di Santiago Gascó Altaba. “Quando capiremo che l’essere uomo non è né qualcosa di auspicabile né degno di essere preservato, allora inizieremo a progredire nella giusta direzione”. Quanta verità, soprattutto se proviene da una donna. Perle di saggezza alle quali il femminismo ci ha abituato. Concetti che possono essere racchiusi nel sintagma: mascolinità tossica. Neosintagma di nuovo conio, ma ormai di ampia diffusione, provate a chiedere in giro e vedrete che tutti, in primis i più giovani, l’hanno già sentito. I tempi cambiano velocemente, e cambiano le parole. Quindici anni fa un sintagma simile sarebbe suonato curioso, mezzo secolo fa, ai miei nonni, incomprensibile. All’epoca si parlava di maleducazione, e gli aggettivi che l’accompagnavano erano inappropriata, inadatta, inadeguata, sconveniente. I miei nonni non ci sono più, ed è una fortuna che io non debba spiegare loro cosa vuol dire mascolinità tossica, perché in seguito mi avrebbero posto la domanda più stupida e più ovvia: “e in cosa consiste la femminilità tossica?” Non lo so, non se ne parla. Si parla solo di mascolinità tossica. Tossica, cioè dannosa, nociva, velenosa, pericolosa.
Effettivamente l’aggettivo “tossico” rende molto meglio l’idea di un semplice “inappropriato”. La mascolinità come le sostanze, tossiche. È probabile che tra quindici anni parleremo di mascolinità micidiale, letale, così, per essere ancora più chiari. “The social problem of men (Il problema sociale degli uomini): così, senza mezzi termini, è intitolata la relazione commissionata dalla Commissione Europea, gli uomini sono un problema sociale. La “questione femminile” sta a indicare il problema che hanno le donne, la “questione maschile” il problema che sono gli uomini (Pippo Civati)” (La grande menzogna del femminismo, pp. 44-45). Gli uomini devono cambiare. È ovvio. A questo scopo nascono ricorrenti studi promossi da enti nazionali e internazionali sulla mascolinità, test online da enti pubblici, conferenze e corsi (a pagamento!) per la costruzione delle nuove e atossiche mascolinità, oltre a una fiorente industria editoriale sulla decostruzione e la critica della mascolinità, di opere che già dal titolo si dimostrano molto esplicite e ben intenzionate. Per fare un semplice e banale esempio, “101 motivi per cui le donne ragionano con il cervello e gli uomini con il pisello” di Eva Clesis.
Dichiarare gli uomini indegni di essere preservati.
Ma io, sinceramente, non sono un esperto di mascolinità. Io mi interesso di femminismo. E cerco di capire perché il femminismo ha questa fissazione con la mascolinità e il suo impegno per cambiarla. Per molti, e per tutti i dizionari del mondo, il femminismo è parità. È stato già ampiamento spiegato come questa affermazione sia priva di fondamento. La fondatezza di una tale definizione è talmente insostenibile, sommersa dall’infinità di prove, dichiarazioni, decisioni, fatti e proclami prodotti dalle femministe stesse, che hanno detto e hanno fatto proprio il contrario nel corso di tutta l’esistenza del femminismo fino ad oggi – la prova più recente è la proposta femminista di una tassazione differenziata per sessi – che, a dir la verità, mi vergogno quasi del fatto che ancora oggi sia necessario smentirla. Alcune femministe, più intelligenti, si sono accorte dell’insostenibilità di questa posizione. Infatti, sempre di più, in YouTube e altrove, sento negare esplicitamente la relazione tra parità e femminismo da persone che si dichiarano femministe. Il femminismo non è parità, il femminismo è l’ideologia che “lotta per i diritti delle donne”. Punto. Posizione lecita. Tutti abbiamo il diritto (e il dovere, aggiungo io) di lottare per i nostri diritti (e doveri, aggiungo io). Tutti, uomini e donne. Una posizione più intelligente di quella che s’appellava alla parità. Ma continua a essere falsa. Perché il femminismo, come è già stato riferito, consiste in un binomio che determina la vittima (donna) e il colpevole (uomo), che stabilisce che le donne “lottano per i diritti” che gli uomini “hanno sottratto loro”. In altri termini, gli uomini non hanno diritto a lottare per i propri diritti perché non ne hanno la necessità, le donne non hanno sottratto alcun diritto agli uomini perché le donne non sono colpevoli, sono le vittime. Dunque questa nuova posizione all’interno del femminismo nomina il primo termine del binomio, ma elimina il secondo, cardine e punto basilare di tutta la teoria femminista (il Patriarcato).
Ci sarebbero molte obiezioni circostanziate da sollevare a questa nuova interpretazione del femminismo che dice di concentrarsi unicamente sulla lotta per i diritti delle donne. Ripeto, di sicuro una posizione più intelligente e sottile di quella che s’appellava alla parità, come faceva Hillary Clinton. Ma, sinceramente, non ho voglia, sono stufo di combattere nell’universo dell’irrazionalità e dell’emotività. Non serve a nulla redigere un lungo elenco fattuale sulla scia della logica, la storia, la scienza, l’antropologia… Non serve. Mi basta una sola domanda, che mi rode l’anima, e chiedo il vostro aiuto. Se il femminismo si occupa solo della “lotta per i diritti delle donne”, perché sono fissate con la mascolinità? Perché finanziano studi, organizzano corsi e conferenze, scrivono libri a questo proposito? Perché ci vogliono cambiare? Perché ci rompono dalla mattina alla sera? Cosa c’entrano i loro diritti con la mia presunta natura orgogliosamente tossica? Perché continuano a colpevolizzarci? Cosa c’entrano i loro diritti con le nostre colpe? Forse, e dico forse, involontariamente hanno omesso il secondo termine del binomio: il femminismo è l’ideologia che lotta per i diritti delle donne, tra cui quello di dichiarare gli uomini indegni di essere preservati.