di Fabio Nestola. Di vittime maschili non si deve parlare, punto. È questo, in sostanza, il contenuto dell’aggressivo comunicato a più firme che intende protestare per l’iniziativa della consigliera del X municipio di Roma, Filomena Cotti Zelati (M5S), rea di voler studiare anche la violenza delle donne sugli uomini. Proteste ancora più veementi nei confronti della Commissione Pari opportunità presieduta da Gemma Guerrini (M5S), colpevole di aver innalzato il dibattito dal livello circoscrizionale alla giunta capitolina. Le barricadere non ci stanno, rivendicano un prepotente diritto di monopolio applicato a tutto: monopolio del riconoscimento istituzionale, dell’informazione, degli studi di settore, dei dati, dell’attenzione mediatica ma soprattutto monopolio dei fondi pubblici.
L’ISTAT targato Sabbadini deve pubblicare indagini conoscitive esclusivamente sulle donne vittime di violenza, il Ministero dell’Interno deve pubblicare dati solo sulle donne vittime di violenza, la Polizia di Stato deve pubblicare report esclusivamente sulle denunce delle donne vittime di violenza, i dibattiti televisivi devono pescare nei dati unidirezionali per parlare solo di donne vittime di violenza. Non solo in Italia i fatti vengono osservati attraverso lenti rosa: all’ONU esiste il comitato CEDAW per analizzare esclusivamente le problematiche femminili, la Convenzione di Istanbul viene utilizzata per dettare regole di protezione e stanziare fondi a favore delle donne vittime di violenza. Dire che c’è anche altro non si può. Sarebbe un guaio, per certa gente, se si cominciasse a parlare della violenza subita dagli uomini, se il fenomeno venisse riconosciuto a livello istituzionale, soprattutto se (orrore) venissero deliberati finanziamenti per uno studio di settore.
La violenza sulle donne è l’unico problema degno di attenzione…
La violenza femminile sugli uomini deve restare un terreno inesplorato, per poter continuare a dire che non esistono dati quindi non esiste il problema. Del fenomeno non si parla perché non esiste, o non esiste proprio perché non se ne parla? Se ho due aspetti di un problema, Alfa e Beta, e volutamente punto i riflettori solo sull’aspetto Alfa, ottengo il risultato di oscurare l’aspetto Beta che quindi nella percezione collettiva non viene visto, non esiste. Si tratta di una percezione indotta nella popolazione, sapientemente e costantemente indotta, quindi una informazione a 360° entrerebbe in conflitto col condizionamento delle coscienze. C’è il rischio che la gente sappia ciò che non si deve sapere, e sapendo, capisca. Questo oscurantismo feroce sa di MinCulPop, le pasionarie dicono che le vittime maschili non esistono, e se esistono sono marginali quindi insignificanti, poca roba, che vuoi che sia, non vale la pena occuparsene…
Chi studia l’estinzione del panda non viene boicottato perché è più grave l’estinzione delle balene. Chi studia le cure per l’AIDS non viene boicottato perché è più numerosa la gente che muore di tumore. Chi studia l’inquinamento da polveri sottili non viene boicottato perché le plastiche negli oceani fanno danni maggiori. Anche perché nessuno nega che esistano il rischio di estinzione delle balene, i morti di tumore, le plastiche nei mari. Gli studiosi scelgono un settore di ricerca e lo sviluppano, tutto qui, senza negare che ne esistano altri, senza odiare chi si occupi di altro. Solo per chi studia la violenza subita dagli uomini non è così: chi osa parlare di qualcosa di diverso dalla violenza sulle donne lo fa perché odia le donne, mistifica, distoglie l’attenzione da un problema più grave. Che è l’unico degno di attenzione.
Che bisogno c’è di gonfiare i dati?
Eppure parlando di diritti umani il fattore numerico è irrilevante. Non è proibito tutelare i diritti dei disabili perché i normodotati sono di più. Non è proibito tutelare i diritti degli omosessuali perché gli etero sono di più. Invece è proibito tutelare i diritti delle vittime maschili perché le vittime femminili sarebbero di più. Un principio delirante valido solo per l’argomento “violenza”, che è e deve rimanere un orticello femminile e femminista. L’espressione “violenza di genere” deve condurre istintivamente a credere che ci sia un genere cronicamente vittima e uno cronicamente carnefice. Non può esistere altro. Poi le amiche firmatarie della protesta rispolverano l’immancabile mantra “una donna uccisa ogni 2 giorni”. Sanno dire, di grazia, quale sarebbe il femminicidio del 14 settembre, quello del 12, quello del 10 e poi dell’8, del 6, del 4 e così via, a ritroso fino al primo gennaio? Così, tanto per far coincidere i proclami ideologici con la realtà dei fatti.
In più occasioni abbiamo smentito la bufala dei femminicidi, spacciati per 170/180 all’anno e rivelatisi meno di un terzo a un’attenta verifica. La mistificazione arriva inserendo nel calderone dei femminicidi anche donne effettivamente uccise da un uomo, ma per motivi che nulla hanno a che vedere col patriarcato, l’oppressione maschilista e la prevaricazione di genere: moventi economici, rapine finite nel sangue, dispute ereditarie, tossicodipendenza, ecc. Ogni volta che pubblico un approfondimento vengo accusato di negazionismo del femminicidio, eppure dichiaro da anni di avere una posizione perfino più dura di Differenza Donna & Co.: per me anche 40 o 50 donne uccise è sempre “troppo”, anche una sola vita persa a causa della gelosia morbosa è un evento terribile che cittadine e cittadini responsabili devono condannare senza appello. Ma che bisogno c’è di gonfiare i dati facendole diventare centinaia ogni anno?
Un plauso a Gemma Guerrini e Filomena Cotti Zelati.
I dati devono essere monopolio della propaganda femminista, e guai a chi tenta di fare chiarezza o di dire che c’è anche altro. Il comunicato arriva anche alla velata minaccia “occorre scegliere da che parte stare, perché ogni ambiguità assume sapore di complicità. (…) scivoloni come quello di ieri non sono ammessi”. Ah però! Complicità in merito al reato di lesa maestà? Siete con noi o contro di noi, non ammettiamo deviazioni dalla linea che noi pretendiamo di imporre, è questo che si legge neanche tanto tra le righe. E infine la chiosa: dateci più soldi. Servono altri centri “a centinaia”, altre case rifugio, altre operatrici perché il problema è uno e solo uno. L’altro non esiste perché non ci sono dati, e se osate solo parlarne è uno scivolone intollerabile. Ben venga invece, diciamo noi, se qualcuno inizia a parlarne. La consigliera Filomena Cotti Zelati e la Presidente Gemma Guerrini sono coraggiose avanguardiste della verità, cui deve andare ogni sostegno e plauso.