di Santiago Gascó Altaba. “…Mi chiedo cosa mai possano vivere i tantissimi uomini che si trovano nelle mie condizioni e che non riescono a mettere in campo la resilienza che sono riuscito a tirar fuori e le risorse economiche che avevo a disposizione”, sono le parole di sconforto dell’Avv. Piero Lorusso, vittima della violenza di una donna, non per la violenza subita, purtroppo ineliminabile e inerente alla natura umana, tanto maschile quanto femminile, ma per il trattamento successivo subito per mano della Giustizia, dei media e di tutta la società, che lo criminalizza, lo discrimina oppure l’ignora per la sola colpa di essere un uomo vittima di una donna. Trattamento che non è altro che un’ulteriore violenza.
Tutti siamo consapevoli che per lo stesso reato uomini e donne ricevono pene diverse. Numerosi studi e rilevazioni in diversi paesi del mondo così l’hanno evidenziato. La violenza è giudicata diversamente a seconda del sesso dell’autore e della vittima, e questo avviene per ogni sorta di crimine, violenza di genere, omicidio, infanticidio, false denunce, attacchi con l’acido, sottrazione dei figli… Di conseguenza la punizione, all’autore, e il riconoscimento, alla vittima, sono troppo spesso asimmetriche. Malgrado la narrazione storica femminista suggerisca il contrario, è sempre stato così. Le prigioni e i campi di lavoro sono stati prevalentemente un mondo maschile. Le donne sono state esentate molto spesso dai lavori forzati, dalle galee, dalla pena di morte, da certe torture troppo cruente, o torturate in minore intensità, raramente incatenate, ecc. Da sempre le donne sono giudicate più indulgentemente, e da sempre i crimini commessi nei loro confronti sono giudicati più severamente. Da sempre. Senza voler indagare sul motivo, mi limito semplicemente a constatare questo doppio standard della storia dell’umanità: le donne sono giudicate più indulgentemente, gli uomini più severamente; le donne sono protette di più, gli uomini di meno.
Il femminismo ha introdotto nel giudizio critico l’irrazionalità.
Il femminismo è intervenuto in due modi su questa situazione preesistente. Da una parte l’ha inasprita, ha creato nell’immaginario femminile una specie di presunzione di innocenza illimitata, di irresponsabilità per qualsiasi comportamento agito principalmente contro un uomo, derivata dall’indubbia condizione storica di vittima. Impunemente le donne denunciano il falso, sottraggono i figli nelle separazioni, abbandonano o uccidono i propri figli depresse da post-partum, iniziano i minori al mondo della sessualità, sollecitano a loro volontà la sessualità nel mondo degli adulti, insultano, minacciano e tiraneggiano senza paura delle conseguenze, attaccano, accoltellano e uccidono per difendersi preventivamente… “Ogni qualvolta una donna è accusata di un qualsiasi reato violento, anche le serial killer, invocano sistematicamente maltrattamenti o violenze (o la depressione) che giustificano la loro furia omicida, indipendentemente dal modo nel quale sia stato ucciso il compagno: nel sonno, avvelenato, quando era ubriaco, colpito alle spalle, con arma da fuoco, indipendentemente dal numero di persone o di mariti uccisi, tutti autori di maltrattamento, indipendentemente dal fatto che la vittima sia stata trucidata e la donna non abbia neanche un graffio, e indipendentemente dall’età della vittima, anziana o bambina.” (La grande menzogna del femminismo, p. 759). E in seguito scrivono libri, realizzano film, ricevono onorificienze o vengono invitate come testimonial nei Parlamenti nazionali. Tutto incredibile, e tutto vero.
Il secondo modo mi sembra ancora più grave. Come qualsiasi ideologia, il femminismo ha introdotto nel giudizio critico l’irrazionalità. Da circa mezzo secolo nel mondo occidentale i tribunali sfornano regolarmente motivazioni che sfidano il buon senso, che giustificano l’ingiustificabile nel tentativo di scagionare o di attenuare comportamenti illeciti (sottrazioni dei figli nelle separazioni, false denunce, comportamenti violenti), e tutte immancabilmente in un unico senso, a favore delle donne. Motivazioni che sono un affronto non alla giustizia, ma alla ragionevolezza. Uno scandalo perpetuo, ormai normalizzato, che si propaga ovunque, nella politica, nei media, nelle norme e nelle sentenze. Casi identici, tranne per i sessi invertiti di autori e vittime, ricevono un trattamento agli antipodi, situazioni talmente assurde da far rabbrividire e arrossire chiunque non sia infetto dal virus ideologico. Casi allucinanti, denunciati in questo sito e altrove, da circa mezzo secolo, ma nulla cambia.
Anche l’uomo può appellarsi alla legittima difesa se è aggredito da una donna?
A titolo esemplificativo vorrei brevemente menzionare la legittima difesa. Sebbene il mio interesse per il femminismo e la questione maschile sia nato a seguito della mia separazione conflittuale (e allucinante), è stata la lettura di un articolo su Internet sull’omicidio di un’uomo da parte della moglie ad accendere il campanello d’allarme. Nel 2009 nel Maine, Stati Uniti, Amber Cummings sparò e uccise suo marito mentre dormiva. Il giudice stabilì che la donna non doveva passare nemmeno un giorno dietro le sbarre. Legittima difesa. Da quando nel 1970 la femminista americana Lenore Walker introdusse nel mondo occidentale il concetto di “Sindrome della donna maltrattata” (Battered Woman Syndrome), il concetto di legittima difesa all’interno della coppia si è esteso per le donne come una gomma da masticare. Sempre più spesso la donna diventa nel contempo omicida, giudice e giustiziere, esercitando a volte la legitima difesa preventiva, a volte la legittima difesa ritardata, col beneplacito dei tribunali, dei media, di tutta la società e di tutte quelle ONG che lottano per l’abolizione della pena di morte, in primis Amnesty International e Nessuno tocchi Caino. Chi cerca degli esempi li può trovare numerosi ne Il mito del potere maschile di Warren Farrell o nel suddetto libro La grande menzogna del femminismo.
Ora arrivano le curve. Anche l’uomo può appellarsi alla legittima difesa se è aggredito da una donna? Naturalmente sì, un recente esempio in Spagna ne offre la prova. I parametri però sono un po’ più rigidi. Prendete appunti. Santiago Cámara è stato dichiarato innocente dopo aver ucciso sua moglie Sofía Tato. Il 24 agosto 2017 Santiago Cámara si trovava a letto a dormire quando fu aggredito con un coltello da sua moglie, e nella colluttazione Sofía ricevette un colpo mortale sul petto. Il marito fu ricoverato di urgenza in ospedale con 16 coltellate. Secondo la versione del marito, la moglie lo aggredì dicendo: “ammazzo te e le tue figlie”. Immediatamente all’uomo fu ritirata la patria potestà delle due figlie minorenni di 9 e 11 anni, sua moglie fu inserita nella lista nazionale delle vittime di violenza di genere e lui in quella degli omicidi. Il Comune di residenza decretò due giorni di lutto ufficiale e si organizzò una manifestazione con il motto “Basta violenza contro le donne”.
Legittima difesa solo da mezzo morto.
Dopo il ricovero in ospedale fu rispedito direttamente in prigione. I mezzi stampa intitolarono così la notizia (tre semplici esempi): “Sofia accoltellata a morte da suo marito in presenza delle figlie”; “Ammazza sua moglie a coltellate dopo una discussione nel domicilio familiare”; “Le istituzioni regionali condannano l’omicidio maschilista e convocano un minuto di silenzio”. La parte civile, rappresentata dalla Giunta regionale (!) e dai genitori della moglie, i nonni ai quali erano stati affidate le figlie, chiesero oltre i 12 anni per omicidio doloso. L’indagine confermò la versione del marito, la dinamica dell’aggressione, la distribuzione delle macchie di sangue, il tentativo della moglie di inscenare un furto (si era messa i guanti di lattice) e il presunto movente ipotizzato dal marito: la moglie, trascinata dal gioco, aveva svuotato i conti bancari familiari, circa 108 milla euro, e il marito, per capire cosa stava succedendo, aveva fissato per l’indomani un appuntamento con il direttore della banca. La moglie, ormai sentendosi scoperta, decise di agire, forse inscenando un furto.
In conclusione: per appellarsi alla legittima difesa un uomo deve arrivare mezzo morto al pronto soccorso; deve soggiornare in prigione e sopportare lo stigma sociale e mediatico e la presunzione di colpevolezza fino all’udienza. Se ha dei figli (che presumibilmente è riuscito a salvare dalla morte) per 3 anni non potrà vederli. Dovrà sopportare l’idea di vedere affidare i figli a persone a lui ostili, che cercano in tutti i modi di privarlo della libertà, senza possibilità di intervenire sul condizionamento che queste persone possano mettere in atto sui propri figli nei suoi confronti. Non potrà contare in questi momenti di difficoltà sul sostegno delle istituzioni pubbliche, anzi queste istituzioni (la Giunta regionale) si adopereranno economicamente e socialmente per contrastarlo per la sola colpa di essere uomo. Se sarà fortunato, potrà provare che la compagna sentimentale ha svuotato i conti in comune e ha seminato le prove della sua innocenza, solo allora sarà libero, perché la sua versione dei fatti non conta nulla. Nessuna legittima difesa preventiva. Nessuna legittima difesa ritardata. Legittima difesa solo da mezzo morto… e forse. “…mi chiedo cosa mai possano vivere i tantissimi uomini che si trovano nelle mie condizioni …”, diceva l’Avvocato Piero Lorusso.