aperte, non esistevano né sono mai esistite. Infatti, la storia è un brulicare di ribellioni maschili o capeggiate da maschi contro le più diverse forme di oppressione, mentre di rivolte di liberazione femministe non si vedono tracce. Per assurdo, la questione sull’oppressione riguarderebbe ragionevolmente l’uomo, nel caso che i frutti in eccesso donati alla donna, risultato dello sforzo maschile oltre la propria sopravvivenza, non fossero volontari, ma conseguenza di una costrizione.
L’uomo si è adoperato per soddisfare la necessità femminile.
Quindi ecco alcune riflessioni. 1) Per secoli e per la maggior parte della popolazione la sopravvivenza è stato un problema assillante. Malattie, calamità naturali, fame, epidemie, guerre. In molte epoche l’età media s’aggirava intorno ai 30 anni. Il femminismo (autorealizzazione, libertà sessuale, ricerca della felicità, libertà di parola e di lagna) non poteva nemmeno esistere in quanto la preoccupazione dell’individuo (della donna) a malapena andava oltre l’aspetto fisiologico, primo gradino della piramide di Maslow. 2) La sopravvivenza in maniera individuale e isolata risultava un compito improbo, per lo più irrealizzabile. Per poter sopravvivere gli esseri umani si raggruppavano in collettività. 3) Benché la sopravvivenza fosse un compito arduo per entrambi, l’uomo si dimostrava molto più capace e efficiente per questo compito (protezione e produzione). La donna, al contrario, si dimostrava deficitaria. 4) Nella sopravvivenza della specie la femmina è utile e il maschio è pressoché inutile. Al contrario, nella sopravvivenza del gruppo l’uomo è utile e la donna è inutile. Le collettività sopravvivevano grazie principalmente agli sforzi eccedenti, oltre a quelli necessari per la propria sopravvivenza, prodotti dagli uomini. Per questo motivo spesso i censimenti contavano solo gli uomini, i campi e le collettività deperivano là dove la popolazione maschile scarseggiava, e durante i momenti di emergenza, calamità o assedio si scartavano donne, bambini e anziani.
5) Norme, regole, istituzioni, tradizioni, tutelavano la sopravvivenza delle donne, cioè della specie, regolando gli sforzi e i frutti maschili in eccesso, anche a scapito di questi ultimi. 6) Questa assillante precarietà quotidiana pian piano è iniziata a tramontare, principalmente dopo la Rivoluzione Industriale, subendo una forte accelerazione nel XX secolo nel mondo occidentale. Di pari passo è cresciuta anche la diffusione del femminismo, all’inizio nei ceti benestanti e borghesi fino a spandersi ovunque nella società man mano che aumentava il reddito e il benessere. 7) Il fatto che la donna non sia stata storicamente oppressa nulla dice sulla condizione attuale della donna. Dice invece molto sulla credibilità della dottrina femminista, la metà della quale, la narrazione storica, risulterebbe un’enorme menzogna. Soltanto una lettura storica faziosa può trasformare le naturali difficoltà delle donne in oppressione. In linea di massima, non è mai esistita l’oppressione storica della donna. Al contrario, lei molto spesso risultava beneficiaria. Anche l’uomo viveva una vita difficile, in parole di Betty Friedan “brutale”, “assillante”, ma la donna in più era “soggetta alla necessità”, necessità femminile che l’uomo molto spesso si è adoperato a soddisfare.