di Redazione. Una delle domande che ci viene posta più di frequente dagli uomini è: “come posso fare a separarmi da mia moglie senza perdere i miei figli e i miei beni?”. La risposta più normale dovrebbe essere: abbi fiducia che la magistratura applichi correttamente il principio di bigenitorialità imposto dalla legge. Ma, data la prassi predominante, è una risposta debole. Così ci sono padri, per fortuna pochi, che decidono di agire per il peggio. Ne è un esempio la storia che ci è stata consegnata da Beatrice (nome di fantasia, come tutti quelli che seguono), che ha convissuto (dopo la fine del suo primo matrimonio) con Alessandro, un imprenditore del Nord Italia. Lei porta con sé una figlia dal primo matrimonio, un rapporto sereno e concorde con il primo marito, e una storia dolorosa nel cuore: il suicidio di suo padre nel 1991. Con Alessandro fa altri due figli, Giovanni e Luca, e la sua vita scorre, come quella di molte donne, tra gli impegni di casa, il suo lavoro full time come impiegata nell’amministrazione delle aziende di cui Alessandro stesso è titolare.
Qualcosa si rompe tra il 2013 e il 2014. In quel periodo la loro famiglia conosce la tragedia: una parente stretta di Alessandro uccide il proprio figlio e poi si suicida. Da quel momento Alessandro sembra perdere il lume: inizia a guardare Beatrice con sospetto: “sei malata, tuo padre si è suicidato, anche tu potresti uccidere i nostri figli e poi suicidarti”. Non solo: incomincia in quel periodo a fare ogni tentativo per compromettere il rapporto di Beatrice con la figlia e gli altri suoi familiari del suo nucleo d’origine. Una pressione che non risparmia nemmeno l’ambito lavorativo e sociale condiviso. Beatrice comincia a trovare oggetti spostati in casa e in cuor suo davvero sospetta di avere problemi mentali. Alessandro trascina Beatrice da una psichiatra, mentre le liti diventano sempre più aspre, arrivando anche all’aggressione fisica. Non ci sono denunce, ma Alessandro decide di lasciare casa: nel 2016 presenta istanza di affido condiviso con collocamento materno. Tutto potrebbe risolversi così, invece da quel momento Beatrice viene bersagliata, in tribunale e nel contesto sociale che la circonda, di accuse più o meno esplicite di essere “malata” e “pericolosa”.
Un’educatrice per “monitorare la madre”.
Il tribunale, attraverso una prima lunga CTU, sembra non avere sospetti e, diversamente dal solito, il suo giudizio pende a sfavore della madre. Attraverso una pioggia di denunce per maltrattamenti e memorie di parte, Alessandro convince le autorità che Beatrice non ci sta con la testa, che è pericolosa per i bambini. A poco valgono le certificazioni psichiatriche che lei presenta: piano piano il sistema, con l’intromissione di servizi sociali ed educatori, la priva dei rapporti con i figli, che prima sono vigilati, poi sempre più rari. Beatrice reagisce con calma e pazienza: seppellisce il tribunale di diverse certificazioni che la valutano perfettamente in sé, ma soprattutto fa ogni sforzo per mantenere con Alessandro lo stesso rapporto pacifico che aveva instaurato con il primo marito. Il suo pensiero sono i suoi tre figli: non vuole fare guerre mettendo in gioco la loro esistenza e il loro equilibrio. Alessandro invece sembra non avere questo tipo di scrupoli: “la mamma è malata, non dovete mai restare soli con lei”, confidano i bambini che il padre gli dica insistentemente. Un processo di alienazione che colpisce tutti, anche la nonna materna: “ha fatto ammalare il nonno e l’ha ucciso”, ripetono a pappagallo Giovanni e Luca. Qualcosa viene minato nelle loro menti e nei loro cuori e il lavorio del veleno alienante risulta sempre più evidente.
Al cospetto di Beatrice e di tutta la sua famiglia di origine si danno il cambio, su istanza di Alessandro, legioni di psichiatri, psicologi e periti, sempre più scettici sul fatto che esista una qualche pericolosità insita nella donna. Ma ormai quello importa più poco: nel 2018, dopo un costante lavorio di anni, Giovanni rifiuta di vedere la mamma, se non in presenza di terzi. Ha paura. E la psicologa che lo segue non ha dubbi: “occorre fare in modo”, scrive, “di non acuire i processi scissionali già in atto nel bambino”. Non la chiama né “alienazione parentale”, né “PAS” o altro. Ma quello è. Il 2018 si conclude con le parole nette dei terapeuti che seguono i bambini: “sentono pressante la necessità di schierarsi con uno dei genitori, c’è una scissione degli aspetti buoni e cattivi della relazione con proiezione nelle figure genitoriali. Sussiste un forte rischio psico-evolutivo dei due ragazzi”. All’inizio del 2019 non cessa la pioggia di perizie che certificano la perfetta sanità mentale di Beatrice da un lato, e le iniziative alienanti di Alessandro dall’altro. In quel periodo a occuparsi dei ragazzi è una nuova educatrice che si presenta come “protettrice” dei due minori, come colei che deve “monitorare la mamma”. In queste condizioni Beatrice non ci sta più e decide, nonostante i richiami del tribunale, di interrompere le poche visite che le sono concesse con i figli, nel frattempo ormai collocati dal padre.
Uno schiaffo per chi nega l’alienazione.
A dicembre 2019 gli psicologi che seguono il figlio grande dichiarano che il bambino è in condizioni gravi, ha verbalizzazioni paranoiche. Lui, come il fratello minore, rifiutano qualsiasi avvicinamento materno. Respinte tutte le relazioni di parte, il tribunale impone una nuova psichiatra col compito di prendere in carico Beatrice. Poco dopo questa certifica come la donna sia stata sottoposta a stress prolungato e a un trattamento tale da minare la sua salute. Solo a quel punto il tribunale inizia a insistere sulla necessità di un recupero della figura materna. Ma è tardi. Nel febbraio 2020 Giovanni, il grande, avrebbe dovuto incontrare la mamma, invece fugge. Viene cercato per due ore da tutti, forze dell’ordine incluse, e viene ritrovato rannicchiato per strada da un passante. Ad oggi i due ragazzi risultano affidati ai servizi sociali con collocamento presso il padre e divieto di qualunque tipo di visita da parte di Beatrice. La storia andrà avanti con il secondo grado di giudizio, lontano dai primi magistrati che hanno commesso l’errore iniziale: il tribunale, a forza di perizie, ormai ha le carte che dimostrano che non solo Beatrice non è né malata né pericolosa, ma che ad esserlo diventato (o forse ad esserlo sempre stato..) è probabilmente il padre. L’attesa nell’immediato futuro è dunque che i nuovi magistrati recuperino l’errore fatto all’inizio non solo e non tanto per regolare in modo bilanciato la controversia tra i due ex conviventi, ma soprattutto per i bambini, affinché non si aprano ulteriori ferite dentro la loro storia personale.
Secondo Beatrice, che abbiamo sentito diverse volte, e secondo i legali e gli psichiatri che la assistono, la condotta di Alessandro è dovuta essenzialmente a due cose: a una forma di paranoia sviluppata contro di lei ma soprattutto alla messa in atto di una strategia per non essere perdente in fase di separazione. Se è così, abbiamo una risposta alla domanda fatta all’inizio: sì, è possibile per un uomo, stante il contesto attuale di non applicazione corretta della legge, non perdere materialmente i figli e i propri beni dopo una separazione. Per riuscirci occorre prepararla in anticipo, con una costruzione paziente, graduale e maligna atta a rappresentare la coniuge come pazza e pericolosa, il tutto accompagnato da un’incessante attività di alienazione dei figli dalla figura dell’altro genitore. Uno scenario che siamo abituati a vedere a parti invertite, ma che ferisce, pur se su proporzioni infinitamente minori, anche le madri. Lasciando sul terreno sempre e solo un soggetto: i figli, i minori, i bambini. Ciò che Giovanni e Luca hanno vissuto e stanno vivendo è una vera e propria violenza, derivata dalla non applicazione di una norma che invece dovrebbe tutelare un loro diritto, a prescindere dai magheggi e dalle iniziative dei genitori in conflitto. La loro sofferenza è uno schiaffo, uno dei tanti, per tutti coloro che negano l’esistenza delle condotte alienanti. E poco importa che arrivi da una mano femminile invece che dalla solita maschile.