Oggi, giorno degno di nota solo perché ricorre l’anniversario della morte di Diego Armando Maradona, si celebrerà come ogni anno una delle tante grandi menzogne che si diffondono quando una religione tossica si consolida e si radica a livello di massa. Parliamo ormai di vera e propria religione, e nemmeno più di ideologia, riferendoci al femminismo contemporaneo, perché il livello di profondità raggiunto dalla propaganda (catechesi?) è tale da aver reso pressoché inscalfibile il muro di ottusità eretto attorno ad alcuni postulati ben noti, primo fra tutti che gli uomini, nella loro interezza, opprimano e facciano violenza per impulso naturale alle donne nella loro interezza, per questo tutte qualificabili come vittime.
Non è servito e tuttora non serve presentare, come abbiamo fatto noi per anni, numeri, fatti e argomentazioni che smentiscono alla radice questo dogma privo di senso e che dimostrano che non esiste, per lo meno in Italia, un’emergenza legata alla specifica violenza contro le donne o alla “cultura patriarcale” che ne starebbe alla base. Su questi temi i gruppi d’interesse e potere che utilizzano questa forma deviata di femminismo (non che le precedenti non fossero deviate, ben intesi) per spadroneggiare sul piano psico-sociale, hanno raggiunto un livello di radicamento paragonabile a quello di un credo diffuso in una società poco evoluta. Di fatto oggi mettere in dubbio i dogmi di questa nuova religione significa scontrarsi contro l’incredulità e l’ostilità di tutti. Ad ogni argomento portato si riceve uno sguardo attonito che dice: «come osi mettere in dubbio?». Lo stesso sguardo lo si sarebbe ricevuto a metà ottocento da una persona comune se si fosse messa in dubbio l’autorità del Papa o il fenomeno della transustanziazione.
I sacerdoti della menzogna: media e politica.
Ecco allora che oggi tutto il mondo, Italia compresa, celebra una delle proprie giornate sacre di riferimento: la crocifissione della donna, agnus Dei femminista, da parte dello spietato mondo maschile. Tutti sono chiamati a piangere, arrabbiarsi e ribellarsi ai piedi della croce. Un simbolo che, contrariamente a quello cristiano, non significa la remissione di ogni peccato, ma l’attribuzione di un peccato a un gruppo definito e circoscritto di persone: gli uomini, il maschile nella sua interezza. Quella croce cancella ogni credito possibile attribuibile agli uomini e costituisce per loro un debito eterno e pressoché insolvibile. Giornate come questa, nell’ignorare ogni dato di fatto e ogni ragionevolezza, servono a cristallizzare tali concetti nella mente di ogni persona, di modo che l’emergenza e l’esistenza della violenza contro le donne da parte degli uomini sia interiorizzata come una verità di fede assoluta, pari al fatto che Gesù Cristo sia risorto dopo tre giorni dalla morte.
Le celebrazioni di oggi hanno tante facce, una più ipocrita dell’altra, e due sacerdoti d’eccezione: i media e la politica. I primi si preparano da settimane, pubblicando ossessivamente articoli incentrati su figure femminili o, più spesso e più cinicamente, andando a cercare casi di violenza terrificanti da poter apparecchiare sull’altare del 25 novembre. Non trovandone in patria (ché l’Italia è il paese dove vengono uccise meno donne in Europa e forse nel mondo, come si vede dal grafico sopra), li sono andati a pescare all’estero. Immaginiamoli nelle redazioni, alla ricerca febbrile su “Google notizie” di orridi fatti di cronaca avvenuti altrove, con il traduttore automatico sempre aperto, presi dall’ansia di non perdere l’occasione di pubblicare un pezzo “acchiappa-click” nel giorno consacrato e più propizio, magari sperando che il lettore medio si fermi al titolo e pensi che il delitto sia avvenuto in Italia. Giunto il giorno, poi, si sprecano le prime pagine inondate di retorica, dramma e simbologie su sfondo rosso-sangue, slogan a pioggia (che si collocano al posto delle litanie religiose), mentre i social pullulano di meme motivazionali o colpevolizzanti (i “santini” dell’epoca moderna).
Poi c’è la politica, ovvero il livello più infimo del sacerdozio femminista perché palesemente intriso di quel ributtante opportunismo che induce il politicante a dire ciò che la gente si aspetta, a pagare pegno al conformismo anche quando esso si colloca anni luce lontano dalla verità dei fatti. Ed è così che, oltre alle varie dichiarazioni trite e ritrite dei singoli («servono più soldi ai centri antiviolenza!»), s’innesca l’azione collettiva, attentamente calcolata nei tempi: un giorno prima del 25 novembre si istituisce nuovamente la famigerata “Commissione femminicidio”. Sul “femminicidio” in sé abbiamo detto e scritto a sufficienza, così come sul carrozzone della commissione bicamerale che ne porta il nome. Alla neocostituita, esattamente come a quelle precedenti, poniamo già ora le due semplicissime domande a cui i predecessori non sono stati capaci di rispondere: potreste fornire una definizione chiara, circostanziata, stabile e non fraintendibile di cosa sia un “femminicidio”? Fatto questo, potreste gentilmente fornire un elenco dei casi avvenuti anno per anno che possano essere considerati conformi alla definizione data? In assenza di questi due elementi, la “Commissione femminicidio” e il “femminicidio” in sé rimangono ciò che abbiamo sempre detto essere: strumenti ideologici di falsificazione, strumentali all’affermazione di privilegi a favore di un genere e di discriminazioni a danno dell’altro.
Anche noi eretici celebriamo il 25 novembre, come ogni anno. E come ogni anno cerchiamo di farlo in modo originale. Quest’anno ci affidiamo a una breve clip (qua sopra), di quelle capaci di circolare sui social e magari diventare virali. La clip porta un messaggio semplice, nella sua disarmante verità: la violenza non ha genere. Lo dimostrano i fatti e i numeri, oltre che la storia e la logica. Non vi è alcuna specificità o specialità nella violenza maschile contro le donne, chi lo afferma è in malafede o semplicemente ignorante. Alla clip affianchiamo un ulteriore dato di fatto, accaduto per puro caso, ma in ogni caso di grande rilevanza: proprio oggi, 25 novembre 2022, il nostro conteggio delle donne colte ad accusare falsamente uomini poi assolti, realizzato a partire dalle notizie uscite sui media (quindi si tratta della punta dell’iceberg), arriva oggi a 344. A fine anno scorso avevamo contato 341 casi. Significa che proprio oggi viene infranto il record del 2021. Significa che il fenomeno delle false accuse è in crescita esponenziale ed è indubbio che tutta la retorica falsificante di giornate celebrative come quella di oggi vi contribuisca fortemente. Le religioni, se scientemente fondate sulla menzogna, interpretate in modo radicale e strumentalizzate per interessi economici e potere, non producono altro che male. Oggi si celebra una religione di questo tipo. In attesa che il male conseguente diventi così grande, diffuso e intollerabile da portare finalmente ad archiviare quel credo distruttivo nel più buio anfratto della storia.