di Redazione. Mauro è una guida alpina della Valle d’Aosta. Otto anni fa conosce Anna (nome di fantasia) una ragazza di Salerno. I due si innamorano e dopo un po’ di tempo lei decide di trasferirsi da lui. Oltre a seguire l’uomo di cui è innamorata, coglie così un’occasione importante: la “Vallée” è una zona sicuramente più ricca di opportunità che non il profondo entroterra irpino. Dopo anni di disoccupazione, infatti, nel giro di poco tempo trova un buon lavoro come OSS. Le cose insomma sembrano marciare per il verso giusto, prova ne sia che alla coppia nasce un figlio, che chiameremo Y. Da quel momento tutto fila liscio per un paio d’anni, poi la coppia va in crisi. Anna è inquieta, insoddisfatta, sebbene sia indubbio che il trasferimento dalla Campania alla Valle d’Aosta, da lei deciso liberamente, le abbia giovato in termini pratici.
La crisi si esacerba finché Mauro e Anna decidono di rompere la relazione. La transizione non è semplice, come sempre in questi casi. Sebbene coabitassero nella casa che da tempo Mauro aveva in affitto, è quest’ultimo che decide di trovarsi un’altra collocazione non lontano, a 4 km, per poter essere di aiuto ad Anna e al bambino. Terminato il rapporto con Anna, quello con Y è un legame destinato a rimanere per sempre e Mauro non ha certo intenzione di rinunciarvi allontanandosi troppo. Anche perché il piccolo Y ha espresso chiaramente la sua volontà di avere ancora una mamma e un papà, per quanto le circostanze possano consentire. Dai due assorbe stimoli diversi, entrambi importanti: Anna è uno spirito creativo, quasi artistico, Mauro invece è (per indole e professione) uno sportivo, un tipo pratico. Con lui Y impara a sciare, a percorrere i boschi e a vivere all’aperto in un ambiente meraviglioso e salubre. Eppure, nonostante il desiderio espresso dal piccolo, i rapporti tra i due ex si inaspriscono.
La mediatrice aveva escluso il trasferimento.
Mauro reimposta rapidamente la propria vita attorno al suo ruolo di “padre alternato”, mentre l’inquietudine di Anna si approfondisce e così la sua amarezza, in una spirale autocentrata che la induce ad arrivare al punto di rottura: “voglio tornare a casa mia”, dice. Significano 1.000 chilometri di distanza. Significa soprattutto capire con chi Y dovrà stare. Per evitare traumi al bambino e inquadrare meglio la situazione, Mauro propone alla ex un percorso di mediazione, che ha un esito tanto scontato quanto traumatizzante per Anna: sradicare il bambino dal luogo in cui è nato e cresciuto o obbligarlo a lunghi viaggi sarebbe un disastro. È qualcosa da escludere. La relazione della mediatrice manda Anna in pezzi. Pochi giorni dopo Mauro riceve una lettera dall’avvocato di lei: sia un giudice a decidere il da farsi. Parte da lì l’usuale calvario a carico anzitutto di un bambino che nel frattempo ha tre, quattro, cinque anni, e in seconda battuta a carico di un uomo-padre.
Accade più volte che Anna non consegni il bambino a Mauro, quando è il suo turno. Mauro la chiama, manda messaggi, anche comprensibilmente arrabbiati, intimandole di fargli vedere suo figlio. Come da copione, scatta la denuncia per stalking da parte di lei, seguita da un’altra per tentata violenza, entrambe rapidamente archiviate. Parallelamente il tribunale fissa una CTU. Voci di popolo danno il tribunale civile di Aosta come uno dei più sessisti e proni alla “maternal preference” d’Italia. Davanti ai suoi cancelli, nel 1996, si diede fuoco Antonio Sonatore, quello che viene considerato il primo padre suicida della storia nazionale. Mauro conosce queste voci, ma non si fa intimidire: Y deve poter avere un padre, e a lui stesso deve essere concesso di svolgere quel ruolo, su questo non intende transigere. Delle inclinazioni della magistratura locale non gli importa nulla: si fida dell’oggettività dei giudici, esiste una legge che impone la bigenitorialità, tanto basta. E se già la mediatrice aveva escluso il trasferimento di Y a Salerno, sicuramente la CTU giungerà alle stesse conclusioni.
L’avrebbero assunta anche in deroga. Eppure lei lascia tutto.
A condurla è una psicologa, che nel corso del tempo produce tre relazioni. A leggerle si ha l’impressione che dai colloqui abbia tratto un’impressione positiva di entrambi i genitori, fatte salve alcune osservazioni poco condivisibili (Mauro viene criticato perché porta Y in montagna, dove il bambino “si stanca”), con più di una punta di vittimizzazione per Anna. “Fragile”, scrive la CTU, e secondo Mauro si tratta di una sorta di una formula atta un po’ a impietosire il giudice, un po’ a suggerire che una soluzione non soddisfacente per lei potrebbe determinare un crollo. Se la lettura di Mauro fosse corretta, il benessere (supremo!) del bambino rimarrebbe in secondo, forse anche in terzo piano. Il punto di svolta c’è quando la CTU affronta l’ipotesi del trasferimento di Anna a mille chilometri di distanza. Sorprendentemente la CTU ritiene la cosa fattibile, ma non subito, solo finito il periodo scolastico di Y. Qualcosa non torna: la psicologa che ritiene malsano per il bambino andare a sciare o a far camminate per boschi con papà, scrive che il piccolo può tranquillamente farsi mille chilometri ogni tot per andare dalla Campania alla Valle d’Aosta e ritorno, come un pacco postale mandato e restituito al mittente innumerevoli volte.
Mauro ritiene tutto molto assurdo e mentre con il suo avvocato e la CTP cerca di capire come bloccare quella che ritiene una follia, oppure un piano ben architettato per distaccare Y dal padre (quanto ci vorrà perché il piccolo rifiuti la fatica di un lungo viaggio, a costo di non vedere più il papà?), scoppia l’emergenza coronavirus. Le scuole chiudono, Y deve stare a casa. La CTU riflette sul caso e nel giro di un mese cambia versione: non essendoci più il vincolo scolastico, Anna e Y possono trasferirsi in Campania anche subito. È un fulmine a ciel sereno, rafforzato dalla decisione del giudice che in quattro e quattr’otto sposa il punto di vista della CTU e in questo senso decreta. Nel frattempo Anna si è già trasferita: è tornata a casa dei genitori, rinunciando a un lavoro stabile, diventato ancora più sicuro a causa (purtroppo) dell’emergenza sanitaria. In Valle d’Aosta per ottenere un tipo di lavoro come il suo a tempo indeterminato occorre passare un esame di francese. Tale era il bisogno di operatori in ospedale che l’avrebbero assunta anche in deroga. Eppure lei lascia tutto, non dà seguito alle procedure richieste e torna a casa di mamma e papà. La stessa che dovrebbe accogliere Y, una volta trasferito.
Un Antonio Sonatore nel curriculum non è qualcosa di cui vantarsi.
“Ha deciso lei anni fa di venire a stare con me, qui”, dice ora Mauro, che abbiamo raggiunto al telefono. “Qui ha fatto un figlio. Si tratta di assumersi le proprie responsabilità di madre, di non essere egoista”. Mauro parla anche per sé: “io ora ho una compagna che sta a Zurigo. Sarebbe perfetto per me trasferirmi in Svizzera con lei, migliorerei di molto il mio tenore di vita, ma non lo faccio e non lo farò. Qui ho mio figlio, qui resto per curarmi di lui”. In effetti la stortura c’è: fin tanto che c’è un figlio da crescere, e in assenza di elementi di attrazione reale verso Salerno (dove Anna non risulta avere un lavoro), non dovrebbe essere consentito a una persona di seguire le proprie esigenze a prezzo dello sradicamento di un bambino e del suo allontanamento fisico e affettivo da un altro genitore. Non c’è motivo razionale perché Anna si trasferisca, mentre ce ne sono diversi perché resti in Valle d’Aosta. Uno di essi ha cinque anni, si chiama Y e ha diritto ad avere entrambi i genitori. Un buon senso che la magistratura non sembra voler assecondare. Significherebbe collocare il minore presso il padre, , per altro disponibile a lasciare a disposizione la casa all’ex moglie qualora si spostasse per stare col bambino, che così non verrebbe sradicato, ma in quest’Italia dove “bigenitorialità” è considerata quasi una parola volgare talvolta nemmeno in casi estremi questo accade.
“Io non voglio toglierlo alla madre”, dice Mauro, accorato. “Anna è la mamma e Y ha il diritto di frequentarla e amarla. Ma deve valere anche per il padre. Oltre a essere giusto, lo dice la legge”. Il lockdown ha messo in ginocchio la libera professione di Mauro, ma nonostante questo il decreto del giudice stabilisce un mantenimento e ipotizza che lui periodicamente vada a stabilirsi a Salerno per stare col figlio. “Certo”, commenta Mauro, “e mentre sono là chi lavora? Chi guadagna? E poi dove vado a stare? Ma soprattutto dove posso creare a così ampia distanza un ambiente familiare per il bambino, in un hotel forse?”. In più c’è l’assegno di mantenimento. “Vedi”, risponde Mauro, “quello non sarebbe assolutamente un problema, avendo la certezza che è usato per Y e purché non si pongano le condizioni per rendere mio figlio orfano di padre”. Così è invece. Il decreto appare dannoso per il benessere di Y, ingiustificatamente punitivo per Mauro e decisamente lesivo del principio di legge della bigenitorialità. Anche per questo Mauro ha già presentato ricorso, accompagnato da un esposto all’Ordine degli Psicologi contro la CTU, che a suo parere ha condotto i suoi compiti in modo squilibrato. In attesa degli esiti di queste iniziative, Mauro ha dovuto portare Y ad Anna, in un lungo viaggio di tre giorni in auto dalla Valle d’Aosta alla Campania. Mauro ha raccontato ieri, attraverso dei video a tappe pubblicate sul suo profilo Facebook, questo viaggio ingiusto, un vero e proprio calvario per lui, come padre. Non è minimamente immaginabile il dolore che deve aver provato mano a mano che l’auto divorava i chilometri verso una tappa che l’avrebbe separato dal figlio. “Avrei voluto visitare la casa dove Y. starà”, di dice, con la voce rotta, durante il viaggio di ritorno. “Avrei voluto vedere la sua stanzetta, conoscere le sue nuove maestre, era mio diritto”. È vero, lo era. Ma Anna non gli ha fatto mettere piede in casa. Insomma c’è uno stallo. “No, è una guerra”, corregge Mauro. “Ma non l’ho voluta io. E non consentirò a nessuno di farla sulla vita di mio figlio”. Noi auguriamo il meglio a Y, anzitutto, e staremo vicini a Mauro nella sua battaglia. Quanto al tribunale di Aosta, abbiamo una sola cosa da dire: già non è il massimo avere un Antonio Sonatore nel curriculum. E perseverare, dice il motto, è diabolico.