La Fionda

La storia di un padre discriminato

Da messaggio privato. La mia disavventura di padre è cominciata quando la mia ex compagna ha deciso di abbandonare la casa dove vivevamo, portando con sé nostra figlia e trasferendosi dalla madre. Per poter motivare il suo allontanamento, ha subito presentato denunce di violenza psicologica. Di fronte a settimane di rifiuti a farmi vedere la bimba, faccio quello che da padre rifarei altre cento volte ma che ha dato modo a lei di fare altre denunce: mi presento sotto casa rivendicando il diritto di vedere mia figlia, ovviamente con tutta la calma e la pazienza che il caso richiedeva. Lei ogni volta inscena crisi e svenimenti del tutto esagerati, ma io non mollo e continuo a presentarmi più volte in circa otto mesi, senza però riuscire a rivedere mai mia figlia. Ogni volta mi faccio accompagnare dalle forze dell’ordine che però, di fronte ai suoi rifiuti, dicono di non potersi prendere alcuna responsabilità fino a che un giudice non si fosse espresso in merito.

In questi otto mesi e anche dopo sono stato accusato di minacce telefoniche, citofonate in piena notte (ovviamente mai accadute e per le quali già sono stato assolto in sede penale). Non contenta, lei continua con le decine di denunce dove vengo accusato di stalking e per dare adito a queste denunce vengo fotografato per strada, mentre sono all’interno di un bar che si trova a metà strada fra casa mia e sua (abitiamo a 500 metri di distanza). In pratica sono percorsi che faccio abitualmente nel rientro a casa, ma lei asserisce che mi aggiro dalle sue parti per perseguitarla ed ecco quindi il motivo delle foto scattate in strada.

Ogni volta inscena crisi e svenimenti.

Nel frattempo sul piano civile finalmente viene fissata un’udienza. Il giudice dispone una CTU per valutare le capacità genitoriali di entrambi e al termine del percorso stila una relazione in cui asserisce che non riesco a rapportarmi alla bambina e che sono intimidito da suoi pianti. Tengo a precisare che per mia figlia ero praticamente uno sconosciuto visto che aveva solo 6 mesi quando fu portata via dalla madre e mi vide per la prima volta quando aveva quasi due anni in soli due incontri di circa mezz’ora, dove avrei dovuto dimostrare la mia capacità di fare il padre, opportunità che mi è stata negata fin dalla sua più tenera età.

Il giudice allora predispone incontri protetti, che continuano tutt’oggi e ormai mia figlia ha 5 anni. Le relazioni degli assistenti sociali sono positivissime riguardo al rapporto che siamo riusciti a costruire io e mia figlia, mentre la madre dal canto suo in questi tre anni ha continuato con le sue denunce di stalking e quant’altro, asserendo che io pubblicassi post minacciosi riferiti a lei, quando si trattava di semplici meme condivisi come ognuno di noi fa su Facebook. Cerca inoltre di danneggiarmi economicamente, facendo richieste assurde attraverso il suo avvocato. Secondo lei dovrei pagarle un affitto, visto che vivo nella casa cointestata, ma di cui lei non ha mai versato la quota della sua parte di mutuo, visto che anche quello è cointestato. Sistematicamente, ad ogni udienza in merito alla questione dell’affidamento della bambina, tutti questi elementi vengono portati, sostenendo sempre attraverso il suo avvocato che siccome rapporti tra i due genitori non miglioravano, bisognava ancora che gli incontri protetti perdurassero. E infatti il giudice così si esprime: a causa dell’elevata conflittualità tra genitori bisogna che gli incontri protetti continuino per un altro anno.

Cerca di danneggiarmi economicamente.

Il tutto mentre esiste una sentenza della Cassazione in cui si afferma che la conflittualità tra i genitori non è una motivazione legittima per stabilire incontri protetti. Inoltre esiste una sorta di filosofia di pensiero che si riscontra in queste sentenze di affido che asserisce che finché la madre mantiene un elevato grado di risentimento verso il padre è molto probabile che anche i figli mantengano una certa diffidenza verso quest’ultimo, quindi è sempre meglio far durare gli incontri fino a che la madre non mostri un’apertura nei confronti del padre. Cosa che difficilmente accade soprattutto quando ci sono in ballo interessi economici. Piuttosto che pensare a punire questo risentimento, tutto viene permesso in virtù del principio della “maternal preference”.

A questo si aggiungono assurdità incredibili come quando nell’udienza del giugno scorso il giudice ha asserito di non aver letto le relazioni positive degli assistenti sociali e dunque rimandava all’udienza settembre. Alla fine l’udienza è stata fissata per il 18 ottobre e l’avvocato e la sua cliente hanno già comunicato che intendono richiedere il rinvio dell’udienza per una visita medica che la mia ex deve sostenere proprio il giorno 18. Una chiara strategia per avere un ulteriore rinvio: conoscendo i tempi della giustizia, ormai si andrà a gennaio, per farmi continuare gli incontri protetti per altri circa 3 mesi. Morale della favola se entri in questo sistema che fa comodo a tutti, avrai a che fare con un elenco ben definito di situazioni.

Una chiara strategia per avere un ulteriore rinvio.

1. Avvocati malevoli che invece di tutelare gli interessi del minore, avallano le richieste della cliente, nel voler tentare un allontanamento del figlio dal padre, strumentalizzando qualsiasi elemento, che può far durare per un tempo in tempo indefinito gli incontri protetti, alla luce di una vendetta personale e meschina. 2. Sistema servizi sociali-giudice, che hanno interesse economico a prolungare gli incontri e tutto quello che gira intorno. 3. Sistema giustizia con i tempi esageratamente lunghi che non tengono conto che si tratta di situazioni con un forte coinvolgimento emotivo, visto che questi bambini crescono e nel frattempo non possono condividere la vita quotidiana con uno dei genitori. 4. Madri malevoli, che avviano fin dalla più tenera età meccanismi di alienazione sui loro bambini, inducendoli ad odiare l’altro genitore

N.B. Mia figlia, quando mi abbraccia o mi bacia, non vuole che venga raccontato alla madre…!!!

 



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