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di Davide Stasi. Poteva essere un’incomprensione componibile con un confronto tra persone adulte, magari anche una discussione animata, ma comunque qualcosa di riparabile. Se solo lei non fosse stata dedita al bere, se solo lui non fosse stato di sesso maschile (dunque visto di mal occhio a prescindere da un po’ tutte le istituzioni) e un bravo padre, probabilmente tutto si sarebbe aggiustato parlandosi con franchezza. Invece no: l’uno e l’altra hanno deciso di tirare in mezzo le autorità ad ogni livello. I Carabinieri, il Tribunale dei Minori, il tribunale civile e quello penale. Che non sono fatti per dirimere le controversie. Sono impostati per renderle ancora più aspre, perché il loro compito è decidere chi ha ragione e chi ha torto. E quando le cose sono impostate così, anche il contrasto più banale si trasforma in una guerra.
Mauro a questo punto ha depositato un numero spropositato di querele contro la madre di Alessio, per denunciare il suo rifiuto a ottemperare al decreto esecutivo del giudice, e dunque di permettere ad Alessio di frequentarlo. Non solo: innumerevoli sono anche le contro-denunce per calunnia contro la donna, che a sua volta ha querelato Mauro per una serie di altre questioni, alcune fuori dal mondo, come il fatto di fare riti magici indossando un mantello, altre comunque pesanti, come l’uso di droghe o gli atti persecutori. Nella “terra di nessuno”, sopra la quale volano i proiettili e i missili che i due si lanciano reciprocamente, sta il piccolo Alessio, e con lui il suo supremo interesse.
Poteva essere un’incomprensione componibile.
A quel punto il Tribunale Civile e il Tribunale dei Minori cominciano a parlarsi. La situazione viene vista come complicata, sebbene le posizioni siano piuttosto chiare. Come sempre in questi casi la conclusione è scontata: è in atto un conflitto genitoriale che ricade sul bambino. Non c’è una madre alcolizzata che offre un ricetto inadeguato a un minore e un padre che invece garantisce ciò che un bambino deve avere, c’è un conflitto genitoriale. E bisogna capire presso quale delle due parti Alessio avrebbe trovato migliore collocazione per il suo equilibrio e la sua crescita. Dopo lunga riflessione, durante la quale Alessio continua a subire il divieto di Gaia a vedere Mauro, il Tribunale dei Minori prende la sua decisione.
“Lei deve seguire un percorso di verifica della capacità genitoriale”, dice il funzionario a Mauro. Che strabuzza gli occhi, incredulo: “Prego?”. Il funzionario sospira, paziente. “Sì, deve fare una serie di test e verifiche per capire se lei è adatto nel ruolo di genitore e poi…”. Mauro si fa un po’ indietro con la sedia. E’ pronto a scattare e a urlare in faccia al burocrate tutta l’insensatezza della cosa. Questi però è abituato e alza una mano per fermare l’impeto dell’uomo dall’altra parte della scrivania: “… e poi anche la madre del minore dovrà seguirlo, è una cosa che vale per entrambi”. Mauro, si risiede, già più calmo. Aveva subodorato l’ingiustizia, la discriminazione, ma no, pare di no. Anche Gaia dovrà dimostrare di essere un buon genitore. E Mauro sa che su quel versante non ci sarà competizione.
Il Tribunale Civile e il Tribunale dei Minori cominciano a parlarsi.
“Cosa può succedere dopo il percorso?”, chiede. “A seconda dei risultati, il minore potrebbe tornare a frequentare entrambi, oppure uno solo dei due, dipende…”. Un mezzo sorriso rompe l’espressione corrucciata di Mauro: “quindi potrei averlo io in affido…”, ipotizza. Per istinto e abitudine il funzionario gli risponde con un’espressione come a dire: ma non dica sciocchezze, un figlio affidato a un padre, quando mai? “In ogni caso a monitorare il tutto saranno i servizi sociali, che d’ora in poi seguiranno la vicenda e collaboreranno per capire meglio la situazione”. Ahia, i servizi sociali, pensa Mauro. Non ne ha mai sentito parlare un gran bene, anzi.
Però non si fa condizionare né dalla situazione né dai pregiudizi. Si sottoporrà a qualunque percorso di verifica, e lo farà con gioia e ottimismo. Nel corso del tempo, fin tanto che Gaia ha acconsentito ad Alessio di frequentarlo, ha visto, ha sentito l’amore e l’intesa crescere e consolidarsi con il bambino. Mauro sa di essere un buon padre, dunque non teme nulla. Firma ciò che deve firmare e attende di essere chiamato per l’inizio del suo percorso. Anzi non vede l’ora che lo convochino. Il tempo passa, i servizi sociali si fanno vivi, conoscono Alessio, lui e Gaia, monitorano davvero la situazione, e non sembrano così impreparati o superficiali come Mauro pensava. Finché un giorno squilla il telefono: è il suo avvocato. Certo che si tratti del primo appuntamento per la verifica della capacità genitoriale, risponde con voce allegra: “avvocato! Allora che mi dici?”. Preso alla sprovvista il legale deve schiarirsi la voce più volte prima di rispondere.
Ahia, i servizi sociali, pensa Mauro.
“Senti Mauro… eh-eehhhmmm… hai presente quella denuncia per la questione delle magie, il mantello?”. Mauro si irrigidisce. Su quella cretinata c’è stata la chiusura indagini, lui e il suo legale erano in attesa dell’archiviazione. “E allora?”. “Ecco”, risponde l’avvocato, “mi hanno avvisato che… c’è stato il rinvio a giudizio… dovrai subire il processo…”. Mauro non sa se scoppiare a ridere o accartocciare il telefono con la sola forza della mano. Dunque dovrà andare davanti a un giudice a dire che no, lui non indossa mantelli, non fa magie, il Mago Zurlì gli è sempre stato antipatico… cosa dovrà mai dire per discolparsi da un’accusa tanto folle?
Mauro non è tipo che demorde, però, né si lascia abbattere. E’ pronto a tirar fuori da subito i molti megabyte di telefonate e colloqui registrati, che da tempo colleziona e archivia insieme a carte, documenti e pratiche che nel frattempo si accumulano. E’ con piglio sicuro dunque che si presenta davanti al giudice. Gaia non c’è, non si presenta, delega i suoi avvocati. Ne ha più d’uno, sebbene non navighi nell’oro, ma con la denuncia che gli ha fatto per stalking ha il patrocinio gratuito, quindi che le importa, può tranquillamente largheggiare. In udienza Mauro ripete quanto già detto in interrogatorio: mai fatto magie, mai avuto un mantello. Il suo avvocato incalza: non ci sono prove, è un’accusa calunniosa. Il giudice pare dubbioso comunque e per questo convoca i servizi sociali.
Il Mago Zurlì gli è sempre stato antipatico.
“Seguite il caso già da mesi, giusto?”, chiede il PM. “Sì, esatto”, risponde la responsabile. “Come avete inquadrato la situazione finora?”. La risposta cade come un macigno sull’aula, sia per la sua brevità sia per come viene detta: “il padre rappresenta per il figlio una figura di guida e di riferimento”.
Il giudice viene quasi schiacciato sulla sua poltrona. Nessuna forma dubitativa, nessun distinguo. Per i servizi sociali è così e basta. Mai sentita una roba del genere, tanto meno a favore di un genitore maschio. Il martelletto colpisce il suo supporto: non luogo a procedere, storia chiusa e tanti saluti. Scuse a Mauro no, quelle non sono previste. Sì, ma intanto, deciso questo, con Alessio come si fa? Ora può ricominciare a frequentare il padre? E il percorso di verifica delle capacità genitoriali? In un mondo ideale tutto finirebbe lì e Gaia verrebbe costretta a rispettare l’ormai già datato decreto esecutivo. Ma si tratta di Italia e soprattutto si tratta di riconoscere a un bambino il diritto di frequentare il proprio padre, quindi il prosieguo sarà tutt’altro che ideale.