Prima puntata |
di Davide Stasi. “Buon giorno, qui è il Tribunale dei Minori”. Mauro stava cucinando quando ricevette la telefonata. Gianna, sua moglie, sarebbe dovuta tornare a momenti. Stavano insieme da poco più di un anno, durante il quale avevano costruito una relazione profonda, fatta di amore, ovviamente, ma anche di stima, lealtà e rispetto reciproco. Entrambi avevano vissuto storie difficili, talvolta traumatiche, in passato. Incontrandosi avevano trovato una forma di pace da regalarsi reciprocamente. Quella telefonata, con quella presentazione, presagiva però qualcosa di indesiderabile. Per questo Mauro deglutì con fatica quando sentì la voce stentorea dire “Tribunale dei minori”.
“Buon giorno, dica…”. Niente gli fu svelato sul momento. Era una convocazione. Doveva presentarsi il giorno dopo per comunicazioni. Raccontò la cosa a Gianna, quella sera, e insieme provarono a ipotizzare cosa potesse mai volere il Tribunale dei minori da lui. Segnalazioni non potevano essercene: la loro famiglia era serena, benestante, socialmente affermata. Entrambi erano professionisti conosciuti e stimati nel comprensorio e soprattutto non avevano figli. Dunque?
“Buon giorno, qui è il Tribunale dei Minori”.
Il funzionario, il giorno dopo, pensò fosse meglio andare subito al sodo. Su certe cose non ci si deve girare troppo attorno. “Lei ha un figlio”, disse. Mauro, seduto trepidante davanti a lui, restò un po’ imbambolato perché non capì subito se quella fosse una domanda o un’affermazione. Optò per la prima. “No”, rispose, “non ho figli… perché?”. Il funzionario spese cinque secondi prima di comprendere il quiproquo. Fece un sorriso di metallo, più che di circostanza, e con un sottile velo di sadismo chiarì: “sì, ce l’ha, si chiama Alessio, ha due anni, e la madre è la signora Gaia ****”.
Mauro barcollò sulla sedia. Le prime due frasi l’avevano colpito come il sinistro di un pugile che prende le misure prima di scaricare il destro del KO. E Mauro era a tutti gli effetti KO. Ricordava benissimo Gaia. L’aveva incontrata in un locale della zona, l’aveva approcciata. Ai tempi era così. Dopo l’ennesima lunga storia finita male, Mauro si era dato alle storie disimpegnate, e quella sera ne conteggiò una in più. Entrambi brilli, alla fine della serata erano finiti a letto. Il mattino dopo lui si era risvegliato per primo, complice il fatto che Gaia l’aveva superato di molte lunghezze nella quota d’alcol ingurgitata. Stralunato, si era guardato attorno abbastanza da capire di non essere in casa propria. Si era allora rivestito e se n’era andato. Si erano rivisti poi ancora un paio di volte, tutte repliche della prima, poi Mauro aveva troncato, infastidito dal fatto che la bottiglia pareva per Gaia un’abitudine più che una componente di divertimenti saltuari. E di una cosa era certo: ogni volta aveva avuto rapporti protetti.
L’aveva incontrata in un locale della zona.
“Non credo che possa essere mio”, disse, dopo aver rapidamente ripercorso tutta la sua storia con Gaia. “C’è l’esame del DNA, se vuole”, cantilenò il burocrate scribacchiando su un foglio senza guardarlo. “Sì, voglio farlo”. “Compili questo”. Gli allungò un modulo, che Mauro riempì con mano incerta. Un foro nel profilattico? Uno strappo non percepito né visto a causa dell’ubriachezza? Una manovra sottobanco di Gaia? Non poteva saperlo, ogni ipotesi era possibile, inclusa quella che il piccolo Alessio non fosse figlio suo. Perché, però, tra i tanti uomini con cui Gaia sicuramente era stata, aveva indicato proprio lui come possibile padre?
Il DNA gli diede la risposta: Alessio era a tutti gli effetti il prodotto del suo seme. Con il referto in mano, ne parlò a Gianna, temendo che la notizia deflagrasse come una bomba all’interno di un rapporto che, finalmente, sembrava funzionare. Sua moglie però, alla notizia, restò impassibile e assorta. “E’ tuo figlio”, gli disse poi con un sorriso blando ma sincero. “Fai il tuo dovere verso di lui e io sarò con te”. Mauro si commosse. La generosità di Gianna profumava di donna, moglie e madre. Questo lo confortò rispetto pensiero sgradevole di dover rientrare in contatto con Gaia, nella necessità di gestire assieme il piccolo Alessio. Un mistero lungo due anni che gli piombava come una meteora nella vita. Due anni persi e da recuperare per accreditarsi come padre e imparare ad amarlo: a pensarci Mauro non sapeva immaginare da dove avrebbe dovuto cominciare.
Sua moglie però, alla notizia, restò impassibile e assorta.
Ci pensò il tribunale a schiarire i suoi dubbi. Grazie al fatto che lui e Gaia vivevano nella stessa città, a una distanza non improponibile, il giudice deliberò che due anni di vita e di paternità si potessero recuperare con una dose di frequentazione pari a tre ore tutti i giorni, dalle 17 alle 20. Per il resto del tempo Alessio sarebbe rimasto con la madre. Una disposizione tutto sommato generosa rispetto alla media, dissero a Mauro diversi amici separati. E fu anche questo a fargli digerire i 300 euro mensili che avrebbe dovuto versare a Gaia per il mantenimento di Alessio.
La frequentazione tra figlio e padre cominciò un mese esatto dopo la deliberazione del giudice. L’emozione di tenere in braccio Alessio per la prima volta lo distolse dalla visione di Gaia, scarmigliata e instabile sulle gambe. E per il piccolo Alessio quel primo abbraccio fu l’inizio di un percorso disorientante. Un susseguirsi ininterrotto di luce e buio, luce e buio, luce e buio.