di Santiago Gascó Altaba – 8 marzo, Giornata della donna. Il bambino esce da scuola, sorridente corre incontro a suo papà, che lo aspetta, gli salta tra le braccia e gli dice: “Oggi la maestra ha parlato di femminismo. Papà, cos’è il femminismo?”.
Il papà cerca una panchina, si siede, fa sedere il bambino, e inizia un racconto:
“C’era una volta un uomo e una donna in una cucina e sul tavolo una deliziosa torta. La donna disse:
– Senti, uomo, finora ci sono stati molti problemi nella ripartizione del cibo in cucina, non ci sono state ripartizioni eque, dunque d’ora in poi applicheremo il femminismo.
– Cos’è il femminismo? – chiese l’uomo ignaro.
– Il femminismo è l’applicazione della parità – rispose la donna.
“Bene”, pensò l’uomo, “è giusto che ci sia una ripartizione paritaria”.
Finché l’uomo così rifletteva, la donna si avvicinò al tavolo, prese la torta e la mangiò tutta.
L’uomo rimase interdetto. Guardò la donna e chiese:
– Perché hai mangiato la torta?
– Perché avevo fame – rispose la donna.
– E la parità? – chiese l’uomo.
– Tu non avevi fame. Io avevo fame. Ho mangiato la torta. Adesso siamo pari.
– Ma io avevo fame – si lamentò l’uomo.
– Tu non hai fame. Ora io ho mangiato e non ho più fame, quindi siamo pari; vedi, questo è il femminismo: l’applicazione della parità.
– No – ribatté l’uomo con un tono fermo -, il femminismo non è l’applicazione della parità, qui il femminismo è sostenere che io non ho fame e tu sì. Io comunque ho fame.
– Tu non hai fame, tu non puoi avere fame perché sei più grande di me, sicuramente hai mangiato prima – rispose la donna.
L’uomo riflettete di nuovo. Gli sembrava di non riuscire più a esprimersi, che il significato delle parole e dei concetti gli sfuggivano pian piano. Non poteva lanciare la stessa accusa alla donna: lei era più piccola.
– Io comunque ho fame – insistette.
– Tu non hai fame! – la donna incominciava ad arrabbiarsi – Tu non vuoi la parità! Tu mi vuoi discriminare perché sono donna!
E ogni volta che lui insisteva che aveva fame, lei si indispettiva sempre di più…
Il padre fece una pausa. Il fliglioletto lo guardava con gli occhi ben aperti. “E poi, cosa successe?” Chiese il bambino intrigato.
“Nulla di che”, rispose il papà, “l’uomo la fece arrabbiare, lei fece una falsa denuncia per abusi sessuali e l’uomo finì in galera”.
Una dicotomia dalla quale non si riesce a sfuggire.
La definizione del termine femminismo è fondamentale, punto di partenza per la comprensione del fenomeno del femminismo, fenomeno che impregna oramai tutte le nostre attività e interazioni sociali. L’argomento è stato trattato durante la puntata di Radio Londra: “Femminismo: anatomia di una menzogna”. Faccio un elenco in sintesi dei punti principali.
1) Il movimento femminista, l’ONU (Emma Watson, Campagna ONU Heforshe, min. 2:12 – 2:34) i politici, e quasi tutti i dizionari del mondo (https://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/F/femminismo.shtml , https://dizionari.repubblica.it/Italiano/F/femminismo.html), definiscono il femminismo con il termine “parità”. In inglese, ad esempio, l’Oxford dictionary. In spagnolo, il dizionario della Real Academia Española, istituzione che stabilisce il significato delle parole per tutta la comunità di lingua spagnola e alla quale fanno riferimento tutti gli altri dizionari.
2) Il termine “parità” associato al termine femminismo ci colloca tutti in una dicotomia dalla quale non si riesce a sfuggire: o si è per la parità, dunque femminista, o si è contro la parità, dunque maschilista o qualcosa di simile.
Siamo di fronte a un lavaggio del cervello pubblico e universale.
3) La definizione del femminismo con il termine di “parità” è assolutamente falsa. In oltre un secolo e mezzo di femminismo (prendendo come punto di partenza la Convenzione di Seneca Falls, 1848), non ci è stata una singola iniziativa, campagna, rivendicazione o manifestazione da parte del mondo femminista a favore di un qualsiasi diritto a vantaggio in esclusiva dell’universo maschile (tranne di recente in alcuni paesi occidentali i permessi di paternità, richiesti dal mondo femminista, non per venire incontro ai bisogni maschili ma perché a dir loro le donne venivano discriminate al momento dell’assunzione dai datori di lavoro perché avevano troppe ferie a differenza degli uomini). Al contrario, gli episodi, durante questo secolo e mezzo, di rifiuto dell’effettiva parità tra uomini e donna da parte del movimento femminista sono numerosi quanto la polvere della terra e le stelle del cielo: tutte le misure che si richiamano alla discriminazione positiva (sovvenzioni, aiuti, enti e istituzioni, normative sulla violenza, quote, affidamento dei figli,…) fino alla distribuzione da parte delle femministe delle penne bianche per far arruolare i giovanni maschi durante la Prima guerra mondiale. Senza paura di sbagliare, si può pacificamente affermare che il movimento femminista si è contraddistinto lungo oltre un secolo e mezzo per la promozione della disparità.
4) L’evidente dissociazione tra la corrispondenza della definizione di femminismo come “parità” di quasi tutti i dizionari del mondo e la realtà storico fattuale (cioè i fatti, come si sono comportate e si comportano le femministe nei confronti della parità ogni volta che questa può favorire gli uomini) può soltanto essere spiegato come conseguenza dell’obnubilamento che provocano i virus ideologici. Siamo di fronte a un lavaggio del cervello pubblico e universale.
5) La definizione corretta di femminismo è quella che l’associa al concetto di liberazione della donna. Adopero la definizione della femminista spagnola Victoria Sau: “Il femminismo è un movimento sociale e politico che inizia formalmente alla fine del secolo XVIII e che suppone la presa di coscienza da parte delle donne come gruppo o componente umana dell’oppressione, dominazione e sfruttamento di cui sono e sono state oggetto da parte degli uomini nell’ambito del patriarcato nelle sue differenti fasi storiche di modello di produzione, il che le muove verso l’azione per la liberazione del proprio sesso con tutte le trasformazioni richieste dalla società”. La definizione stabilisce due concetti importantissimi. Primo: le donne sono state (storia) e sono (attualità) oppresse, all’interno di un determinismo storico che stabilisce un’oppressione nata all’inizio dei tempi e finisce nella “liberazione” delle donne (matriarcato). Secondo: il Principio Assoluto della vittimizzazione/colpevolizzazione, le donne sono le vittime (schiave, oppresse, discriminate,…), gli uomini sono i carnefici (oppressori, tiranni, aguzzini,…).
Gli uomini non hanno diritto ai diritti.
6) Tutte le femministe si identificano in questo Principio Assoluto, e l’adesione a questo Principio è ciò che rende una femminista femminista. Al di fuori dell’assunzione del Principio Assoluto, non esiste altra posizione ideologica su nessun altro tema (aborto, suffragio, prostituzione, velo, nudità,…) né nessun atteggiamento (moderato o radicale) che spiega e giustifica la qualifica di femminista. In effetti, il movimento femminista è completamente contraddittorio su tutto tranne che su questo Principio Assoluto. Non esistono dunque molti femminismi, come spesso si afferma. Esiste un solo femminismo con un unico Principio condiviso da tutte.
7) Questa definizione, in sostanza, per cui le donne sono discriminate per colpa maschile, ha un’altra possibile redazione da un punto di vista maschile. Il femminismo non è il diritto alla parità, il femminismo è il diritto delle donne alla parità, diritto che gli uomini non hanno perché hanno già raggiunto la parità. (Nel racconto, il femminismo è sostenere che l’uomo non ha fame e la donna sì). Gli uomini non possono essere oppressori e oppressi allo stesso tempo, né le donne possono essere contemporaneamente vittime e carnefici, se ne deduce dunque che gli uomini non sono discriminati, non possono rivendicare diritti (alle donne). Gli uomini non hanno diritto ai diritti perché li hanno già conquistati tutti.
L’uomo fece arrabbiare la femminista.
8) La definizione del femminismo che si richiama alla liberazione delle donne (dagli uomini) è una definizione lecita. Questa definizione è stata sempre considerata un assioma, si tratta invece di un’ipotesi. Le ipotesi devono essere vagliate. (Nel racconto, bisogna vagliare se l’uomo effettivamente non ha fame come sostiene il femminismo). Dopo la disamina, se l’ipotessi si dimostrasse corretta, allora il femminismo avrebbe ragione. Se l’ipotesi si dimostrasse invece infondata, allora saremmo di fronte a interventi decennali e criminali a sostegno di un’ideologia che sarebbe risultata semplicemente falsa. Significherebbe la statuizione di “io sono vittima e tu no” e “tu sei il carnefice e io no” basato unicamente sul sesso. Non c’è maggior sessismo da quello di proclamarsi vittima per il solo ed unico fatto di essere donna senza sentirsi in obbligo di doverlo provare.
9) La definizione corretta del termine femminismo e la disamina di quanto vi si afferma non sono meri esercizi teoretici e mentali. La definizione e il suo contenuto hanno ricadute pesanti a livello conscio e inconscio sulle azioni e decisioni nelle nostre vite: il giudice, a chi affida i figli; il poliziotto, chi arresta; il politico, a chi destina i fondi…
“L’impossibilità dell’uomo-colpevole di sollevare qualsiasi accusa, qualsiasi denuncia della propria condizione, qualsiasi rivendicazione nei confronti delle donne, così come le donne fanno di continuo nei confronti degli uomini, è la caratteristica precipua e rivoluzionaria del femminismo, è la sua grande conquista che spiega perché a fronte di migliaia di conferenze, incontri, sovvenzioni e tutele della donna da una parte, ci sia il nulla dall’altra.” (La grande menzogna del femminismo, p. 44)
Come fare la disamina? La disamina si chiama “Questa metà della terra”, “La grande menzogna del femminismo”, e tante altre opere che pian piano si andranno ad aggiungere.
“E poi, cosa successe?” Chiese il bambino intrigato.
“Nulla di che, l’uomo fece arrabbiare la femminista, lei fece una falsa denuncia per abusi sessuali e l’uomo…”.